"Chi è il picciliddo?" "Il figlio della mogliere di un mio campiere." "D'accordo, ma tu che ci trasi?" "Ci trasu, Scimè. Come ci trasì lo spirito sant3.5
"Chi è il picciliddo?" "Il figlio della mogliere di un mio campiere." "D'accordo, ma tu che ci trasi?" "Ci trasu, Scimè. Come ci trasì lo spirito santo."
(I'm sorry, but every attempt of mine would make a despicable case of lost in translation.)
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This was my first Camilleri (I know: shame on me, shame on my cow) but I think that it will be kind of a standing appointment from now on. The Hunting Season could well be one of the strangest books I have ever read. Eccentric, caricatural characters, a totally predictable mystery (which, in the present case, isn't a reason for enjoying the book less, I assure you) and one of the most delicious writing styles I've ever encountered. It's a strange mix. I enjoyed it immensely, partly due, also, to my being from Sicily. The novel is set in the late XIX century, and though of course our way of thinking isn't that archaic anymore, it's astonishing to how Camilleri seized and reproduced on the paper the atmosphere you breathe in a country village. I adored it to pieces. I see, though, that the story is somehow underwhelming.
Next step: Montalbano.
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Questa era il mio primo Camilleri (lo so: disonore su di me, disonore sulla mia mucca) ma credo che d'ora in poi ne farò una specie di appuntamento fisso. La stagione della caccia potrebbe benissimo essere uno dei libri più strani che io abbia mai letto. Personaggi eccentrici e caricaturali, un giallo assolutamente prevedibile (cosa che tuttavia, vi assicuro, non costituisce una ragione per godersi questa lettura in misura minore) e uno degli stili più deliziosi in cui mai mi sia imbattuta. Si tratta di una miscela strana. Io l'ho apprezzata immensamente, cosa che, suppongo, sia da imputare almeno parzialmente al mio essere siciliana. Il romanzo è ambientato nel tardo Ottocento e, anche se ovviamente la mentalità siciliana non raggiunge più questi livelli d'arcaicità, trovo incredibile come Camilleri abbia saputo cogliere e riprodurre nero su bianco l'atmosfera, l'aria che ancora si respira nei paesini del sud. Per questo, l'ho amato follemente. Ma non posso ignorare che la trama risulti alquanto insoddisfacente.
I read this with my book fairies/partners in crime (I can rightfully say that, given the case) Vira (a simple "thank you" is not enough <3), NastassjaI read this with my book fairies/partners in crime (I can rightfully say that, given the case) Vira (a simple "thank you" is not enough <3), Nastassja and Katerina.
"Do not undervalue what you are ultimately worth because you are at a momentary disadvantage."
•I am a fan of Sherlock Holmes if you've ever met one. I'm gravely obsessed. I read all the books (four) and all the short stories (fifty-six) and I die of excitement whenever I see (any version of) him on tv, whatever the series/movie. Then I resurrect and start obsessing all over again. So, were my expectations exaggerated? Probably. But as always, I will try to be as reasonable as I can.
•Big problem number one: Charlotte. She started bothering me from the very beginning, and I realized it immediately. What I didn't realize until much later was why, but after some hard reasoning that involved much trial and error, I put my finger on it: she's inconsistent with herself. Some readers have put forward the theory that Charlotte could be autistic, and I would like that explanation very, very much, but as far as I know (please do contradict me if I'm mistaken) the author never said anything definite in this regard, and besides, what I'm talking about here is a problem of how the character is rendered in the narrative, not how the character is. It feels weird and unbelievable that she is supposed to be this astronomical genius, but then the most obvious things elude her. For instance, she is downright shocked when Mrs. Watson points out to her that she could use her "powers of discernment" to earn her living, and, in spite of the fact that this is exactly what happens to her in the book, she doesn't seem to understand that spreading bad rumors about a person may ruin her reputation once and for all until someone else remarks on that. When a crime is involved, however, she goes back to being brilliant and all-seeing. It's not that she simply is less generally capable in a social context: she seems to activate her brain, understanding even what is related to sociality, only when a crime or an enigma is involved. And this didn't feel believable. I'm absolutely no expert, but maybe these may seem like an atypical pattern even for someone who falls on the autistic spectrum? I'm terrified of being insensitive and I don't have any intention of doing that, so I'll stop here. Just note that I'm taking issue here with how the narrative represents the character, not with what the character is per se (that would be idiotic).
•The crime. Now, I'm a nut for crime novels. Lately, moreover, I find myself in this very odd phase when I can bring myself to read with sincere interest only crime novels--Agatha Christie is my current best friend. In A Study in Scarlet Women, not only was the investigationslow-paced and rather unchallenging, it was also led by a character about whom you couldn't care less. Treadles is cute and nice, yes, but I don't care. He's as dull as his investigation. There's nothing wrong with him in himself, he just doesn't work, certainly not up to Thomas's standard.
•As a consequence to Treadles's predominance, Charlotte seems to be a guest in her own book. When that happens to a main character, it's never a good thing.
•The ending was actually nice, though it felt somehow anticlimactic to me. It was interesting how the victim's image was completely overturned -but if I wanted to be very fastidious, I could point out that his overturning was far too complete. I am never trusting when a shift from good to bad seems so radical. (Yes, Tamlin, I may be talking a little bit about you.)
