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Tantrāloka

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Luce dei Tantra
Titolo originaleतंत्रालोक
AutoreAbhinavagupta
1ª ed. originaleX-XI secolo
Generesaggio
Sottogenerefilosofia, teologia, mistica
Lingua originalesanscrito

Il Tantrāloka ("Luce sui Tantra", devanagari: तंत्रालोक) è un'opera in lingua sanscrita composta nel X-XI secolo e considerata l'opera principale del filosofo Abhinavagupta, il più noto esponente dello Shivaismo kashmiro. L'opera presenta una sintesi dei Tantra monistici e delle dottrine delle principali scuole dello Shivaismo. Scritto in versi (śloka), il Tantrāloka contiene aspetti sia ritualistici che filosofici per complessivi 37 capitoli. Abhinavagupta scrisse inoltre una versione condensata del Tantrāloka, il Tantrasāra, in prosa.

«О insieme delle cose! Di forza t'impossessi dei nostri cuori, e, a mo' d'attore, ti diverti a celare, sotto mille varie parvenze, la tua vera natura! Chi ti chiama insenziente, lui davvero insenziente, diseducato e a torto pretendente a una sensibilità che non ha! E, io penso, questa sua insenzienza, gli è titolo di lode, ché, almeno, ha una qualità in comune con te!»

Altorilievo di Bhairava, Karnataka, India, XIII secolo, attualmente presso il Museo Guimet, Parigi. Bhairava (lett.: "Il Tremendo") è ipostasi di Śiva, ma anche uno dei nomi con cui l'Assoluto è indicato in alcuni testi delle tradizioni dello Shivaismo kashmiro. Bhairava è inteso come colui che dissolvendo l'ignoranza spirituale consente lo slancio verso livelli di conoscenza superiori.

Nel primo capitolo così il filosofo suddivide il contenuto dell'opera:[1]

1....Le varie forme di conoscenza

Il capitolo funge da introduzione e riguarda sostanzialmente la conoscenza e la liberazione. La conoscenza di cui qui si parla è la conoscenza spirituale, della Realtà Suprema.
Più che un'opera di filosofia, il Tantrāloka è un "manuale di mistica"[2]: l'esposizione dei contenuti filosofici e teologici è finalizzata alla pratica, alla descrizione cioè dei riti e dei corrispondenti apparati rituali, il cui scopo ultimo è, come in quasi tutte le tradizioni hindu, la liberazione dalla trasmigrazione. Secondo Abhinavagupta e i suoi predecessori, la Realtà Suprema, l'Assoluto (anuttara), è Coscienza Assoluta (saṃvittattva), ente supremo e indifferenziato, Śiva. Non appena questa Coscienza si predispone a emanare un universo, Essa si presenta come unità di due princìpi, Coscienza e Energia, Śiva e Śakti. Ogni parte dell'universo, fisica o mentale, è espressione particolare di questo Assoluto.
Il contenuto dell'opera è suddiviso in 36 capitoli (āhnika, lett.: "giornate") più uno, numero corrispondente a quello dei princìpi (o categorie, tattva) che il filosofo, rifacendosi ale tradizioni tantriche che lo hanno preceduto, enumera quali princìpi fondamentali dell'emanazione cosmica dell'Assoluto, la trentasettesima categoria.

2....La compenetrazione senza mezzi di realizzazione

Nei capitoli dal secondo al quarto sono descritte le quattro tipologie di mezzi[3] che conducono alla liberazione (mokṣa, o anche mukti): il "mezzo senza mezzi" (anupayā); il "mezzo divino" (śāmabhavopāya); il "mezzo potenziato" (śāktopāya); il "mezzo individuale" (āṇavopāya).
Il cosiddetto "mezzo senza mezzi" è introdotto da Abhinavagupta per indicare quella forma di realizzazione invero priva di qualsivoglia pratica, situata nel dominio della trascendenza, dove conoscenza, mezzo di conoscenza e oggetto della conoscenza si fondono senza distinzione, per effetto di una congiunzione naturale con l'Assoluto.
Lo stesso argomento in dettaglio: Shivaismo kashmiro § Le strade della liberazione.

