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Jeffrey Moussaieff Masson

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Jeffrey Moussaieff Masson (in giacca marrone), 1989

Jeffrey Moussaieff Masson (1941 – vivente), scrittore e psicoanalista statunitense.

Per approfondire, vedi: Quando gli elefanti piangono.

Citazioni di Jeffrey Moussaieff Masson

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  • [Gabbie vuote] è, a parer mio, la migliore introduzione al problema dei diritti animali che sia mai stata scritta. Nessuno meglio di Tom Regan ha discusso la nozione di «diritti animali» e il suo significato. Da decenni universalmente riconosciuto come il più grande filosofo portavoce del movimento per i diritti animali, il suo punto di vista è sempre stato radicale, nel senso originario della parola: cioè quello di andare alle radici. Ciò gli permette di condannare, su basi squisitamente morali, qualsiasi sperimentazione animale, indipendentemente dal possibile beneficio che questa possa arrecare agli umani; posizione che condivido completamente e che per la prima volta ho sentito espressa in maniera convincente proprio da Tom Regan.[1]
  • Non possiamo nasconderci dietro le parole o mentire su quel che facciamo descrivendolo in modo impreciso e con termini poco chiari. In questo medesimo istante, mentre sto scrivendo queste righe, gli americani stanno agendo proprio in questo modo: nascondono l'uccisione di civili dietro espressioni tipo «colpisci e meraviglia»[2] e dietro mozioni formali. [...] dobbiamo usare parole che tutti capiscono e usarle nel modo in cui sono sempre state utilizzate e comprese.[3]
  • Vorrei andare oltre le femministe che dicono che la pornografia è la teoria, e lo stupro la pratica, e dire che la pornografia è già la pratica. La pornografia, a mio parere, è espressione di abusi sessuali. Essa non è una fantasia più di quanto lo siano gli abusi sessuali. [...] Tollerare la pornografia con il pretesto di proteggere la libertà di espressione, o la libertà di pensiero, o la libertà di fantasia, significa approvare una visione fantasiosa che non ha fondamento nella realtà, e che è semplicemente servita come ennesimo strumento di sottomissione delle donne.[4]

Chi c'è nel tuo piatto?