➽ Surprise surprise, I am disappointed. A Study in Scarlet Women is not a bad book, but I think it would be wise not to start it expecting to find that masterpiece of aloofness, brilliance and social ineptitude that is the original Sherlock Holmes. If you listen to this advice, you will probably be more successful than I was....more
"La perfetta bellezza in qualunque momento si mostri interrompe almeno per qualche istante il corso del tempo fissandolo in un momento unico e immutab"La perfetta bellezza in qualunque momento si mostri interrompe almeno per qualche istante il corso del tempo fissandolo in un momento unico e immutabile."
Da questo romanzo emerge in pieno la vera e più spontanea attitudine della Bellonci: l'attitudine di un'osservatrice, una chirurga del mondo, una scienziata alle prese con l'homo sapiens immerso nella spietata realtà, suo habitat naturale. Le sue analisi delle dinamiche interpersonali e l'evidentissima cura usata nella costruzione della personalità protagonista e voce narrante, Isabella d'Este, sono di un'acutezza sconcertante. Se solo si fosse concentrata su quelle.
La ricostruzione storica è impressionante, ma l'ambientazione da sola, per quanto solida, non fa un romanzo. A volte avevo l'impressione di star leggendo un saggio. Se il mio unico intento fosse stato quello di documentarmi sul periodo storico, naturalmente sarebbe stato quello il genere che avrei scelto; ma avevo tra le mani un romanzo, ma quel che ne ho ricavato è stata solo Storia e nessuna storia. L'abilità della Bellonci di trasformare le parole in racconto si mostra solo al livello microscopico del dettaglio, delle rivelazioni di poche secondi, dei motti di quattro righe, ma tutte le sue incantevoli sottigliezze non sono state capaci di delineare ai miei occhi un quadro d'insieme che fosse in grado di toccare in me una qualche vera corda.
"I genitori di Lili ritenevano che la musica fosse una cosa frivola. Per loro solo la politica era seria. Ma non capivano che per Lili e la sua genera"I genitori di Lili ritenevano che la musica fosse una cosa frivola. Per loro solo la politica era seria. Ma non capivano che per Lili e la sua generazione la musica era politica, persino quando le canzoni parlavano d'amore."
Ho letto recensioni de I giorni dell'eternità che mi hanno un po' confusa. Qualcuno dice che è troppo politico e che Follett si è lasciato trasportare dal suo chiaro orientamento di sinistra. Io mi chiedo cosa ci sia di sbagliato in questa gente. Mi sembra naturale che spesso dalle pagine di un libro simile debba emergere un qualche orientamento, semplicemente perché in questa cosa aliena chiamata romanzo esistono cose ancora più aliene chiamate personaggi, e tali personaggi sono di solito plasmati a immagine delle persone reali. E, correggetemi se sbaglio, le persone reali pensano (lo so, questa dichiarazione stupirà molti; devo tuttavia ammettere che le prove tangibili che ho per suffragarla sono tristemente poche). Non mi pare che che Follett sia pedante, né moralizzante, né che abbia riempito il testo di banalità e tiritere su uguaglianza e diritti. Al contrario, ho trovato pienamente adeguato il modo in cui ha descritto questi anni: come nei due precedenti romanzi, presenta la storia filtrandola attraverso le esperienze personali dei suoi personaggi, positivi, negativi, o via di mezzo che siano. Spesso ci si chiede se la Storia sia un pretesto per presentare le storie o viceversa, e questo non posso che considerarlo un punto a favore, perché in fin dei conti è questo amalgama, queste integrazione e interazione perfette che rendono meravigliosi e appassionanti i volumi della Trilogia del secolo. Questo e un'altra cosa.
Ho parlato dei personaggi come parte del processo storico, ma anche studiati nella loro singolarità la loro forza è, a mio avviso, stupefacente. Alcuni sono statici, altri incredibilmente dinamici; ce ne sono di piatti, certo, ma in compenso ce ne sono anche di magnifici. Nei passati sono rimasta stregata da Ethel, Grigorij, Lloyd e Daisy, di questo mi hanno conquistata Dave, George, ma soprattutto Tanja e Vasilij, la giornalista russa e lo scrittore dissidente.
"Vasilij non era un uomo completamente sconfitto: qualcosa aveva dato a quel relitto d'uomo la forza di scrivere una storia meravigliosa."
Mi ha ricordato -come se ce ne fosse bisogno; ma un promemoria di tanto in tanto non fa mai male- perché amo tanto la letteratura. Inoltre, trovo semplicemente delizioso il modo in cui le strade di queste cinque famiglie s'intrecciano. Alla fine è un po' come se la famiglia fosse una sola, ma super allargata. Credo che se estraessi a caso da un cilindro due dei loro nomi, con il sessanta per cento delle probabilità questi due sarebbero cugini di un qualche grado. A meno che non stiamo parlando di Lev... in tal caso l'altro sarebbe di certo un suo figlio o nipote. A questo proposito, devo ammettere che il primo terzo del romanzo mi ha un po' fatto temere per il seguito, farcito com'era di sesso spesso alquanto casuale. Le ultime pagine, di contro, hanno sorvolato fin troppo sugli sviluppi personali per concentrarsi sugli avvenimenti storici, ma suppongo che essendo arrivati già a mille pagine un taglio fosse doveroso, per quanto fastidioso. L'opera nel complesso è però talmente ricca e mi ha soddisfatta talmente tanto che queste pecche non bastano a intaccare significativamente il mio giudizio finale.