3....Il mezzo supremo (o «divino»)

La prima lettera in scrittura devanāgarī della lingua sanscrita, simbolo dell'Assoluto. I fonemi della lingua sanscrita sono considerati il dispiegamento dell'emissione fonematica operata dall'Assoluto per dare luogo alla "parola", in quanto tali essi sono il veicolo sonico della potenza divina. Nel III capitolo Abhinavagupta espone il mezzo divino e si sofferma a lungo sulla descrizione delle potenze dell'Assoluto nella loro forma di fonemi. Nel rito di iniziazione descritto nel capitolo XV, l'intera disposizione dei fonemi è imposta sul corpo dell'allievo.
Il mezzo divino si pone al di là delle rappresentazioni soggettive, nel dominio dell'unità, là dove la percezione della realtà non è mediata né dalla parola né dal pensiero.

4....Il mezzo «potenziato»

Il mezzo potenziato, ponendosi nel dominio della differenziazione percepita però ancora come unità nella differenza, si basa sul pensiero quale espressione e mezzo della conoscenza. Il termine, "potenziato", deriva da śakti, traducibile con "potenza", "energia", "facoltà", e fa riferimento a Śakti, l'energia divina, spesso personificata come Dea in molte tradizioni.

5....Il mezzo «particoliforme»

Il mezzo individuale[4] comprende tutte quelle forme di pratiche esteriori, quali i riti, i mantra, lo yoga fisico (esercizio di posture e respirazione), eccetera, che quindi operano nel dominio della realtà differenziata e si servono di una percezione analitica.

6....Il mezzo del tempo

Viene qui spiegata la natura del tempo e il suo dispiegarsi sia a livello del microcosmo umano, sia a livello del macrocosmo universale.

7....Il sorger delle ruote

Le ruote (cakra) sono disposizioni geometriche circolari, e qui si fa riferimento alle ruote dei mantra e delle vidyā (mantra presieduti da divinità femminili). In quanto tali, i cakra sono una forma del divino. Il termine trova uso in differenti contesti, quali ad esempio i cakra come elementi del corpo yogico; oppure il cakra come "circolo di culto tantrico", l'insieme cioè dei membri locali di una specifica tradizione. Così Abhinavagupta spiega il termine:

«Il termine cakra, ruota, è associato alle radici verbali che significano «espandere» [l'essenza] (kas-), «essere appagato» [da questa essenza] (cak-); «spezzare i legami» (kṛt-) e «agire efficacemente» (kṛ-).[5] Così la ruota dispiega, è appagata, rompe e ha la potenza di agire.»

8....Il cammino dello spazio

Si illustra lo spazio in relazione ai suoi contenuti, anche qui da due punti di vista, del microcosmo e del macrocosmo.

9....Il cammino dei princìpi

Il tema è lo svolgersi dell'emanazione cosmica nei suoi 36 princìpi costitutivi, e quindi del legame causa-effetto che li lega.

«Per principio s'intende la forma comune che si estende ad un determinato gruppo di prodotti, ad un insieme di qualità, ad una schiera di soggetti dotati di proprietà similari – così chiamato appunto perché si estende, pervade. Tale termine non si applica perciò né ai corpi né ai mondi.»

Lo stesso argomento in dettaglio: Shivaismo kashmiro § I 36 tattva.

10...La divisione dei princìpi

Vengono ulteriormente discussi i princìpi, raggruppandoli in base a varie caratteristiche. Gli argomenti fondamentali sono: la realtà; gli stati della coscienza; i soggetti conoscenti, cioè i differenti livelli in cui l'individuo può situarsi quando è soggetto di conoscenza.

11...Il cammino delle forze, etc.

Le forze (kalā) e il processo di differenziazione dei fonemi: questi i principali argomenti.

«la forma comune che si estende ed inerisce ad un dato gruppo di princìpi, diversa da quella che si estende ad altri gruppi, è chiamata, nella dottrina di Śiva, col nome di forza.»

