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Harold Bloom

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Harold Bloom

Harold Bloom (1930 – 2019), critico letterario statunitense.

Citazioni di Harold Bloom

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  • Il '68 ha distrutto l'estetica introducendo una finta controcultura politically correct in base alla quale basta essere un’esquimese lesbica per valere di più come scrittrice.[1]
  • Emerson rimane la figura centrale nella cultura americana.[2]
  • Ritengo che la critica, per come ho sempre tentato di interpretarla, sia in primo luogo letteraria, e con questo intendo personale e passionale. Non si tratta di filosofia, politica o religione: nei casi più alti è una forma di letteratura sapienziale, e quindi una meditazione sulla vita.[3]
  • Credo che in realtà Amleto abbia ben poco a che fare con lo spirito cristiano. La sua sensibilità è certamente più protestante che cattolica, ma nell'intimo è un ermetico e un nichilista, non privo di atteggiamenti umanisti. Il suo ruolo somiglia a quello del Gesù del Vangelo di Marco che è scettico, e continua a chiedere chi sia, a cercare la propria identità, e i suoi discepoli sembrano non capirlo. Sono caratteristiche che ha anche Amleto, anche nei confronti di chi lo circonda.[3]
  • [...] non riuscirò mai a capire l'entusiasmo per David Foster Wallace e Jonathan Franzen. Ho finito da poco Freedom e mi sembra Pynchon in versione annacquata.[3]
  • Considero Valery un grandissimo poeta, lo preferisco a Baudelaire e Mallarmé. Credo che abbia avuto su di me un'influenza superiore a quella di Borges. Quello che afferma è una grande verità: ogni autore crea per definire se stesso. E si tratta di una ricerca continua.[3]
  • Omero era in competizione con gli autori del passato, ma dopo di lui tutti sono entrati in competizione con lui: Esiodo, Platone, i tragici. La poesia della Bibbia è agonistica in maniera più sottile, ma rimane aperto il conflitto tra autorità e ispirazione. Dante trionfò su Virgilio e il latino medievale, dando all'Occidente l'unico possibile rivale di Shakespeare, il quale aveva dominato su Marlowe… È un po' sempre stato così e credo che le cose non cambieranno mai.[3]

Gesù e Yahvè

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Questo libro è incentrato su tre figure: un personaggio più o meno storico, Yeshua di Nazareth; un Dio teologico, Gesù Cristo; e un Dio umano, troppo umano, Yahvè. Una simile frase d'apertura suonerà inevitabilmente polemica, la mia speranza, tuttavia, è soltanto quella di contribuire a mettere meglio in luce alcuni aspetti della questione (se ciò mi sarà possibile), mentre non è mio intento offendere nessuno.