Sono abbastanza certa che in futuro rileggerò questa trilogia. Sarà romanzata -anomalo sarebbe il contrario- e forse a tratti anche troppo, ma è innegabile che la documentazione e lo studio di Follett sono incredibilmente solidi, e ancor più innegabile è che quest'uomo ha un dono per la narrazione. Nelle sue mani la storia diventa un'avventura strepitosa anche per i più refrattari. Io credevo di non avere memoria per le date e di non apprezzare particolarmente la materia, ma questa avventura lunga un secolo mi ha fatto cambiare idea. In diversi mi avevano già consigliato La caduta dei giganti, ma io mi sono decisa a prenderlo in mano solamente dopo l'esortazione della mia professoressa di storia e filosofia del quinto liceo. Non so se leggerà mai queste righe, prof, ma, che lo faccia o meno, qui c'è un ringraziamento per lei, uno tra i tanti che le devo.
E nel caso ve lo stiate chiedendo, sì: Follett mi fa diventare sentimentale. Ma d'altronde, dopo cento anni mano nella mano con questi uomini e donne, grandi e piccoli, energici o insulsi, una piccola lacrima credo possa anche scappare....more
Incredibilmente travolgente, ma devo ammettere di aver complessivamente preferito il primo, sebbene trovi che, per certi versi, i due primi romanzi deIncredibilmente travolgente, ma devo ammettere di aver complessivamente preferito il primo, sebbene trovi che, per certi versi, i due primi romanzi della trilogia The Century non possano essere paragonati. Il primo descrive con lucidità gli orrori della Grande Guerra, il secondo gli orrori dei regimi totalitari con schiettezza onesta e brutale. Personalmente, credo che le materie trattate, pur essendo di matrice comune, pongano i due libri su livelli decisamente diversi....more
Oltre che quello di essere di una scorrevolezza unica, La caduta dei giganti ha l'enorme pregio di saper costruire il quadro fedele di un cambiamento,Oltre che quello di essere di una scorrevolezza unica, La caduta dei giganti ha l'enorme pregio di saper costruire il quadro fedele di un cambiamento, sfida che personalmente ritengo tra le più difficili che un narratore debba affrontare. La mole dell'impresa si rivela in tutta la sua incombenza se si considera che il cambiamento in questione è lo sconvolgimento pressoché totale che investe l'Europa nei primi decenni del Novecento, e non soltanto per lo scoppio della Grande Guerra. Quella che Follett dipinge con grande maestria è l'Europa che si lascia alle spalle il liberalismo e si dirige verso la democrazia e che comincia a riconoscere i diritti delle proprie donne, un'Europa che cerca di andare avanti ma che tuttavia soccombe sotto il peso della propria stessa grandezza e, spesso, mania di grandezza. Si ha la percezione di un mutamento inarrestabile nel corso di tutta la lettura, ma solo giunti alla fine si ha la vera contezza di quanto questo mosaico, questa scalata sia sconvolgente.
Ethel ricordò che Ty Gwyn ogni volta che le capitava di incrociare Fitz lungo un corridoio doveva farsi da parte, spalle al muro, e abbassare lo sguardo al suo passaggio. Adesso, immobile al centro del pianerottolo, lo fissò stringendo forte la mano di Lloyd. «Buongiorno, lord Fitzherbert» disse sollevando il mento in un piccolo gesto di sfida. Fitz la fissò a sua volta. L'espressione era di rabbioso risentimento. Alla fine rispose: «Buongiorno, Mrs Leckwith».
Le vicende personali dei vari personaggi si intersecano in continuazione tra di loro, elemento che conferisce alla trama un dinamismo non da poco e incentiva la curiosità del lettore. Inoltre, ognuna delle loro storie è scelta ad hoc per rappresentare al meglio un determinato aspetto del periodo storico con una oculatezza e un attenzione che non si può che ammirare. Un romanzo coinvolgente, intelligente e appassionante. Se non avessi il seguito già pronto sul comodino in mia attesa, lo rileggerei anche subito, anche dieci volte di fila. Straordinario....more
Premessa: ho amato Il rosso e il nero. Quello che non tollero de La Certosa di Parma, oltre la lungaggine e la poca coesione generale che mi sembra laPremessa: ho amato Il rosso e il nero. Quello che non tollero de La Certosa di Parma, oltre la lungaggine e la poca coesione generale che mi sembra la trama abbia, è l'orrido finale nonsense.