12...La messa in opera del cammino

Qui Abhinavagupta torna sul lato pratico della dottrina presentata: il cammino cosmico va imposto nel corpo del praticante, che lo visualizzerà identificandosi così con l'universo, con la sua emanazione, con Śiva. Il capitolo funge da introduzione: i riti verranno descritti più oltre.

13...Le cadute di potenza e le oscurazioni

Dopo aver dimostrato la superiorità della sua dottrina su quella del Sāṃkhya, il filosofo parla qui della concessione della grazia (śaktipāta, lett.: "discesa di Śakti") e dell'oscuramento, due delle cinque operazioni fondamentali di Śiva, essendo le prime tre quelle di natura cosmica: emissione, mantenimento, riassorbimento.
Lo stesso argomento in dettaglio: Śaktipāta.

14...L'esordio dell'iniziazione

Si continua a parlare dell'oscuramento e degli effetti sul praticante. Il capitolo funge da introduzione ai seguenti dal XV al XXVIII, in cui Abhinavagupta descrive e discute i vari riti di iniziazione secondo le tradizioni del Trika. L'argomento sarà ripreso nel capitolo XXIX, questa volta secondo le tradizioni del Kula.

15...L'iniziazione attinente ai «regolari»

Il capitolo descrive nei particolari esecutivi l'insieme dei riti che consentono l'iniziazione dei discepoli ordinari (samaya dīkṣā), dall'esame delle loro attitudini, alla scelta del luogo dei riti, all'adorazione degli elementi necessari, alla purificazione, alla proiezione (nyāsa) dei mantra[6], alla proiezione di cammini, eccetera.
Così l'autore classifica gli adepti:

«(I discepoli son di due specie, «adepti» (sādhaka), desiderosi di fruizioni[7], e figli spirituali (putraka) aspiranti alla liberazione). Di «adepti» ve ne sono due tipi, «straordinari» (Śivadharmin), cioè alieni dalle attività ordinarie del mondo, e «ordinari» (lokadharmin), ossia desiderosi di frutti, dediti ad accumular buone azioni ed alieni dalle cattive. (I figli spirituali) aspiranti alla liberazione sono anch’essi di due specie, cioè privi di semenza (nirbīja) o dotati di semenza (sabīja).»

La "semenza" è la capacità di osservare regole fisiche e spirituali: non tutti la possiedono, dunque differenziata deve essere la cerimonia di iniziazione.

16...L'iniziazione attinente ai «figli spirituali»

Una riproduzione schematica del triśūlābjmaṇḍala, il maṇḍala del tridente e dei loti, adoperato in uno dei culti visionari della scuola del Trika e descritto nel capitolo XVI. Le tre dee del Trika sono immaginate sui rebbi del tridente, che quindi l'adepto visualizza nel proprio corpo ripercorrendo tutti e 36 i princìpi costitutivi della manifestazione cosmica, dalla terra a Śadaśiva, steso immobile sotto i rebbi in corrispondenza della sommità del suo capo, e oltre, fino alle tre dee supreme, Parāparā, Parā, Aparā.
Similmente al precedente, qui si descrivono però i riti che riguardano l'iniziazione dei "figli spirituali" (putraka): la meditazione sul maṇḍala del tridente e dei fiori della tradizione del Trika; la classificazione degli animali da sacrificare; la proiezione dei cammini; la proiezione dei mantra; eccetera.

17...Le varie cerimonie concernenti i medesimi

Questo capitolo prosegue il precedente, gli argomenti principali sono: la preparazione dei cordoncini; la purificazione dei princìpi; la combustione dei legami; eccetera.

18...L'iniziazione ristretta

È una cerimonia di iniziazione abbreviata. Abhinavagupta la riporta da due tantra, il Dikṣottara Tantra e il Kiraṇa Tantra.

19...L'iniziazione dell'uscita immediata (dal corpo)

Riguarda un rito particolare, quello che si esegue in favore di persone morenti.

20...L'iniziazione dell'alleggerimento

Il capitolo, molto breve, concerne l'esame dei maestri qualificati e l'iniziazione detta "dell'alleggerimento", per gli individui "offuscati".