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  • Certo, di tanto in tanto gli scimpanzé adottano comportamenti da predatori, ma i gorilla non lo fanno mai. (p. 18)
  • Un altro degli argomenti avanzati da chi sostiene che gli esseri umani non sono vegani per natura è che non c'è mai stata una civiltà nella nostra storia che osservasse integralmente o in parte il veganismo. Sebbene questo a rigor di logica sia vero, potremmo comunque dire che il jainismo comporta un ideale di civiltà assai prossimo allo stile di vita vegano. [...] Pochi mesi fa sono andato a trovare un mio vecchio amico, il professor Padmanabh S. Jaini, [...] il più eminente studioso di jainismo al mondo. Il professor Jaini è per certi versi come me: entrambi adoriamo le gemme più rare della letteratura antica. Quando gli ho spiegato lo scopo della mia visita (conoscere meglio l'atteggiamento jainista nei riguardi del vegetarismo), lui mi ha subito donato una di queste gemme. Mi ha detto che Jaina parla delle tre makaras (parole che cominciano con la lettera «m») da evitare: madhya, mamsa e madhu, alcol, carne e, con mia grande sorpresa, miele! [...] I vegani non lo mangiano perché è un prodotto animale. Il motivo (con il quale io concordo) è che le api fanno il miele per sé e non per noi; quindi quando lo prendiamo dai loro alveari commettiamo un furto. (pp. 24-25)
  • Non mi sorprende che jainisti, buddhisti e induisti tengano in così grande considerazione la vita altrui. La capacità di immedesimarci mentalmente e fisicamente negli «altri», siano essi persone che reputiamo diverse da noi (come bambini affetti dalla sindrome di Down, malati di Alzheimer, i cosiddetti «malati mentali») o animali che sfruttiamo per nutrirci, ha un'importanza cruciale, perché la sua mancanza è precisamente ciò che ha condotto agli orrori di Auschwitz. Così, quando qualcuno chiede: «Non hai qualcosa di più importante a cui pensare?», la risposta è: «Non c'è niente di più importante dell'essenza stessa dell'empatia; e questa, in ultima analisi, altro non è che la capacità di amare». Diventare vegani è semplicemente una manifestazione d'amore. (p. 26)
  • Di solito chi decide di diventare vegetariano lo fa per tre motivi: per la propria salute, per il bene degli animali, per il bene del pianeta. Fino a tempi assai recenti la terza ragione veniva liquidata senza tanti complimenti, ma ora questo atteggiamento sta finalmente cominciando a cambiare. A quanto pare raccoglie sempre più consensi l'idea che la dieta americana standard non sia sostenibile: danneggia il nostro ambiente in vari modi ed è una delle principali cause del riscaldamento globale. (p. 27)
  • [...] per anni abbiamo continuato a crederci l'unica specie animale in grado di utilizzare strumenti (falso, come è riuscita a dimostrare Jane Goodall per gli scimpanzé; molti altri animali, tra cui gli uccelli, si servono regolarmente di oggetti assimilabili a strumenti); l'unica specie animale ad avere una cultura (falso: ogni lupo deve imparare la cultura dei lupi); l'unica specie animale a usare un linguaggio (falso, se per linguaggio si intende la comunicazione in senso lato, come è corretto fare); l'unica specie animale ad avere coscienza di sé (falso, come ha dimostrato il biologo di Harvard Donald Griffin nel suo L'animale consapevole); [...] e, infine, l'unica specie animale che riesce a proiettare la propria esistenza nel futuro (falso; osservate l'estatica attesa del vostro cane quando gli dite «passeggiata»). (pp. 29-30)
  • [...] l'espressione «effetto serra» non mi piace, perché mi fa pensare alle serre per le piante, una cosa innocua e benigna. (p. 31)
  • [...] noi siamo abituati a pensare che i pesticidi siano indispensabili per «coltivare» le piante; [...] le compagnie produttrici di pesticidi sono impegnate da decenni ad appoggiare e diffondere questo preconcetto fondamentale e incrollabile. Ma in realtà è vero il contrario. Il rovesciamento di questa idea si è avuto all'inizio degli anni Ottanta, quando Peter Kenmore e i suoi colleghi nell'Asia sudorientale scoprirono che più pesticidi usavano sul riso maggiori erano gli attacchi degli insetti parassitari. Il motivo in realtà era piuttosto semplice: i pesticidi uccidevano i nemici naturali di quegli insetti, come ragni e scarafaggi. La chiave sta nella biodiversità: parassiti e malattie delle piante prosperano nelle monocolture perché lì non sono presenti i loro nemici naturali. (p. 46)
  • Mangiare carne è come guidare un immenso SUV. Seguire una dieta vegetariana significa comprare una macchina di dimensioni ridotte o una berlina; e osservare una dieta vegana (senza uova e latticini) è come andare in bicicletta o a piedi. Se vogliamo invertire la tendenza del riscaldamento globale, dobbiamo abbandonare i SUV e gli stili alimentari a essi paragonabili. (p. 56)
  • Le mucche sono animali da mandria. Se trasportate in un treno buio verso un mattatoio, non potranno che provare panico [...]. Né dovrebbero mai vedersi sottrarre i vitelli appena nati; il verso che emettono in quel momento è un lamento funebre [...]. (p. 59)
  • Alle galline piace stare al sole; rotolano su un fianco, allungano un'ala per esporla ai raggi, poi rotolano sull'altro lato e fanno lo stesso; una gallina che non vede mai il sole non potrà essere felice. Le anatre hanno bisogno d'acqua; tenerle in un grande recinto al chiuso senza accesso a un laghetto o a un fiume le priva della possibilità di esprimere la loro natura; chiunque abbia mai osservato delle anatre selvatiche giocare nell'acqua sa che è questa la loro felicità, non una vita in gabbia. Le oche sono più monogame degli uomini e fedeli quanto i cani, se il maschio si ammala, la femmina rifiuterà di abbandonarlo anche a rischio della propria esistenza; persino all'avvicinarsi dell'inverno guarderà lo stormo che se ne va a sud, ma non lascerà il suo amato; la separazione, che avviene in tutti gli allevamenti, è infelicità. Un gregge di pecore ha bisogno di un leader: è così che allo stato brado si salvano da lupi e puma; se vengono separate dal gregge, diventano subito facili prede; c'è da meravigliarsi allora se «sembrano» tanto tristi non appena vengono allontanate dal gregge per la tosatura, il macello o qualsiasi altro motivo? La sicurezza del gregge è parte fondamentale di ciò che rende felice una pecora. (p. 60)
  • Osservando gli animali allo stato brado possiamo cominciare a comprendere la vita che fanno e quindi scoprire cosa li renda davvero felici. Per questo i primi studi di scienziate come Jane Goodall, Dian Fossey e Biruté Galdikas, che andavano sul campo e si limitavano a osservare gli animali, sono stati così pionieristici e si sono rivelati tanto preziosi. (p. 61)
  • [Ruth Harrison] Nel 1964 scrisse un libro, Animal Machines (Macchine animali), che fece per gli animali ciò che Primavera silenziosa di Rachel Carson ha fatto per l'ambiente. (p. 62)
  • Eppure, quando parlo con gli allevatori per sapere come trattano i loro animali, mi succede sempre una cosa strana: mentre l'opinione pubblica e la ricerca scientifica riconoscono che gli animali d'allevamento soffrono, chi di questi animali è responsabile tende a negarlo. (p. 64)
