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La vita e il tempo di Michael K.
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UN GRANELLO DI SABBIA
Non ci sarà più un granello che porti il mio segno, proprio come mia madre che ora, passata la sua stagione sulla terra, è stata lavata via, dispersa dal vento e risucchiata dai fili d’erba.
Michael è nero nel Sudafrica ancora dominato dall’apartheid (il romanzo è uscito otto anni prima che fosse cancellato, e undici prima che Mandela fosse liberato e diventasse presidente). È un giardiniere pubblico e, quindi, lavora per i bianchi, visto che al governo ci sono i bianchi, il potere è nelle loro mani.
Anche sua madre, Anna K., lavora per i bianchi, in una casa di padroni bianchi.
Ma mamma e figlio vivono in case e zone diverse di Città del Capo. Probabilmente perché la donna s’è sempre vergognata di quel figlio nato col labbro leporino, con l’impossibilità di sigillare bene la bocca e dunque d’essere allattato.
Al colore della pelle Michael aggiunge questa menomazione fisica.
Ha trent’anni quando inizia il romanzo. Quanti ne abbia quando Coetzee interrompe la sua narrazione non lo so: ma so che dalla prima all’ultima pagina ha vissuto così tante esperienze da maturare ben più del tempo effettivamente trascorso.
Un po’ di Kafka c’è, checché neghi Coetzee stesso, o la Gordimer. Non è solo quella K solitaria che ricorda lo scrittore di Praga, ma anche quel senso di un rapporto tra stato e individuo nel quale il secondo è un insetto e il primo il corpo che attraverso le sue regole (leggi leggi) lo può calpestare e schiacciare.
O in quel sentore di burocrazia infinita fatta all’unico scopo di difendere il potere e annullare la libertà individuale nella ragnatela di regole: K chiede i permessi (lasciapassare) per poter uscire dalla citta e raggiungere la fattoria portandosi dietro la mamma ammalata. Quando decide che ha atteso abbastanza, quando capisce che l’autorizzazione s’è persa nella rete e non gli sarà mai consegnata, inizia il suo viaggio.
La madre non regge il viaggio, Michael deve portarla in ospedale dove la donna più che morire, crepa.
Con le ceneri della madre messe in un sacchetto, Michael prosegue il viaggio: vuole tornare nella fattoria della sua infanzia.
Coetzze trasporta il lettore in una delle sue tipiche situazioni e atmosfere: è in corso una guerra, come tutte le guerre schifosa e incomprensibile, ci sono campi di raccolta, di internamento, di lavoro, posti di blocco, convogli militari, coprifuoco, armi, violenza, una guerra civile in corso, chi ha la divisa comanda sempre. In che epoca siamo, chi governa, chi si ribella, che sta succedendo…?
Domande che rimangono senza precisa risposta. Per me, anche questo aumenta il fascino della lettura, l’essere lasciato libero di ipotizzare, di trovare le mie risposte.
Michael è un singolo individuo che vive nell’alienazione e nell’isolamento: per lottare contro l’Autorità, contro la violenza del Potere, può ricorrere solo alla resilienza. Virtù della quale sembra ben provvisto: se all’inizio sembra un po’ troppo ingenuo per la sua età, un “semplice di spirito” per usare un eufemismo, alla fine appare carico di saggezza e consapevolezza.
Il suo viaggio è segnato da deviazioni, intoppi, fughe, nascondigli, contrattempi, malattie, ricovero: così tanto frastagliato e faticoso da ricordare l’Ulisse omerico che vuole tornare alla sua casa in Itaca.
Michael non partecipa e non si oppone al male e alla violenza che lo circonda: alla guerra non partecipa, non aderisce neppure alla resistenza, resiste, e, per quanto stretta e costretta, imbocca una sua strada contromano. Resilienza.
Come sottolinea la chiusa del romanzo: se i soldati hanno fatto saltare il pozzo, lui tira fuori dalla tasca un cucchiaio e uno spago arrotolato: piega il cucchiaio e forma un anello a cui lego lo spago:
Poi l’avrebbe calato nella terra in profondità e, quando l’avesse tirato su, ci sarebbe stata acqua nel cavo del cucchiaio. E così, avrebbe detto, si può vivere.
Non ci sarà più un granello che porti il mio segno, proprio come mia madre che ora, passata la sua stagione sulla terra, è stata lavata via, dispersa dal vento e risucchiata dai fili d’erba.