21...L'iniziazione di assenti

Gli assenti sono individui non presenti, inclusi i morti: si tratta di un'iniziazione postuma, certo non rivolta a chiunque, ma soltanto a chi aveva già intrapreso un percorso spirituale.

22...L'astrazione dei segni

Qui Abhinavagupta parla dell'iniziazione dei discepoli che sono stati seguaci di dottrine considerate inferiori, quali quelle delle scuole buddhiste o vishnuite.

23...La consacrazione

La consacrazione è l'iniziazione di un nuovo maestro (ācāryakaraṇam): il capitolo descrive le analisi e i riti del caso.

24...L'ultimo sacramento

L'ultimo sacramento è il rito in favore di chi ha mostrato negligenza nel percorso.

25...Il rituale delle offerte post mortem

Le offerte post-mortem sono quelle rivolte agli antenati.

26...Le discipline post-iniziatiche
Così l'orientalista Raniero Gnoli riassume le varie tipologie di iniziazione:

«Le iniziazioni sono di più specie. Le iniziazioni di un adepto «straordinario» per ottenere le fruizioni[7] e di un figlio spirituale «dotato di semenza» per ottenere la liberazione abilitano gli interessati a praticare lo yoga, alla conoscenza, etc., e, non sono, in questo senso, uno strumento diretto, ma mediato dalla purificazione. Le iniziazioni di un adepto «ordinario», per ottenere fruizioni e di un figlio spirituale «privo di semenza» per ottenere la liberazione sono invece un mezzo diretto. Le due specie di iniziazioni che qui interessano Abhinavagupta sono le due indirette cui si è accennato. La prima, riguardante gli «adepti», è in grado di liberare solo dopo che questi avranno fruito delle fruizioni desiderate, e, da questo lato, non è diretta. La seconda è in grado di liberare direttamente, indipendentemente da fruizioni intermedie»

27...L'adorazione del liṅga

Il liṅga è inteso come forma esteriore di Śiva: la procedura rituale prevede l'evocazione del divino, la Sua installazione, effettuazione e permanenza nel liṅga.

28...I vari giorni d'adempimento, il rito dei sacri cordoni e le cerimonie occasionali

L'autore elenca ventitré "occasioni" nelle quali effettuare i riti cosiddetti speciali. Fra questi: l'ottenimento della conoscenza; una visita al maestro; una riunione coi partecipanti alla medesima linea spirituale; una particolare visione in sogno; l'incontro con una yogini[8]; eccetera. Il capitolo prosegue con la descrizione dei cordoncini sacri e delle cerimonie relative. Un altro argomento trattato è il destino post-mortem.

29...Il rituale segreto

Altorilievo che raffigura una coppia mentre copula (maithuna, "accoppiamento sessuale"), Orissa, India, attualmente presso il "Metropolitan Museum of Art" di New York. Il rituale che prevede il maithuna è descritto nel capitolo XXIX.
Vengono ripresentati in questo capitolo gli stessi riti precedentemente descritti, questa volta secondo la tradizione del Kula. Alcuni di questi riti fanno uso di pratiche e sostanze considerate proibite nell'ambiente brahmanico: è questo il motivo per cui Abhinavagupta etichetta il rituale come "segreto". Uno di questi riti, il dautavidhiḥ, prevede il maithuna, cioè l'unione sessuale, interpretata come unione con la potenza divina, la śakti, con cui, secondo queste tradizioni, la donna si identifica.

30...I vari mantra

Si parla della natura e della potenza dei mantra.

31...Il maṇḍala

Viene qui descritto nei particolari realizzativi il mandala dei tridenti e dei fiori secondo differenti testi.

32...Le mudrā

L'argomento sono la natura e l'uso delle mudrā.

33...Il raduno

Si prosegue con l'argomento delle ruote: il raduno è l'insieme delle dee-potenze che presiediono una ruota.

34...La penetrazione della natura propria

Il capitolo, che consta di soli quattro versi, esplicita che il percorso di chi ha intrapreso il mezzo individuale deve proseguire in quello del mezzo potenziato, e quest'ultimo in quello del mezzo divino.

35...L'incontro delle scritture

È una breve riflessione sulle varie tradizioni dell'epoca: Abhinavagupta esalta quelle del Trika e del Kula.