  • [...] se vogliamo comprendere i bisogni delle galline domestiche dobbiamo conoscere quelli del gallo bankiva. Questo uccello, che vive nel Sud e nel Sudest asiatico, è notoriamente assai circospetto. E ne ha ben donde, perché molte altre specie gradirebbero averlo per cena. Così i bankiva stanno appollaiati sugli alberi per scongiurare il pericolo di attacchi notturni. [...] La femmina del gallo bankiva depone le uova in un nido costruito con cura, in un luogo tranquillo e riparato. L'uccello si sente tanto più al sicuro quanto meglio riesce a nascondersi. (pp. 65-66)
  • [...] il gallo bankiva è così timoroso che è raro incontrarne un esemplare, e men che mai si è avuta la possibilità di studiarne uno stormo. (p. 69)
  • Quel suono orribile che si sente in qualsiasi caseificio dopo che una mucca ha partorito è il richiamo di un vitello smarrito che invoca la madre, e la madre che risponde disperata. Se questa non è sofferenza, allora io non conosco il significato del termine. (p. 82)
  • Noi siamo la sola specie che, in età adulta, beve il latte di altri animali; forse è per questo che l'intolleranza al lattosio è così diffusa tra gli esseri umani. (p. 83)
  • È interessante notare come, in inglese, il termine usato per l'animale (calf) sia diverso da quello che serve a indicare la carne come prodotto da consumare (veal). La parola veal è priva di associazioni in inglese: è una traslitterazione del francese veau, che significa appunto vitello. Dunque è come se pensare di mangiare il cucciolo di una mucca fosse offensivo per certe persone. (p. 84)
  • C'è una cosa che mi piacerebbe capire, riguardo alle mucche. Maiali e galline diventano animali da compagnia con gioia e senza grandi difficoltà, ci trattano come se fossimo importanti e ci fanno il dono (spesso immeritato) della loro amicizia. Ma raramente questo succede con le mucche. Perché? È colpa nostra o loro? Ma c'è una colpa? O forse semplicemente non è nella natura della mucca questo rapporto di intimità con gli uomini? (p. 89)
  • Il gatto selvatico africano non ha amici in natura, il nostro gatto domestico sì. Così ho pensato (e questa è solo una mia teoria, non condivisa da molti scienziati) che i gatti hanno miracolosamente tratto beneficio dal legame con gli uomini. Dico «miracolosamente» perché è raro che l'addomesticamento porti qualche beneficio agli animali. (p. 89)
  • Nel suo libro Mein Leben unter Wildschweinen (La mia vita con i maiali selvatici) Heinz Meynhardt racconta di come fu accettato da un branco di cinghiali. Se Meynhardt avesse visto in questi animali solo delle prede da cacciare, non avrebbe mai potuto diffondere la sua dettagliata conoscenza delle loro relazioni sociali, del modo in cui crescono i cuccioli e di altri aspetti della loro vita. Il fatto che i cinghiali, costretti a una straordinaria sensibilità al pericolo da secoli di caccia, abbiano accolto tra di loro un membro della specie nemica per eccellenza è misterioso e, per noi, umiliante. (pp. 96-97)
  • I ricercatori hanno dimostrato che il comportamento della scrofa domestica e della femmina di cinghiale riguardo alla costruzione del nido o alla crescita dei cuccioli non è affatto diverso. Qualsiasi scrofa, selvatica o domestica, quando è pronta a partorire sceglie un posto isolato dove costruisce un nido complesso con rametti che sceglie con gran cura; i maiali selvatici spesso percorrono chilometri pur di trovare il luogo ideale. Partorisce in questo nido, e lo cambia di notte in notte per sfuggire ai predatori. Il nido è costruito in modo che, se la scrofa dovesse stendersi su uno dei cuccioli, questo scivolerebbe a terra attraverso i rametti per poter poi tornare da lei. Non sono riportati in natura incidenti in cui una scrofa abbia schiacciato per sbaglio uno dei figli, ma è questa la scusa che l'industria adduce per separarli dalla madre. (p. 98)
  • Gli animali patiscono le pene dell'inferno a causa della nostra ignoranza. Il minimo che possiamo fare è ridurre questa ignoranza. (p. 104)
  • È meglio anche per la nostra salute scegliere prodotti biologici, ed è un buon inizio chiedere come sono tenute le galline quando si comprano le uova o come vivono le mucche delle quali si beve il latte. In realtà sarebbe buona norma visitare gli allevamenti da cui provengono questi prodotti, un'esperienza che può essere illuminante. Non credo che sarei diventato vegano senza una conoscenza diretta di questo tipo. (pp. 105-106)
  • Quando guardo mangiare il topo [...] mentre lo osservo tenere tra le zampette il cibo che rosicchia, mentre gli occhi lucenti guizzano di qua e di là per scoprire eventuali pericoli, riesco facilmente a vedere me stesso. Se molti ormai sanno che condividiamo gran parte del DNA con altri primati (fino al 98 percento) e mammiferi, topi inclusi (90 percento), pochi sono consapevoli che per l'85 percento i nostri geni sono identici a quelli del pesce zebra. (p. 107)
  • Mi ricordo quando, da bambino, intorno ai dieci-unici anni, andai in gita a pescare con la scuola. Quando abboccò il mio primo pesce ero molto emozionato, ma non appena lo vidi dimenarsi, contorcersi con l'amo in bocca e saltare sul ponte della barca, per il dolore o per la paura, mi sentii agghiacciare. Gli adulti trovarono divertente la mia ingenuità, mi dissero che quelli del pesce erano solo riflessi. Eppure non c'era niente di automatico, di robotico nel modo in cui quel pesce stava reagendo. Come potevo non immaginare me stesso con un amo conficcato in una guancia che mi trascinava in un elemento nel quale non riuscivo a respirare? (p. 108)
  • Un tempo facevo immersioni subacquee, e ricordo le volte in cui mi guardavo intorno perché avevo la strana sensazione di essere seguito. E difatti dietro di me c'era un intero banco di barracuda. «Sono solo curiosi» mi spiegò un giorno l'istruttore. (pp. 110-111)
  • Il salmone è un animale talmente complesso che si è radicato a fondo nella psiche umana, soprattutto nelle regioni in cui è più diffuso. Nella cultura di molte popolazioni indigene del Canada e del Nordovest del Pacifico ci sono canzoni, danze, arti visive e leggende basate sulla vita dei salmoni. Ma questo affetto non è reciproco. A differenza di cani e gatti, nella cui psiche noi compariamo in milioni di modi, è improbabile che un salmone abbia mai pensato con gioia agli esseri umani; da quanto mi risulta, i salmoni non vogliono avere nulla a che fare con noi, e ne hanno ben donde. (p. 111)
  • Alcuni scienziati sostengono che i pesci ricordano le vie di fuga anche per un anno. Non mi sorprenderebbe se, con il proseguire della ricerca, scoprissimo che abbiamo grandemente sottovalutato ogni aspetto della loro intelligenza, della memoria e dei rapporti sociali. (p. 115)