Per chi vuole soffrire o farsi due risate con me: (view spoiler)[Clelia fa voto alla Madonna di non rivedere mai più Fabrizio e i due si separano. Lui prima si ritira in un eremo, poi diventa un predicatore; infine Clelia capisce di non poter fare a meno di lui e, nonostante sia ormai sposata con un altro, gli accorda degli incontri notturni, perché, secondo la sua logica sballata, se si incontrano al buio lei non lo vedrà e dunque non verrà meno al proprio voto. Ripeto: se si incontrano al buio lei non lo vedrà e dunque non verrà meno al proprio voto. Dovrebbe essere uno di quei sottili escamotage pensati per riempire il lettore d'ammirazione nei confronti delle straripanti capacità cognitive dei protagonisti? Non ha funzionato. Nella mia zona abbiamo un detto bellissimo: mi 'nni fazzu iabbu. Significa "me ne meraviglio", ma implica uno sconcerto condito da una spolverata di disgusto, con l'augurio che il misfatto o la disgrazia in questione non colpisca mai se stessi o i propri cari. Ora, Clelia, non pensi che la tua cara Madonna di te si 'nni fici iabbu? Anyway, siamo ancora al male minore. Ritroviamo i due dopo tre anni: hanno avuto un figlio, ma Clelia ancora non accetta di vedere Fabrizio (i miei poveri neuroni). Lui, disperato, le dice che può continuare a reggere la situazione soltanto se potrà prendere il bambino con sé e vivere almeno con lui, se non con lei. I due giovani geni allora fanno credere a tutti che il bimbo sia malato, anche al marito di Clelia; per far ciò, lei lo deve tenere segregato in casa, e per questo il bambino si ammala sul serio. Fabrizio se lo porta via e dopo poco il bimbo muore. Ancora, ripeto: dopo poco il bimbo muore. Muore perché i suoi genitori sono due idioti. In rapida successione muoiono anche Clelia e Fabrizio. A 'sto punto, ben gli sta, dico io. (hide spoiler)]
Giuro che ripenso a quel che ho letto e mi sento male per me stessa. E ho letto abbastanza classici per sapere che la mentalità dell'Ottocento era quella che era, bisogna calarsi nella storia eccetera, ma questa storia non ha senso di esistere umanamente parlando. Mi rifiuto....more
"Del resto il nome di Salina basterebbe a render conto di tutto."
Questa per me è stata un po' la settimana delle sorprese. Come mi è da poco successo "Del resto il nome di Salina basterebbe a render conto di tutto."
Questa per me è stata un po' la settimana delle sorprese. Come mi è da poco successo per La famiglia Manzoni, già dopo aver sfogliato le prime pagine de Il Gattopardo ho capito di essere davanti a un romanzo psicologico, prima ancora che a un romanzo storico, uno di quei romanzi il cui valore risiede nel percorso dei personaggi prima ancora della ricostruzione storica, per quanto inscindibili, nella fattispecie, possano essere questi due elementi. E vi dirò di più: metà del pregio dell'opera sarebbe andata perduta se avessimo dovuto conoscere il principe di Salina accompagnati da un'altra prosa, invece che da quella inestimabilmente premurosa di Tomasi di Lampedusa: una prosa che è così elegante, così densa, così vividamente evocativa da spingermi ad affermare, senza alcun rischio d'esagerazione, che essa possiede tutto ciò che uno scrittore avrebbe motivo d'invidiare e un lettore di desiderare; i tratti di una penna simile non sono linee d'inchiostro, sono tentacoli, e chi li legge è la loro preda consenziente.
L'intreccio è, a dir poco, celeberrimo, e almeno altrettanto lineare: Don Fabrizio Corbera, Principe di Salina, assiste impotente alla fine dell'egemonia aristocratica e alla lenta ma inesorabile ascesa della borghesia; concretizzazione di queste nuove dinamiche, il matrimonio di suo nipote Tancredi, amato dal Principe più dei suoi stessi figli, con Angelica, figlia del facoltoso sindaco di Donnafugata, recentemente arricchitosi anche grazie ai terreni perduti dai Salina. Sullo sfondo, un paese disunito che lotta per diventare uno e che ci riuscirà, ma non proprio nel modo giusto.
Quel che qui l'autore dipinge è un momento storico d'importanza fondamentale e di fondamentali contraddizioni, un momento in cui si presentava la necessità di ricucire gli strappi secolari che deturpavano il volto e lo spirito del paese, ma che invece di curare ha prodotto delle ferite destinate ad affliggere il nostro futuro. Prima delle tante, la soppressione dei voti negativi al plebiscito per l'annessione del Regno delle Due Sicilie ai domini sabaudi.
«Don Fabrizio non poteva saperlo allora, ma una parte della neghittosità, dell'acquiescenza per la quale durante i decenni seguenti si doveva vituperare la gente del Mezzogiorno, ebbe la propria origine nello stupido annullamento della prima espressione di libertà che a questo popolo si era mai presentata».