Citazioni

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  • Non siamo a conoscenza di alcun fatto storico verificabile a proposito di Gesù di Nazareth. Le poche vicende a cui si riferisce Giuseppe Flavio, sulle quali tutti si basano, sono alquanto sospette, poiché questo storico, prima di prendere il suo nome romano, era stato Josef ben Mattia, uno dei leader della rivolta ebraica, e si era salvato la vita gettandosi ai piedi degli imperatori della dinastia Flavia: Vespasiano, Tito e Domiziano. Dopo che un individuo ha acclamato Vespasiano come il Messia, nessuno dovrebbe essere più disposto a credere a ciò che scrive riguardo al suo popolo. (Parte prima. Chi era Gesù e cosa sappiamo della sua vita?, p. 27)
  • Personalmente, per ragioni letterarie e spirituali, preferisco il Vangelo di Tommaso all'intero corpo del Nuovo Testamento canonico, perché quest'ultimo è impregnato di un odio malinformato contro i giudei, benché sia stato composto quasi interamente da giudei in fuga da se stessi, e disperatamente tesi a ingraziarsi i propri signori e sfruttatori romani. (Parte prima. Ricerche e ricercatori di Gesù, p. 33)
  • La veemenza e la violenza che caratterizzano la personalità dell'apostolo [Paolo] si manifestano in tutte le sue lettere, che in massima parte sono dirette contro i giudeo-cristiani, più che contro i giudei e il giudaismo. (Parte prima. San Paolo, p. 67)
  • Paolo è più un agitatore che un teologo mistico, per non dire un pensatore sistematico. Il suo Yahvè si riduce alla figura di Dio Padre, la cui funzione, in linea di fatto, consta praticamente soltanto della sua relazione con il Figlio. Dato che il Cristo di Paolo è slegato da qualunque Gesù storico come il suo Dio Padre lo è da Yahvè, ne risulta un curioso vuoto nella dottrina paolina. (Parte prima. San Paolo, p. 68)
  • L'argomento principale di questo libro non è il passaggio da Gesù il Nazareno a Cristo, bensì la sorprendente giustapposizione di due nomi divini molto differenti tra loro: Gesù Cristo e Yahvè. E tuttavia, il divario tra queste due versioni di Dio non può essere compreso senza cogliere in un qualche modo il profondo abisso tra il Yeshua storico e il Dio teologico Gesù Cristo. È probabile che Yeshua di Nazareth, se fosse in qualche modo riuscito a sopravvivere alla crocifissione e a raggiungere la vecchiaia, avrebbe guardato con stupore il cristianesimo. (Parte prima. Gesù e Cristo, p. 111)
  • [...] il principale (e segreto) scopo della Trinità è quello di giustificare la sostituzione del Padre con il Figlio, dell'Alleanza originaria con il Testamento Tardivo, e del popolo ebraico con i gentili. Gesù Cristo è un nuovo Dio che ricalca il modello greco-romano di Zeus-Giove che usurpa il regno di suo padre, Chronos-Saturno. L'imperatore Costantino, quando scelse di istituire il cristianesimo come religione dell'autorità romana, riconobbe intelligentemente in Gesù Cristo una continuazione della tradizione pagana. Come un Saturno ormai passato di moda, Yahvè si ritirò allora tra i superstiti del popolo ebraico, finché non ritornò, con l'islam, nelle vesti di Allah. (Parte prima. La Trinità, p. 117)
  • Padre, Figlio e Spirito Santo sono delle sublimi metafore, mentre lo Yahvè del Redattore Y[4] era una persona concreta con una propria personalità, così come il Gesù [del Vangelo] di Marco. Direi che nel monoteismo occidentale ci sono soltanto due versioni drammatiche convincenti di Dio: Yahvè e Allah. Gesù Cristo è una metafora notevolmente eterogenea, mentre Dio Padre e lo Spirito Santo sono tenui analogie. Il Gesù americano è tutt'altra cosa, poiché va oltre la metafora e ha assunto su di sé il mito nazionale del nuovo popolo [degli Stati Uniti] scelto per un futuro di meravigliosa felicità, che ha come proprie componenti un egoismo emancipato e una solitudine interiore che si autodefinisce come autentica libertà. (Parte prima. La Trinità, pp. 123-24)
  • Chi non ha genitori, non può contare su qualcuno che lo istruisca: Yahvè è quindi necessariamente un autodidatta. Gesù, invece, ha dei genitori; tuttavia, Il Nuovo Testamento non mostra praticamente alcun interesse per la figura di Giuseppe, e Maria (Miriam) è ben lontana dalla divinità esaltata dal papa nel 1950 [5] [...]. (Parte seconda. Gesù e Yahvè: la sfida per il genio, p. 210)
  • Secondo i grandi rabbini, la creazione è semplicemente finalizzata all'essere umano: Yahvè non si è posto alcun altro scopo. E, nella sua opera, ha adottato un approccio monistico: l'uomo ebreo non è diviso nella contrapposizione tra carne e spirito, ma è «un'anima vivente». Il dualismo paolino, che sfocerà alla fine nella separazione cartesiana di mente e corpo, è platonico e non ebraico. (Parte seconda. I grandi rabbini a proposito di Dio, p. 229)

Il bisogno (o la brama) di trascendenza potrebbe benissimo essere una grande stoltezza, ma senza di essa gli esseri umani tenderebbero a diventare mere macchine entropiche. Yahvè, presente e assente, ha più a che fare con la fine della fiducia che con la fine della fede. Ma egli sarà disposto a stringere con noi un'alleanza alla quale potrà restare – e resterà – fedele?

Il genio

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  • Il genio, a mio parere, è stravagante e sommamente arbitrario e, in ultima analisi, è isolato.
  • Un contemporaneo di Dante avrebbe potuto avere precisamente il suo stesso rapporto con la tradizione, la sua cultura minuziosa e un amore affine al suo per una donna paragonabile a Beatrice, ma solo Dante ha scritto la Divina Commedia.
  • Borges osservò che Shakespeare era «tutti e nessuno», affermazione che io modificherei in «tutto e niente», «la corona» della letteratura eppure il principale «nulla». Essendo io l'ammiratore numero uno di Shakespeare, non ritengo azzardato considerare il genio di Shakespeare una sorta di divinità secolare.

Note

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  1. Dall'intervista di Alessandra Farkas, Il lamento di Bloom: è un nobel per idioti, Corriere della Sera, 5 marzo 2009.
  2. Da La saggezza dei libri.
  3. a b c d e Citato in Antonio Monda, Harold Bloom: Perché non mi piacciono Foster Wallace e Franzen, la Repubblica, 19 aprile 2011.
  4. «Redattore Y o Yahvista – l'autore della parte fondamentale di ciò che oggi chiamiamo Genesi, Esodo e Numeri [...].» (da Introduzione, p. 12)
  5. Dogma dell'assunzione di Maria. Cfr. voce su Wikipedia.

Bibliografia

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  • Harold Bloom, Gesù e Yahvè. La frattura originaria tra Ebraismo e Cristianesimo (Jesus and Yahveh. The Names divine), traduzione di Daniele Didiero, BUR Saggi, Rizzoli, Milano, 2007.
  • Harold Bloom, Il genio: Il senso dell'eccellenza attraverso le vite di cento individui non comuni, traduzione di E. Banfi, R. Cantalupi, A. Crea, D. Didero, S. Galli, A. Vanoli, R. Zuppet, Rizzoli, Milano, 2002.

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