  • Una cosa che mi affascina è che in molte specie di pesci i maschi sono buoni padri. Alcuni tengono le uova in bocca, fanno nascere gli avannotti e li portano in giro per le prime settimane di vita. Quando vivevo a Bali, avevamo un laghetto pieno di grandi carpe giapponesi; da lontano vedevo il padre che nuotava a un'estremità e i figli all'altra. Se mi avvicinavo troppo in fretta e il padre avvertiva il pericolo, subito scattava verso gli avannotti, che contemporaneamente si avviavano nella sua direzione. La carpa padre spalancava la bocca e i figli ci si nascondevano dentro. Con la bocca chiusa, il padre si aggirava frenetico in cerca di qualche avannotto disperso e lo risucchiava dentro. Non appena mi allontanavo abbastanza da convincerlo che i suoi piccoli fossero al sicuro, spalancava la bocca e li lasciava uscire. Mi sono chiesto quante volte avrebbe svolto questo suo dovere paterno, ma non me la sono mai sentita di metterlo alla prova. Sono sicuro che mi sarei stancato prima io: dopo tutto per lui era una questione di vita o di morte, per me si trattava solo di una curiosità. (pp. 115-116)
  • Le catene alimentari sono delicate: se peschiamo troppi merluzzi e sgombri, il leone di mare di Steller che vive in Alaska non avrà di che nutrirsi (la popolazione è già calata dell'80 percento). Se togliamo troppi pesci dall'ecosistema di una barriera corallina, c'è il rischio che le alghe proliferino troppo uccidendo altri pesci. Un eccessivo quantitativo di alghe impedisce anche che alle barriere coralline arrivi la luce della quale necessitano, con il risultato che scompariranno insieme alla flora marittima che ospitano. (pp. 119-120)
  • Se mai vi siete chiesti che faccia abbia un gamberetto, ho sentito alcuni ragazzini paragonarli a bambini addormentati. (p. 122)
  • Io stesso, per esempio, non sapevo come vengono uccise le anguille. Da quando vivo in Nuova Zelanda nutro un grande affetto per questi straordinari animali. In parte ciò è dovuto al fatto che spesso tale affetto è reciproco: le anguille selvatiche si lasciano facilmente addomesticare e, con il tempo, accorrono al nostro richiamo, si lasciano prendere e perfino tirare fuori dall'acqua. Riconoscono le persone con cui hanno contatti (di solito i bambini, che le trovano incantevoli) e si fidano di loro. (p. 123)
  • Nella maggior parte degli allevamenti di salmone (persino, fatto sorprendente, in quelli biologici) ai pesci viene somministrata una tintura per ricreare il colorito roseo degli esemplari allo stato brado, un colorito che i salmoni ottengono mangiando gamberetti e altri crostacei. [...] Senza questi coloranti la carne dei salmoni d'allevamento avrebbe un poco appetitoso colorito grigiastro, simile al fango. (pp. 131-132)
  • Esistono allevamenti anche per altri tipi di pesce, tra cui i tonni pinna azzurra, che vengono catturati e poi trasferiti nei «recinti» del Mediterraneo; fatto che non ci sorprende, considerato che un solo esemplare può valere centinaia di migliaia di dollari. A causa dell'elevata domanda di sushi e sashimi, questo animale maestoso che può vivere fino a quarant'anni, raggiungere i 3 metri di lunghezza e i 450 chili di peso, una delle creature più raminghe del pianeta (possono coprire anche 7000 miglia nell'arco di pochi mesi) ha visto calare il proprio numero del 90 percento dagli anni Settanta a oggi. (p. 137)
  • A differenza dei salmoni, le trote vengono allevate in acqua dolce, di solito in canali o laghetti rettangolari con un flusso continuo di acqua corrente che, grazie all'ossigenazione, permette di tenere molti esemplari ammassati insieme. Possono esserci fino a 30 giovani trote, lunghe più o meno 30 centimetri, nell'equivalente di una vasca da bagno. Ovviamente il comportamento naturale viene così escluso. Queste trote vivono in condizioni traumatiche? Sarebbe difficile sostenere il contrario: lottano tra di loro, si feriscono, e sono soggette a malattie e infestazioni di parassiti. Qualunque sia il metro di giudizio, questi pesci «soffrono». (p. 138)
  • Per liberare l'acqua dai pidocchi di mare [nell'allevamento biologico di salmoni] vengono usati i cosiddetti «pesci spazzino», i labri, che a loro volta però patiscono gravi conseguenze: possono morire durante il trasporto, oppure mangiati dai salmoni, oppure perché non trovano abbastanza pidocchi di mare per nutrirsi. (p. 138)
  • Un amico psicologo mi ha detto di recente che un certo tipo di negazione della realtà è in effetti salutare, se non addirittura necessaria per la sopravvivenza. Non lo metto in dubbio, ma rientra in questa categoria anche la volontà di disconoscere la sofferenza che comporta il nutrirsi di carne? [...] La negazione della nostra mortalità non è per forza patologica, ma può esserlo la negazione della mortalità altrui. Se dovessi stabilire quale negazione è salutare o benigna, allora direi che è quella che non comporta la sofferenza di altre creature. (pp. 148-149)
  • I vegani spesso dichiarano di aver mangiato per la prima volta sentendosi con la coscienza a posto quando hanno smesso di consumare qualsiasi prodotto animale. (p. 167)
  • Quando la realtà è particolarmente sgradevole tendiamo a minimizzarla: diventiamo ciechi alla sua reale portata. Diciamo: «La situazione non può essere nera come la dipingono», perché non vogliamo che lo sia. È una forma di pensiero magico, un modo di chiudere gli occhi. Se la situazione fosse davvero così nera, di sicuro qualcuno farebbe qualcosa al riguardo, no?
    Questo sottrarsi può assumere la forma del disinteresse (che noia, l'ennesima storia dell'orrore perpetrato sugli animali da pelliccia) oppure della disattenzione (cosa comprensibile, visto che siamo assediati da tante altre immagini parimenti orribili). Ovviamente in alcuni casi queste reazioni sono genuine: non tutti possono diventare attivisti per i diritti degli animali. E la scelta del vegetarismo può sembrare troppo onerosa. In realtà non è un passo così difficile, e potrebbe davvero essere vista come la migliore forma di attivismo, con risultati concreti a ogni pasto. (p. 172)
  • Le noci di cocco sono alla base delle abitudini alimentari del Sud asiatico da millenni, e a mio parere non esiste bevanda più pura del loro latte. (p. 182)
  • Molti diventano vegani perché si sono ammalati e hanno compreso che eliminare i prodotti animali può contribuire a farli tornare in salute. Ma sarebbe il caso di pensare a ciò che mangiamo prima di stare male, in modo da mantenerci sani. (p. 184)
  • Direi che i miei alimenti preferiti in assoluto, da buon figlio della California, sono i carciofi e gli avocado: come si può non amare un albero che in una sola stagione può donarci fino a duemila frutti gustosi? (p. 192)
  • Quando hai sessantotto anni, ci sono un sacco di idee strambe che sei disposto a sperimentare per sentirti più giovane. (p. 203)
  • Ma torniamo alla mia colazione: se siamo nella stagione giusta, compro sempre una papaia fresca. Mi sono abituato a mangiarle alle Hawaii e non ho più perso il gusto per questo frutto così straordinario, ricco di nutrienti e antiossidanti come il betacarotene e la vitamina C, oltre che di potassio. (p. 207)
  • Anche le angurie, sempre di stagione, sono molto popolari nella nostra famiglia, soprattutto da quando i miei figli videro un camion a Berkeley con la scritta: Anguria, il frutto magico: lo mangi, lo bevi e ti ci lavi la faccia. Potete immaginare che avrei preferito non vedessero mai quel cartello. (p. 209)
  • Le zuppe, mi hanno spiegato, sono a prova di idiota: metto tutte le verdure che ho a portata di mano in una pentola piena d'acqua insieme ad aglio e cipolla soffritti, e tutte le spezie che riesco a trovare, e lascio cuocere per qualche ora. (p. 210)