Ma, come ho detto prima, la realtà storica si presenta qui come la base su cui costruire la vicenda personale, una delle più coinvolgenti e magistralmente delineate in cui mi sia mai imbattuta. Quello del Principe di Salina è infatti un personaggio incredibile, che in primis colpisce il lettore per il fascino indefinibile che emana, complice una certa attitudine mondana unita a quel pizzico di sapore intellettuale conferitogli dalla sua passione per l'astronomia, e che col progredire del racconto riesce a conquistarci definitivamente con la necessaria dimostrazione della sua raffinata intelligenza, della sua acutezza, della sua inattaccabile onestà resa avulsa da sentimentalismi sotto il nome di "rigidità morale". Anche il suo atteggiamento così consapevolmente rassegnato suscita in me una certa -ahimé, amarissima- ammirazione. E' un'ammirazione, tuttavia, monca, che posso rivolgere solo alla non comune sagacia con cui il Principe ha saputo cogliere l'essenza della sicilianità: la malattia di un popolo che ha visto avvicendarsi su di sé le ombre di troppi dominatori stranieri per volersi o potersi dar la pena di cercare di far nascere qualcosa dalle proprie mani, dal frutto del proprio lavoro. «Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. [...] Siamo bianchi quanto lo è lei, Chevalley, e quanto la regina d'Inghilterra; eppure da duemila cinquecento anni siamo colonia. Non lo dico per lagnarmi: è in gran parte anche colpa nostra; ma siamo stanchi e svuotati lo stesso»: è questo l'esito dell'analisi del Principe, uno dei passi più belli dell'intero romanzo. Eppure, nonostante questa consapevolezza, Don Fabrizio sa di dover rifiutare la carica politica che gli viene offerta nel nuovo Stato. Perché, ormai, è troppo siciliano; perché non saprebbe muoversi in relazione alla novità di una Sicilia non più solo colonia; perché ormai che «la piega è presa», non c'è per lui altro da dire se non «siamo fatti così».
L'ultimo dei Gattopardi ci dipinge, dunque, senza speranza. Io so che non si sbagliava nel dare un giudizio così duro e inclemente su quel che noi siciliani siamo diventati, ma non mi sento abbastanza coraggiosa per credere anche nelle conclusioni a cui un tale giudizio ci porta. Forse, però, riuscirò ad esserlo abbastanza per credere che riusciremo, oggi, domani o tra qualche anno, a migliorare finalmente le cose....more
«Vi sono quadri molto passabili che non hanno alcun difetto di rilievo e nulla di gradevole neppure, e in quella famiglia in cui vari individui vi rap«Vi sono quadri molto passabili che non hanno alcun difetto di rilievo e nulla di gradevole neppure, e in quella famiglia in cui vari individui vi rapiscono il cuore con uno sguardo, chi non ha una vera grazia ha poca fortuna».
Prima di cominciarlo, non avrei mai creduto che potesse essere così bello. E invece è bellissimo. Quella della famiglia Manzoni è una storia intensa non solo perché è densa di avvenimenti, come le storie di ogni famiglia che si rispetti, ma soprattutto perché ci è spesso narrata senza intermediari proprio dai suoi protagonisti, i membri del nucleo familiare al centro della ricerca della Ginzburg. E, ah, la Ginzburg! I suoi commenti sono pochi, sparsi, ma così precisi, incisivi, mirati e profondi che ho rischiato seriamente di commuovermi. E' un libro che cambierà il vostro modo di pensare riguardo a diverse cose, e la figura di Alessandro Manzoni sarà solo la punta dell'iceberg di questa revisione generale; vi accorgerete ben presto che quel che lo circonda è altrettanto importante....more
"Already, without once writing a falsehood, I have started the deception that is my life... I have misdirected you with the talk of truth, objective r"Already, without once writing a falsehood, I have started the deception that is my life... I have misdirected you with the talk of truth, objective records and motives."
I will just say that I finished this book on Oct 30th, and I most certainly was not expecting that last sequence to be such a perfect Halloween read.
Also, this is in all likelihood Priest's most accomplished novel to date. Inverted World and The Affirmation are each beautiful in their own way, but The Prestige is somehow more complete, even with (or perhaps, especially in light of) all the gaps and doubts that it purposefully leaves in its trail. It's much different from Nolan's 2006 movie, I believe because the novel is written in such a Priestian way that a successful cinematographic adaptation necessarily called for a different approach to the material, and both have their own uniqueness which is not in any way reducible to that of its counterpart. (There is something very meta- about talking of counterparts where it comes to The Prestige.) ...more
"Vedremo se della regina Margot sarà tanto facile fare una monaca."
"We shall see if they can make Queen Margot into a nun so easily."
Betrayals. Broken"Vedremo se della regina Margot sarà tanto facile fare una monaca."
"We shall see if they can make Queen Margot into a nun so easily."
Betrayals. Broken hearts. Conspiracies. A marriage sealed by ambition instead of love. Queens with too big a heart and queens with no heart at all. True sentiments that require to be muffled and false ones who aim to look deeper than they are. Poison, swords and blood. Hunting parties where those who chase the game are game themselves. Ambushes in the dark. (Not so) secret lovers. Sacrifice, freedom, improbable alliances. A friendship that laughs in the face of Death.
Dumas is a master storyteller. But since this is all I'm able to write, I'm clearly not a master reviewer. I apologize--but I have reason to hope that you will forgive me once you pick up La reine Margot (Queen Margot in the English translation) and read it: you'll be too engrossed in the story to take heed of the inadequacy of my words. ...more
"Signor mio, un romanzo è uno specchio che si fa muovere lungo una grande strada. Talvolta riflette a' vostri occhi l'azzurro dei cieli, talvolta il f
"Signor mio, un romanzo è uno specchio che si fa muovere lungo una grande strada. Talvolta riflette a' vostri occhi l'azzurro dei cieli, talvolta il fango dei pantani di quella strada. E voi accuserete d'immoralità l'uomo che porta lo specchio nella sua gerla! Il suo specchio mostra il fango, e voi accusate lo specchio! Accusate invece la strada ov'è il pantano, e più ancora l'ispettore stradale che lascia infracidare l'acqua e il pantano formarsi."