Michael è nero nel Sudafrica ancora dominato dall’apartheid (il romanzo è uscito otto anni prima che fosse cancellato, e undici prima che Mandela fosse liberato e diventasse presidente). È un giardiniere pubblico e, quindi, lavora per i bianchi, visto che al governo ci sono i bianchi, il potere è nelle loro mani.
Anche sua madre, Anna K., lavora per i bianchi, in una casa di padroni bianchi.
Ma mamma e figlio vivono in case e zone diverse di Città del Capo. Probabilmente perché la donna s’è sempre vergognata di quel figlio nato col labbro leporino, con l’impossibilità di sigillare bene la bocca e dunque d’essere allattato.
Al colore della pelle Michael aggiunge questa menomazione fisica.
Ha trent’anni quando inizia il romanzo. Quanti ne abbia quando Coetzee interrompe la sua narrazione non lo so: ma so che dalla prima all’ultima pagina ha vissuto così tante esperienze da maturare ben più del tempo effettivamente trascorso.
Un po’ di Kafka c’è, checché neghi Coetzee stesso, o la Gordimer. Non è solo quella K solitaria che ricorda lo scrittore di Praga, ma anche quel senso di un rapporto tra stato e individuo nel quale il secondo è un insetto e il primo il corpo che attraverso le sue regole (leggi leggi) lo può calpestare e schiacciare.
O in quel sentore di burocrazia infinita fatta all’unico scopo di difendere il potere e annullare la libertà individuale nella ragnatela di regole: K chiede i permessi (lasciapassare) per poter uscire dalla citta e raggiungere la fattoria portandosi dietro la mamma ammalata. Quando decide che ha atteso abbastanza, quando capisce che l’autorizzazione s’è persa nella rete e non gli sarà mai consegnata, inizia il suo viaggio.
La madre non regge il viaggio, Michael deve portarla in ospedale dove la donna più che morire, crepa.
Con le ceneri della madre messe in un sacchetto, Michael prosegue il viaggio: vuole tornare nella fattoria della sua infanzia.
Coetzze trasporta il lettore in una delle sue tipiche situazioni e atmosfere: è in corso una guerra, come tutte le guerre schifosa e incomprensibile, ci sono campi di raccolta, di internamento, di lavoro, posti di blocco, convogli militari, coprifuoco, armi, violenza, una guerra civile in corso, chi ha la divisa comanda sempre. In che epoca siamo, chi governa, chi si ribella, che sta succedendo…?
Domande che rimangono senza precisa risposta. Per me, anche questo aumenta il fascino della lettura, l’essere lasciato libero di ipotizzare, di trovare le mie risposte.
Michael è un singolo individuo che vive nell’alienazione e nell’isolamento: per lottare contro l’Autorità, contro la violenza del Potere, può ricorrere solo alla resilienza. Virtù della quale sembra ben provvisto: se all’inizio sembra un po’ troppo ingenuo per la sua età, un “semplice di spirito” per usare un eufemismo, alla fine appare carico di saggezza e consapevolezza.
Il suo viaggio è segnato da deviazioni, intoppi, fughe, nascondigli, contrattempi, malattie, ricovero: così tanto frastagliato e faticoso da ricordare l’Ulisse omerico che vuole tornare alla sua casa in Itaca.
Michael non partecipa e non si oppone al male e alla violenza che lo circonda: alla guerra non partecipa, non aderisce neppure alla resistenza, resiste, e, per quanto stretta e costretta, imbocca una sua strada contromano. Resilienza.
Come sottolinea la chiusa del romanzo: se i soldati hanno fatto saltare il pozzo, lui tira fuori dalla tasca un cucchiaio e uno spago arrotolato: piega il cucchiaio e forma un anello a cui lego lo spago:
Poi l’avrebbe calato nella terra in profondità e, quando l’avesse tirato su, ci sarebbe stata acqua nel cavo del cucchiaio. E così, avrebbe detto, si può vivere.
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Reading Progress
Started Reading
October 1, 2003
–
Finished Reading
April 6, 2020
– Shelved
April 6, 2020
– Shelved as:
sudafrica
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message 1:
by
Maria
(new)
-
rated it 5 stars
Apr 06, 2020 11:11PM
Loved it. Them, actually :) Both the book and your review.
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Maria wrote: "Loved it. Them, actually :) Both the book and your review."
Thanks, Maria!
I'm a big fan of Coetzee.
Thanks, Maria!
I'm a big fan of Coetzee.
Orso, mi hai incuriosito. E anche i riferimenti a Kafka e alla Gordimer sono allettanti. Subito in lista!