Non credo che mangiare un po' di carne di tanto in tanto sia rischioso per la salute, ma non mi risulta nemmeno che faccia bene, pur avendo studiato a lungo la letteratura a sostegno di entrambe le ipotesi. Dato che ogni boccone di carne comporta la morte di un animale, non credo vi siano più dubbi sul fatto che cercare di limitare la propria dieta agli alimenti vegetali sia una scelta ragionevole. È importante anche capire che mangiare bene non vuol dire rinunciare a certi alimenti quanto cercare sempre cibo fresco, salutare e locale, biologico e non trattato. Se poi viene direttamente dal nostro orto, meglio ancora. L'aria fresca, l'esercizio fisico, la luce del sole e frutta e verdura in abbondanza sono la condizione naturale della nostra specie: ci siamo evoluti per vivere proprio così.

Il maiale che cantava alla luna

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Tre anni fa, durante un viaggio in Nuova Zelanda, mi trovavo a Auckland con la mia famiglia, quando sentii parlare di una scrofa che viveva sulla spiaggia a un quarto d'ora dal centro della città. Era una scrofa famosa; i ragazzini andavano a trovarla dopo la scuola, era stata proposta come sindaco, e il vicinato era ferocemente diviso tra coloro che trovavano un che di magico in lei e quelli che temevano avrebbe divorato i loro bambini. Trovammo la spiaggia, ma Piglet (l'avevano chiamata così) si era spostata in una piantagione di noci di macadamia più a nord e non la si vedeva più.