Sorvolando sull'orribile edizione della Newton, completa di innumerevoli errori di battitura -posso capire qualche svista, ma scrivere 'conversazione' al posto di 'conversione', suvvia, ci sono dei limiti- e frasi del tutto prive di senso che Stendhal non può assolutamente aver scritto, il libro è qualcosa di spettacolare. Perfettamente strutturato, particolareggiato, potente nella narrazione e ricco nel contenuto. Il punto di forza è senza dubbio la caratterizzazione dei personaggi, in special modo, ma guarda un po', Julien, Louise e Mathilde. Qualunque evento narri, qualunque personaggio descriva, l'autore fa sempre bella mostra della sua straordinaria capacità di non scadere mai nel banale, pur senza ostentazione. E' originale, ma con naturalezza. Oltre ad essere una lettura indispensabile nella carriera di ogni lettore, trovo che Il rosso e il nero sia anche un romanzo che si fa leggere con piacere, o almeno con piacere si è fatto leggere da me, nonostante l'immensità di tempo che mi ha portato via. Ma i libri che davvero valgono sono quelli che ti divertono e ti fanno camminare il cervello, ragion per cui, massimo rispetto per quel genio di Stendhal. ...more
“What you’re doing is wrong,” he said. “I mean evil. To give up happiness like this is like throwing jewels into the ocean. It’s far worse than any4.5
“What you’re doing is wrong,” he said. “I mean evil. To give up happiness like this is like throwing jewels into the ocean. It’s far worse than any sin.”
Since there is pretty much nothing I didn't like about this book, and since the only reason why the fifth star is missing is that Medieval history isn't really my thing and so I loved the Century trilogy far too much more in comparison with The Pillars of the Earth to give the latter the same rating as the former, in this review I will only be trying to explain you why I find Ken Follett's stories simply, utterly irrestistible.
The thing is, they are like cathedrals.
No, I'm not saying that just because, well, The Pillars of the Earth, generally speaking, is about the building of a cathedral. That may be what triggered the comparison, but it really is true: so huge, so vast, so fearfully majestic. When you read Follett's historical novels, just as when you enter a cathedral, you feel humbled. You feel small. You feel tears well up in your eyes at the thought of how insignificant your life, a single man's life is in front of everything. And then you feel grateful, because if insignificant is what we are, what we always have been and always will be, Follett's characters refuse to play by this single inevitable, wicked rule. They rise as high as the most untouchable roof of the most humbling cathedral; why, they build that very cathedral. They make of that cathedral their dream, the one that's closest to their heart, as if they could take the everything that building stands for and put in it in their human, human minds.
I love it. I love Follett's way of mixing up tranche de vie and history, I love his characters and the way their lives inescapably intersect and get more and more tangled up with each other as the story unfolds. Stories like this one are the ultimate wish of my heart as a reader. Reading them makes me feel so happy and fulfilled, I could take to the streets to dance in circle and kiss strangers.
I want to re-read both this and the Century trilogy all over again....more
Capisco certamente che è una pietra miliare della nostra cultura, e capisco che avendolo letto a scuola sono soggetta al sospetto che non mi sia piaciCapisco certamente che è una pietra miliare della nostra cultura, e capisco che avendolo letto a scuola sono soggetta al sospetto che non mi sia piaciuto per tale motivo, ma datemi il beneficio del dubbio (e per carità di dio, datelo a qualunque adolescente professi di averlo trovato intollerabile: dall'alto della vostra sapienza forse vi serve un cannocchiale per vederlo, ma sappiate che anche i ragazzini sono capacissimi di arrivare ad amare qualcosa anche a dispetto del pregiudizio iniziale, se è il caso); datemi il beneficio del dubbio, dicevo, e permettetemi dire che lo trovo (s)oggettivamente brutto....more
"La finzione delle parole era una pratica troppo incerta, vulnerabile, imbarazzante per metterne al corrente chiunque. Perfino mentre scriveva gli 'el
"La finzione delle parole era una pratica troppo incerta, vulnerabile, imbarazzante per metterne al corrente chiunque. Perfino mentre scriveva gli 'ella disse', gli 'e poi', le capitava di trasalire, e si sentiva sciocca a far finta di conoscere le emozioni di un essere immaginario. Esporsi in prima persona era inevitabile quando descriveva le debolezze di un personaggio: il lettore non avrebbe potuto fare a meno di pensare che stava descrivendo se stessa."