Citazioni

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  • Ci sono persone che hanno sofferto molto e che sembrano possedere una conoscenza dei recessi del sentimento umano irraggiungibili a tutti gli altri. Forse vorrebbero condividerla, ma spesso noi non siamo in grado di ascoltare. Stranamente gli animali mi danno la stessa impressione. (p. 10)
  • [...] fra tutti gli animali, la loro carne è quella che più somiglia alla carne umana, cosa piuttosto sconcertante se consideriamo che oltre il quaranta percento degli animali da carne allevati nel mondo sono maiali. (p. 30)
  • Dopo un mese di tentativi infruttuosi per ottenere succhi gastrici da un maiale bizzoso, il pioniere del comportamentismo Ivan Pavlov affermò: «Da tempo è mia ferma convinzione che il maiale sia il più nervoso degli animali. I maiali sono tutti isterici». Ma ricordiamoci che molte volte è stato fatto lo stesso commento riguardo alle donne e, in entrambi i casi, si tratta di dimostrazioni di pura ignoranza. (p. 31)
  • Non molti sono riusciti a varcare la soglia di uno degli allevamenti industriali di suini che attualmente infestano il Midwest e il Sud degli Stati Uniti. Matthew Scully l'ha fatto e ha scritto uno dei libri sugli animali più duri e compassionevoli di tutta la letteratura: Dominion (Dominio). Non mi stancherò mai di raccomandarne la lettura. Scully ha visto una madre in attesa «fiutare paglia che non esisteva per costruire un giaciglio che non avrebbe mai avuto, per un'altra cucciolata che non avrebbe mai allevato». Ci ricorda che «in cambio del loro servizio, questi animali non ottengono assolutamente nulla, né giornate da dedicare alla prole, né vento tiepido, né visioni, suoni o odori della vita; soltanto privazioni, depressione e terrore». (p. 32)
  • Alcuni si sentono a disagio alle prese con il concetto di colpa collettiva, secondo il quale dovremmo assumerci la responsabilità di azioni commesse da qualsiasi altro individuo. Ma sentirci in qualche misura coinvolti non è necessariamente un sentimento inutile: ci spinge anzi a capire cosa sia la responsabilità morale e a lavorare per un cambiamento. (p. 33)
  • I cinghiali sono notoriamente diffidenti con gli umani e ne hanno ben donde, visto che sono stati cacciati fino a sfiorare l'estinzione in diverse parti del pianeta, e sono temuti e disprezzati quasi ovunque. (p. 52)
  • Chi vive con i maiali spesso li descrive come fossero cani: sono intelligenti, leali e, soprattutto, affettuosi. Chi li conosce sottolinea sempre che ognuno di loro è un individuo unico e particolare. (p. 56)
  • Non sapevo neppure che le galline potessero volare, e all'improvviso ecco che una atterra su di me. È successo mentre stavo visitando una fattoria rifugio. Se fossi stato un bambino, avrei implorato i miei genitori di portarla a casa! Dopotutto, mi ha scelto. Forse avrebbe scelto chiunque altro, ma non importa; era particolarmente amichevole. Faceva uno strano verso gentile, come se tubasse, e si è accoccolata tra le mie braccia come un gattino felice. [...] In realtà era una gallina come le altre, ma non aveva alcun motivo di credere che la gente le volesse fare del male. È così che polli e uomini si relazionerebbero se i primi non fossero sfruttati e gli altri non fossero gli sfruttatori. Sarebbe come con i cani e i gatti. I polli aspettano solo l'occasione. (p. 61)
  • Forse se avessimo capito che i polli sono uccelli e che hanno tutte le meravigliose qualità dei volatili, avremmo prestato maggiore attenzione al loro fascino. Per esempio fanno bagni di terra. Si chiamano bagni perché i polli cercano piccole buche di terra asciutta e poi vi si immergono, come in una vasca d'acqua calda. La terra pulisce le penne. La prima volta che ho visto un pollo fare un bagno di terra, allungare un'ala iridescente per esporla al sole, distendersi al tepore pomeridiano, e poi, la sera, volare senza alcuno sforzo su un albero e appollaiarsi, sono rimasto stupefatto. (p. 63)
  • A differenza dei mammiferi, è vero che gli uccelli non hanno neocorteccia, la regione del cervello dove si ritiene abbiano luogo i processi mentali più evoluti. Ma nonostante ciò i piccioni hanno la straordinaria capacità di risolvere problemi astratti sulla rotazione delle figure. [...] gli esseri umani sottoposti alla stessa prova fanno più errori e hanno un tempo di reazione maggiore dei colombi. Volando e guardando gli oggetti dall'alto i piccioni acquisiscono una competenza che agli esseri umani manca. (p. 64)
  • Sono stati condotti pochi studi sui versi delle pecore e tendiamo a pensare che siano monotoni, ma siamo noi a non avere orecchio musicale. Chi è in sintonia con loro percepisce di più. (p. 106)
  • Dopotutto che cos'è l'amore se non una sorta di imprinting psichico, le cui leggi sfuggono alla nostra comprensione? (p. 150)
  • [...] finché possediamo animali da allevamento con lo scopo di sfruttarli per le uova, il latte, la pelliccia o qualunque altra parte del loro corpo, non possiamo avere una relazione sana con loro, non più di quanto potremmo con un altro essere umano da noi sfruttato. (p. 153)
  • Forse dovremmo riabilitare l'efficacia narrativa di Darwin, che lanciava lontano la sua rete, osservando, interrogando, legando insieme elementi disparati e cercando di ricreare il disegno più grande dai dettagli più piccoli. (p. 193)
  • Diventare vegetariano per me è stato facile. Il tofu, che è un cibo meraviglioso, fritto con cipolle, aglio e salsa di soia ha un sapore migliore di qualunque carne io conosca. (p. 200)
  • «Che cosa ci guadagnano gli animali se divento vegetariano?» mi ha chiesto un amico l'altro giorno. Esiste una risposta valida. L'associazione Viva! – Vegetarian International Voice for Animals – spiega che se diventate vegetariani, nel corso della vostra esistenza salverete la vita di nove mucche, ventidue maiali, trenta pecore, ottocento polli, cinquanta tacchini, quindici anatre, dodici oche, sette conigli e una mezza tonnellata di pesce! (pp. 200-201)
  • Per me non è stato facile il passaggio dal vegetarianesimo al veganesimo [...]. Molti anni fa, quando ero solo vegetariano, incontrai il fantastico Cesar Chavez, che mi disse: «Se vuoi prevenire la sofferenza degli animali, la prima cosa a cui dovresti rinunciare sono uova e latte, perché gli animali che li producono conducono la più infelice delle esistenze. Faresti meglio a mangiare carne e smettere di mangiare uova e latticini». Ero sconvolto, perché non avevo alcuna intenzione di mangiare carne, ma non avevo mai pensato di rinunciare a uova e latticini. Ma quando esaminai a fondo la questione capii che aveva ragione, e adesso, a distanza di anni, dopo aver studiato l'argomento da vicino, so per certo che era nel giusto, per via del trattamento crudele inflitto agli animali allevati per questi prodotti.
    I vantaggi di una dieta vegana sono enormi e riguardano la nostra salute, l'ambiente e gli animali. (p. 201)
  • Sono andato a trovare Karen Davis, fondatrice di United Poultry Concerns, e sono riuscito a vedere in prima persona quanto ama i polli e tutti gli altri volatili da cortile. Nessuno ne sa più di lei né li cura con maggiore dedizione. Raccomando caldamente i suoi due bellissimi libri su polli e tacchini. Hanno cambiato il mio modo di pensare. (p. 254)

Citazioni su Il maiale che cantava alla luna

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  • È una lettura imperdibile. Masson vi racconta qual è la natura autentica degli animali che siamo abituati a considerare merce-cibo, quindi galline, maiali, mucche, capre e pecore. Il racconto procede per aneddoti e storie concrete, attraverso la visita diretta a rifugi per animali e le testimonianze di persone che con loro convivono e li conoscono bene. È un testo pieno di sorprese [...]. (Lorenzo Guadagnucci)

La vita emotiva dei gatti

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Ho sempre amato cani e gatti e fin da bambino ho vissuto con loro. Alcuni anni fa ho scritto un libro, I cani non mentono sull'amore, dedicato alla vita emotiva di questi animali meravigliosi. È un libro che ha avuto molto successo. Eppure ho notato che spesso i lettori mi parlavano in modo dispregiativo dei gatti, sostenendo che non sono in grado di avere sentimenti o che sono essenzialmente animali insensibili. Sapevo che non è vero, ma si tratta di una realtà non del tutto ovvia. Troppe persone sono propense a considerare i gatti creature di basso rango, che provano poche emozioni, o che per lo meno non meritano di venire considerate seriamente. Invece sono convinto che i gatti siano sensibilità pura.

Citazioni

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  • Probabilmente siamo propensi a interpretare come vanità, indifferenza, superiorità, arroganza o distacco quella che in realtà è una forma di autocompiacimento: perché il gatto è felice di essere se stesso. I gatti non hanno costante bisogno di rassicurazioni. Sanno già di essere meravigliosi. (p. 43)
  • I gatti sono contenti del loro destino, con o senza la nostra approvazione. (p. 43)
  • I gatti distolgono lo sguardo o battono le palpebre quando si sentono ben disposti. I cani, in una situazione analoga, socchiudono leggermente gli occhi. [...] gli esseri umani sono forse gli unici mammiferi che esprimono intimità con lo sguardo (nelle scimmie, nei cani e nei gatti comunica ostilità). (p. 50)
  • Se accarezzati e coccolati, i gatti guardano i loro compagni umani con uno sguardo che possiamo interpretare – secondo me in modo corretto – come adorazione. (p. 50)
  • Ma che cos'hanno in comune cani, gatti ed esseri umani? La dedizione all'amore. (p. 52)
  • I gatti non offrono molte opportunità. Provate ad abusare della fiducia di un gatto per un paio di volte e presto uscirete dalla sua vita, perché i gatti sono meno disposti a perdonare dei cani e spesso perdono la fiducia in noi se ci comportiamo male. Con un cane è difficile correre il rischio di tirare troppo la corda; non con un gatto. (pp. 56-57)
  • È difficile chiedere qualcosa a un gatto, tantomeno qualcosa che sia pericoloso. (p. 57)
  • Gli esseri umani apprezzano molto la coerenza e li disturba il fatto che i gatti abbiano regole differenti. Anche se un gatto sarebbe capace di rinunciare alla vita per noi, non significa che intenda cambiare idea su nostra richiesta. (p. 60)
  • È raro che si verifichi un'eccezione: una volta che un gatto ha deciso di fare una determinata cosa, le nostre suppliche non gli interessano affatto. In circostanze analoghe, un cane cambierà idea se insistiamo, non importa quanto sia urgente il suo bisogno di compiere una determinata azione. Un cane accetta i compromessi, è altruista, si preoccupa innanzitutto di come stiamo noi. I gatti no. (pp. 60-61)
  • Anche se gli antichi egizi consideravano i gatti divinità, non esistono prove concrete di un'interazione affettiva tra quella popolazione e i felini. I gatti furono ammirati per ragioni estetiche, ma raramente – pare – presi in considerazione, vezzeggiati e coccolati. Negli antichi testi non compaiono le fusa. (Non esiste un termine in latino o in greco antico a indicare le fusa, il che significa che persino i grandi naturalisti greci non notarono il fenomeno, ed è molto strano.) Si tratta di un'osservazione significativa, perché in effetti le popolazioni dell'epoca potrebbero non avere notato che i gatti fanno le fusa, e quindi non li avrebbero considerati degni d'affetto, un animale con il quale condividere una certa intimità. (p. 62)
  • Per un gatto, l'idea di essere proprietà di qualcun altro è ridicola. (p. 68)
  • Il gatto non si limita a provare soddisfazione: la emana e la trasmette. Impossibile trovarsi in presenza di un gatto soddisfatto e non venirne contagiati. Il che è senz'altro una delle principali ragioni per cui amiamo tanto i gatti. (p. 80)
  • Come tutti sanno, a differenza del sorriso di un essere umano, le fusa non possono essere false. (p. 81)
  • È raro che un gatto cerchi di mangiarla [l'erba gatta]; l'annuserà e ci si strofinerà contro, magari rotolandoci sopra. I gatti la masticano, la mordono o la leccano. Come spiega Desmond Morris nella sua enciclopedia sui felini, Cat World, potrebbero andare in trance o in estasi o diventare contemplativi. Alcuni gatti sono come rapiti; altri impazziscono di piacere, facendo le fusa in modo molto sonoro, rotolandosi ripetute volte e saltando in aria. (p. 87)
  • In realtà, l'erba gatta non procura nessun effetto a circa metà dei gatti: pare che la predisposizione a ciò venga trasmessa geneticamente. Sembra che l'olio dell'erba gatta contenga un sostanza simile a un ferormone felino utile alla riproduzione: probabilmente è per questo che i cuccioli la evitano e comunque su di loro non ha effetto. (pp. 87-88)
  • L'erba gatta agisce anche sui gatti sterilizzati: sembra indurre uno stato simile a quello che gli esseri umani sperimentano con la marijuana, l'LSD o altre droghe che alterano la mente. (p. 88)
  • Molte persone si sentono più complete con un felino nella loro vita e non mi sorprenderei se fosse una sensazione reciproca. So che se sparissi dalla loro vita, i miei cinque gatti non sarebbero più felici come prima. Lo dico perché mi aspettano per andare a camminare lungo la spiaggia, anche se potrebbero benissimo andarci da soli. Quando sono con loro reagiscono in modo così vistoso, saltando, correndo davanti a me e lasciandosi cadere lungo il sentiero, che è evidente che provano un grande piacere per la mia vicinanza. Eppure non riesco a credere che apprezzino la mia compagnia quanto io la loro. Non c'è nulla di strano: l'uomo ha addomesticato il gatto a suo beneficio. Anche se i felini ne ricavano qualcosa, probabilmente siamo noi a guadagnarci. (p. 92)
  • Forse i gatti sono qui per insegnarci questo: a vivere l'attimo in modo così completo, con un tale coinvolgimento che lo faccia durare in eterno. (p. 93)
  • Le persone che vivono in città devono sforzarsi di escogitare il modo per arricchire la vita del loro gatto. Il migliore è senz'altro trascorrere molto tempo in sua compagnia e offrirgli tanto affetto. (p. 104)
  • Se i gatti si affezionano ai luoghi, agli altri gatti e a noi, se sono perfino capaci di amare e provare compassione per i loro simili e per noi, come mai, molto spesso, in loro presenza ci sentiamo inadeguati, sensazione che raramente gli esseri umani provano in compagnia dei cani? (Qualcuno ha detto che solo i cani hanno un padrone; i gatti hanno il personale di servizio!) Penso succeda perché i gatti riservano ancora le reazioni più intense agli altri animali: gatti, uccelli, perfino insetti. Quando li vedono, diventano di colpo vigili e molto interessati, sembrano quasi ossessionati. Noi umani rimaniamo ancora in secondo piano: "Ah, certo, sei tu". (p. 112)
  • Raramente un animale, compreso l'uomo, riesce a essere fedele a se stesso quanto un gatto. (p. 113)
  • "Non desiderare la preda d'altri" potrebbe benissimo essere un comandamento felino, perché una volta che un gatto ha catturato una preda e la sta portando in giro, a nessun altro gatto è permesso avvicinarsi, non importa quale sia il suo rango, taglia o età. È una regola immancabilmente rispettata. È assimilabile alla legge canina per la quale, quando un cane ha un osso in bocca, non gli si avvicinerebbe nessun altro cane, anche se il possessore è di rango inferiore. (p. 129)
  • "Vivi e lascia vivere" è in assoluto il principio fondamentale del mondo felino. (p. 166)
  • Perché un cane perdona subito e un gatto quasi mai? Il cane si aspetta di essere punito; il castigo è scritto nei suoi geni. Le cagne puniscono i cuccioli fin dalla tenera età. Una gatta difficilmente punisce i piccoli. (p. 166)
  • Z.Y. Kuo [...] ha dimostrato che un gatto ha bisogno di essere educato a cacciare. I gattini cresciuti con una madre che uccideva i topi in loro presenza uccidevano a loro volta alla prima opportunità; invece i piccoli gatti cresciuti da soli lo facevano raramente, e quelli cresciuti in gabbia in compagnia di un topo mai. In casi simili, la familiarità genera affetto, o almeno tolleranza. Questo vale per i gatti ma non per gli altri animali perché i gatti sono più curiosi nei confronti di altre specie, soprattutto da cuccioli. (pp. 198-199)
  • Poiché dal punto di vista evolutivo i gatti sono creature solitarie, la domanda alla quale è quasi impossibile rispondere è se un gatto selvatico adulto giochi mai. Non sono al corrente di nessun esempio registrato con una ripresa video o riportato da un osservatore nascosto. Immagino che un gatto selvatico talvolta afferri con gli artigli o insegua un oggetto per divertimento, ma che l'evento abbia breve durata. Associandosi agli esseri umani, i gatti hanno guadagnato l'incremento e la maggiore intensità della propria attività ludica. (p. 226)

Elizabeth Marshall Thomas ha intitolato il suo libro sui cani La vita segreta dei cani non tanto perché desiderava conoscerne la vita interiore ed emotiva, quanto piuttosto perché le interessava quello che fanno i cani quando sono liberi di vagabondare in libertà. L'esistenza che i miei gatti conducono lontano da me rappresenta la vita segreta dei gatti. Ne catturo qualche barlume sulla spiaggia, dal vicino, nei pressi del grande albero. Vengono regolarmente a casa per salutarmi, a volte dormono qui e mangiano sempre quello che gli offro; spesso riposano all'ombra sotto le sdraio del portico affacciato sull'oceano nel calore estivo.
Talvolta mi chiamano, come per invitarmi a partecipare a qualche avventura speciale, diversa e più misteriosa delle nostre consuete camminate. Ma non sono in grado di decifrare il loro linguaggio e sono costretto a declinare l'invito. Alzano le spalle e se ne vanno non so dove per conto loro, lasciandomi con la sensazione di essermi lasciato sfuggire qualcosa di essenziale, la chiave per accedere all'enigma di questi esseri perfetti che hanno onorato la mia vita per breve tempo senza che sia riuscito a catturarne il mistero.

Nel regno dell'armonia

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Questo libro riguarda un semplice, tranquillo esperimento – o forse dovremmo chiamarlo un'indagine – per capire quali siano gli elementi essenziali nelle amicizie e persino nell'amore fra specie. L'idea di base era allevare insieme, a stretto contatto, un gattino, un cucciolo di cane, un coniglietto, un pulcino e un piccolo di ratto per vedere se sarebbero andati tutti d'accordo, diventando magari buoni amici.