Credo che Espiazione sia un romanzo che valga la pena leggere, e per svariate ragioni. Innanzitutto, e questa è la cosa che ho notato sin dalle prime pagine e che ha continuato a dispetto del resto a farsi notare anche in seguito, è scritto magistralmente. Sono ben pochi i romanzieri che posso vantare una penna d'agilità ed eleganza pari a quella di McEwan: quest'uomo con le parole ci gioca, inventa espressioni e delinea figure d'intensità e forza tali da poter diventare modi di dire. Scrivere che il suo stile è evocativo è un eufemismo, eppure, sebbene come ho detto prima esso non passi mai come elemento secondario, in certe parti nemmeno questa penna magica è riuscita a farmi godere appieno della lettura. Motivi per leggerlo parte seconda, la trama. Un intreccio coi fiocchi, non c'è che dire. Scontatezza zero e aspettative infinite. La ricetta giusta per incastrare il povero lettore e impedirgli una volta per tutte di scollarsi dalle pagine. Con me non ha tanto funzionato. Dulcis in fundo, ma non meno importante, la guerra. Vi sembrerà strano, ma sono due le parti che mi sono più piaciute in Espiazione, e sono quelle dedicate a Robbie soldato e Briony infermiera, cioè la seconda e la terza parte. Non ho trovato scene più toccanti e commoventi di quelle in cui Briony assiste Luc Cornet nei suoi ultimi minuti di vita. Non ho trovato scene che mi scombussolassero tanto quanto quelle di pura sofferenza cui Robbie assiste e di cui si ritrova infelice protagonista. Temo invece di aver un tantino snobbato la prima parte. La Briony bambina è un personaggio che ho mal sopportato sin dall'inizio. Ma tanto vale essere sinceri, quindi dirò le cose come stanno: non c'è un solo personaggio che ho sopportato, in quella dannatissima prima parte. E' un momento cruciale della storia, quello da cui poi nasce tutto il senso del romanzo, quindi, per la buona riuscita della lettura, deve esse seguito con interesse e con attenzione. L'ho fatto, mi sono sforzata di farlo, ma gli attori di questo dramma mi hanno irritata dal primo all'ultimo, chi per un motivo, chi per un altro, tanto che ora non saprei neppure riportarveli, questi motivi. In quanto all'ultima parte, la quarta, anche quella come le due che la precedono è molto intensa, nonostante la brevità, ma il cliché della malattia ha un po' rovinato l'effetto.
In sintesi, questa dicotomia tra la prima parte e tutto il resto mi ha lasciata molto perplessa. Magari sono solo io che ho avvertito questa netta separazione, ma è stato proprio a causa di essa che c'ho rimesso anche nel godermi tutta la bellezza e la poesia della storia d'amore. I protagonisti del famoso incontro in biblioteca mi sono sembrati poco più che due ragazzini immaturi e inconsapevoli, mentre nelle vicende successive troviamo due persone adulte. E sono consapevole che nel frattempo sono passati cinque anni che li hanno radicalmente cambiati, per forza di cose, ma mi è mancato un senso di continuità, di coerenza. Per me il prima la guerra e il dopo sono state due storie distinte e separate (ho apprezzato con sufficienza la prima, mi sono lasciata dolcemente coinvolgere dalla seconda). Ma l'idea di tale divisione che si è andata delineando nella mia mente mi ha completamente fatto perdere di vista il fulcro del romanzo, ossia l'espiazione della colpa di Briony, elemento che, considerandolo, non fa che rafforzare la mia convinzione, aggiungendo melodrammaticità alla prima storia e puro dramma alla seconda, rendendola, se possibile, ancora più toccante. Credo anche, però, che McEwan avrebbe potuto calcare la mano ancora di più sul senso di colpa di Briony e sul modo in cui la scrittura ha influito sul suo tentativo di superarlo o, quantomeno, di conviverci. Sotto questo punto di vista è stato un asso nella manica giocato un po' troppo tardi.
So che il libro è stato follemente amato dai più, e devo dire che nel complesso mi è piaciuto molto, sì, eppure non mi ha convinta del tutto. D'altra parte niente, e dico niente, mi farà dimenticare la bellezza della storia del soldato che vuole tornare dall'amata, dell'amata che non smetterà di aspettarlo, del senso di colpa che vuole essere espiato.
"La vita è un rosario di piccole miserie che il filosofo sgrana ridendo."
Ho un'opinione di Dumas che è a dir poco controversa: lo ammiro e lo apprezzo"La vita è un rosario di piccole miserie che il filosofo sgrana ridendo."
Ho un'opinione di Dumas che è a dir poco controversa: lo ammiro e lo apprezzo per i suoi mirabili intrecci, e più ancora per i suoi carismatici personaggi che, con merito, sono la ragione principale della fama del loro creatore, ben più di quanto non lo siano le avventure che li vedono protagonisti. Dumas sapeva creare quel qualcosa, quella scintilla che fa di un'opera un capolavoro e di un racconto un'esperienza reale e incisiva per chi lo legge. Il punto è che, il più delle volte, la scintilla non basta affatto: è necessario che essa dia vita ad un incendio. Incendio che nei Tre moschettieri non si rivela che come un lucore appena percettibile nell'oscurità. Sin dall'inizio il romanzo si presenta come una cronaca di eventi che, per quanto simpatici si possano trovare personaggi e per quanto eroiche e avventurose siano le loro gesta, altro non è che, appunto, una cronaca, sterile e fine a se stessa, una sequela di fatti che non decolla mai. D'Artagnan, Athos Porthos e Aramis duellano ogni due e tre con la dritta e con la manca, si cacciano nei guai, sono dappertutto ad ogni ora, bevono, ridono, si divertono e, occasionalmente, fanno anche divertire, ma danno sempre l'idea di recitare una parte, di occupare da bravi la loro casella sulla scacchiera, conducendo di certo il gioco con abilità e fantasia, senza riuscire però a travalicare i limiti della carta stampata per approdare nel cuore del deluso, mesto lettore -quale ero io. O meglio, riescono nella loro conquista, ma solo alla fine. Le ultime centocinquanta pagine o giù di lì sono, infatti, la prova innegabile dello straordinario talento do Dumas: dalla fuga di Milady ogni parola, ogni capitolo sono pervasi da un pathos, da un'emozione che io definirei quasi palpabili.
Peccato che queste battute finali siano tutto ciò che io mi sento di salvare dei Tre moschettieri. Resto col rammarico e con l'amaro in bocca che solo un capolavoro incompleto sa lasciare....more
Esisteva, tra la vecchia chiesa e lui (Quasimodo), una simpatia istintiva così profonda, un così gran numero di affinità magnetiche,
**spoiler alert**
Esisteva, tra la vecchia chiesa e lui (Quasimodo), una simpatia istintiva così profonda, un così gran numero di affinità magnetiche, un così gran numero di affinità materiali, ch'egli vi aderiva in certo qual modo come la tartaruga al suo guscio. La rugosa cattedrale era la sua corazza.
Non so da dove iniziare. Mi sembra anche comprensibile, voglio dire, è.. è Notre-Dame, eccheddiamine! Come si fa a parlare di Notre-Dame de Paris senza sminuire, seppur involontariamente, questo capolavoro? Senza cadere in imperdonabili mancanze o senza parlare con inutili fronzoli e giri di parole? Eppure, dire semplicemente 'è bellissimo' è un sacrilegio, scrivere 'meraviglioso' e basta qualcosa di profano. Ma sento di aver già esagerato, quindi passiamo alla storia: E' una vicenda, questa, che colpisce per la sua grande varietà. Ci troviamo di tutto, ogni volta che si gira pagina è come aprire gli occhi su uno scenario diverso. Tranne, ovviamente, nelle parti descrittive, che pure sono ricche di fascino e scritte con penna molto più che raffinata. L'unico colpo di scena un po' più banale -ma che dico! Scempio! Non posso parlare di Hugo e scrivere 'banale'!- è quando si viene a sapere che la Gudule è la madre di Esmeralda. Per dire, io me l'ero immaginato sin dall'introduzione della storia della Chantefleurie, ma sicuramente sono io che guardo troppi film. Questo capitolo, devo dire, questo della rivelazione, è uno dei più commoventi di tutto il libro. Stupendo quando la povera madre dice:
«E che me ne importa, a me, del tuo re? Ti dico che è mia figlia!»
E' straziante. Straziante. Ero lì lì per piangere, e non è che abbia esattamente la lacrima facile! Esmerada, invece, ha suscitato in me emozioni molto differenti, a volte mi ha ispirato una profonda simpatia, altre commossa, altre irritata. Traduzione: ogni volta che pensava a Phoebus e/o faceva qualcosa per attirarne l'attenzione con inevitabili danni a se stessa e chi le stava intorno, avrei voluto prenderla e sbatterla contro ad un muro. Forse mi sarei contenuta per rispetto nei confronti di quel Santo che è Quasimodo! E' semplicemente adorabile! Ditemi se questo non è amore, cioè, era disposto a portarle fin lì il suo stesso rivale pur di farla felice... io le avrei sputato in faccia alla sola richiesta. Sopportare per sedici anni quel cavolo di prete, poi. Don Claude Frollo, però, mi ha toccato l'anima.
«Ti amo, capisci?» gridò ancora il prete. «Che amore!» disse la sventurata in un fremito. «L'amore di un dannato!» riprese lui.
Anche lui è un personaggio che confonde e suscita diverse sensazioni. Disprezzo per il suo amore depravato; pietà per la sua situazione; tenerezza verso un uomo che in fin dei conti non voleva che essere amato e deve vedersela con un rivale col quale non è capace di competere. Ecco, Phoebus: visto che non voglio essere volgare, di lui non parlo nemmeno.
Insomma, è un romanzo da leggere. Da assaporare al massimo, fino in fondo, goderselo con tutta l'anima. Entra tra i miei preferiti....more
"Il bene di un libro sta nell'essere letto. Un libro è fatto di segni che parlano di altri segni, i quali a loro volta parlano delle cose. Senza un oc"Il bene di un libro sta nell'essere letto. Un libro è fatto di segni che parlano di altri segni, i quali a loro volta parlano delle cose. Senza un occhio che lo legga, un libro reca segni che non producono concetti, e quindi è muto."
Ok, sono anormale: questo capolavoro universalmente riconosciuto come tale non mi è piaciuto, non mi ha emozionata, non mi ha interessata né minimamente coinvolta. In più Eco si dà tante di quelle arie da far salire i nervi ogni cinque minuti. Bah. E mi fermo qui, innanzitutto perché no so cosa dire dal momento che sono rimasta troppo basita e delusa dall'inconsistenza di queste pagine e, in secondo luogo, perché non mi va di dire cose cattive sul libro preferito di mio padre (come la prenderà quando gli dirò che non mi è affatto piaciuto?)....more