Citazioni

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  • Forse in tempi lontanissimi [i cani] si resero conto che noi umani eravamo emotivamente impediti e decisero di semplificarci le cose: scodinzolio uguale felicità. I loro musi sono mesti quando si sentono tristi. Pochi hanno difficoltà ad afferrare quello che prova un cane. I gatti non si sono mai presi la briga di rendersi leggibili. (p. 57)
  • [...] la cosa più importante che possiamo chiedere a proposito di qualsiasi animale è: che cosa lo rende felice? Spesso gli etologi si sono desolatamente arresi, come se ci fosse impossibile rispondere a un quesito tanto complesso. Non è vero. In realtà la risposta è semplicissima. La conosciamo tutti: un animale è felice quando fa quello che l'evoluzione l'ha portato a fare in natura. Qualsiasi limitazione di spazio, di rapporti e di durata della vita crea condizioni per l'infelicità. (p. 62)
  • È buffo: mi sono sempre considerato un appassionato di cani, ma in realtà me la cavo meglio con i gatti. I nostri tre sono così indipendenti che possiamo vivere ognuno la propria vita e riunirci solo quando è desiderio comune. Il che mi dà molte soddisfazioni. (p. 137)
  • Per prima cosa, le otto regole della tolleranza:
    1. Starsene alla larga.
    2. Non attaccar briga.
    3. Se provocati, andarsene.
    4. Evitare il contatto visivo.
    5. Se il nemico ha abitudini diurne, adottare quelle notturne.
    6. Viceversa.
    7. Non possedere niente che l'altro voglia.
    8. Divieto categorico di nuocere a bambini, da difendere fino alla morte. (p. 138)
  • Una volta raggiunta la tolleranza, viene il gioco. Ecco le sue nove regole:
    1. Sapere quando smettere.
    2. Imparare a dare un equo vantaggio.
    3. Imparare che cosa spaventa l'altro (unghielli di gatto).
    4. Non arrabbiarsi. È soltanto un gioco; non bisogna prenderlo sul serio (difficile per i gatti – nei loro giochi c'è sempre il rischio di un'escalation).
    5. Non mangiare il compagno di gioco.
    6. Attenzione ai segnali dell'altra parte: per esempio "basta" e "smettiamo".
    7. Non cambiare le regole all'improvviso.
    8. Imparare a perdere con garbo.
    9. Ricordare che è solo un gioco. (pp. 138-139)
  • E se il gioco riesce, possiamo passare alle otto leggi dell'amicizia:
    1. Imparare le regole dell'altro.
    2. Riconoscere che non sussiste più un pericolo.
    3. Prendersela con calma.
    4. Un passo alla volta.
    5. Scusarsi spesso imparando i versi, i gesti, i suoni e le posture dell'altro per dire: "Scusa".
    6. Riconoscere i propri errori.
    7. Offrire la propria amicizia più di una volta.
    8. Manifestare curiosità a proposito dell'altro. (p. 139)
  • Nessuno comprende le origini dei conflitti dell'uomo, né si profilano risposte plausibili. (p. 141)
  • Per troppo tempo gli scienziati hanno detto cose come: "L'uomo è l'unico animale che ha la parola, l'unico animale che si serve di utensili, l'unico animale che trasmette cultura". Tutte queste affermazioni sono state tacitamente abbandonate nel corso degli ultimi vent'anni. (p. 141)

Forse per noi umani è possibile cambiare direzione, guardare agli animali non come a rivali o a un'altra specie da colonizzare, ma come a modelli per realizzare qualcosa che ci è sfuggito durante tutta la nostra storia evolutiva. Se gli animali possono imparare a vivere in armonia, e a volte persino in amicizia, con le altre specie, osservare questa straordinaria capacità non può fungere da catalizzatore per noi? Esiste la possibilità che l'armonia fra nazioni non sia necessariamente una pura fantasia, ma qualcosa che siamo in grado di apprendere seguendo con attenzione i risultati ottenuti da queste cosiddette specie inferiori? Le uniche cose di cui abbiamo bisogno sono impegno e umiltà.

Incipit di Il gatto che venne dal freddo

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Migliaia di anni fa, nella foresta dell'India meridionale, Billi era intento a rimirarsi appollaiato sul suo ramo preferito del suo mango preferito nel suo boschetto di manghi preferito. Allungò una zampa flessuosa, poi l'altra. Si lavò il muso. Fece guizzare la coda. Osservò le proprie macchie nere e marroni. Che meraviglia essere un gatto leopardo asiatico forte, bello e regale!
Una nube oscurò il sole. Billi avanzò in modo impercettibile lungo il ramo: il sistema migliore per crogiolarsi al tepore dei raggi che svanivano. Adorava essere così piccolo e leggero.

Note

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  1. Dalla prefazione a Gabbie vuote, p. 11
  2. Shock and awe (vedi la voce su Wikipedia).
  3. Dalla prefazione a Gabbie vuote, pp. 13-14
  4. I would go further than the feminists who say pornography is the theory, rape the practice, and say the pornography is already the practice. Pornography, in my opinion, is the expression of sexual abuse. It is no more a fantasy than sexual abuse is a fantasy. [...] To tolerate pornography under the guise of protecting freedom of expression, or freedom of thought, or freedom of fantasy, is to subscribe to a view of fantasy that has no basis in reality, and has simply served as yet another instrument of women's subjugation. (citato in Catharine A. MacKinnon, Andrea Dworkin, In harm's way: the pornography civil rights hearings, Harvard University Press, 1997, p. 338)

Bibliografia

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  • Jeffrey Moussaieff Masson, Chi c'è nel tuo piatto? Tutta la verità su quello che mangi, traduzione di Nello Giugliano, Cairo editore, Milano, 2009. ISBN 978-88-6052-218-4
  • Jeffrey Moussaieff Masson, Il gatto che venne dal freddo: una favola, traduzione di Giuditta Ghio, Marco Tropea Editore, Milano, 2006. ISBN 88-438-0556-8
  • Jeffrey Moussaieff Masson, Il maiale che cantava alla luna: la vita emotiva degli animali da fattoria, traduzione di Giuditta Ghio, il Saggiatore, Milano, 2009. ISBN 978-88-565-0133-9 (Anteprima su Google Libri)
  • Jeffrey Moussaieff Masson, La vita emotiva dei gatti: un viaggio nel cuore felino, traduzione di Giuditta Ghio, il Saggiatore, Milano, 2008. ISBN 978-885650011-0 (Anteprima su Google Libri)
  • Jeffrey Moussaieff Masson, Nel regno dell'armonia, traduzione di Fenisia Giannini, Tropea, Milano, 2007. ISBN 978-88-558-0015-0
  • Tom Regan, Gabbie vuote: la sfida dei diritti animali, traduzione di Massimo Filippi e Alessandra Galbiati, Edizioni Sonda, Casale Monferrato, 2005. ISBN 88-7106-425-9

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