36...La trasmissione delle scritture

Si elencano i maestri della tradizione shivaita in relazione ai testi.

37...L'esposizione di come la scrittura da eleggere (sia quella scivaita)

L'autore prosegue con l'argomento dei due precedenti capitoli concludendo come questa sia l'opera da adottare come definitiva, essendo essa l'essenza della scuola del Trika, a sua volta essenza delle tradizioni del Kula, espressioni queste delle correnti moniste shivaite, che, a differenza della altre scuole, si elevano al di sopra del piano della differenziazione operata da Māyā.
Chiude l'opera una appassionata serie di stanze in lode della valle del Kashmir, terra nella quale egli è nato, terra colma di ricchezze e di bellezze, dal «vino dove risiedono le divinità delle ruote» alle «donne lucenti come la luna», dal «suolo cosparso a ogni passo di fiori dello zafferano» al «fiume Vitastā che umilia il fiume degli dèi, il Gange». Ma, Abhinavagupta sembra voler avvertire:

«E tuttavia a che pro la nascita, sia pure in un luogo dov’è la felicità soltanto – la nascita, appesantita dal retaggio proprio delle anime limitate, che fruiscono il karma precedente? Ognuno infatti non trova appagamento se non nel vagheggiato futuro, mai nel presente, che non dura un istante.»

Nella stesura del Tantrāloka Abhinavagupta si rifà a numerosi testi, per lo più tantra appartenenti a diverse tradizioni sia śaiva che śaktā, con il chiaro intento di presentare una visione sintetica e coerente di tutto questo insieme. Abhinavagupta stesso era stato iniziato presso differenti tradizioni[9] e, come egli stesso afferma nel testo, aveva anche frequentato scuole vishnuite e buddiste.

Numerosissime le citazioni nel testo, e fra le opere più richiamate troviamo il Mālinīvijaya Tantra, il Dīksottara Tantra, il Devyāyāmala Tantra, il Siddhāyogīsvarī Tantra, il Triśirobhairava Tantra, il Ratnamālā Tantra, il Kāmikāgama, lo Svacchanda Tantra, il Tantrasadbhāva, il Pārameśvara, il Niḥśvāsa, eccetera. Tranne alcune eccezioni, tutti questi testi sono per lo più trattati centrati sugli aspetti ritualistici e disciplinari, e sulle tecniche yoga: la parte teorica è in genere soltanto introduttiva. Come denominatore comune teorico che leghi in un'esposizione organica gli argomenti di questi testi, Abhinavagupta si rifà al filosofo Utpaladeva e alla scuola della Pratyabhijñā, essendo stato allievo di Lakṣmaṇagupta e costui di Utpaladeva.

Il Tantrāloka, col commento (viveka) di Jayaratha (XIII sec.), è stato stampato dalla «Kashmir Series of Texts and Studies» in più edizioni, dal 1918 al 1938, per complessivi dodici volumi, ed è questa l'edizione di riferimento della traduzione dell'orientalista italiano Raniero Gnoli, la cui prima edizione risale al 1972 per i tipi della Unione Tipografico Editrice Torinese. L'ultima edizione è del 1980, tuttora l'unica traduzione integrale al mondo. Nel 2013 la De Agostini ne presenta una versione elettronica.

  1. ^ Abhinavagupta 2013.
  2. ^ Così l'orientalista italiano Raniero Gnoli nell'introduzione a Abhinavagupta 2013.
  3. ^ Per "mezzo" (upāya) si intende in realtà un insieme di mezzi, nel senso di "percorso", "via", "metodologia".
  4. ^ O "particoliforme", nella traduzione di Gnoli, op. cit.
  5. ^ «cakraṃ kaseścakeḥ kṛtyā karoteśca kiloditam | yāgaśca tarpaṇaṃ bāhye vikāsastacca kīrtyate | cakrānucakrāntaragācchaktimatparikalpitāt»
    È questo un tipico esempio di etimologia secondo i grammatici hindu ("alla maniera indiana", usando l'espressione di Lilian Silburn): ricercare nel termine le possibili radici ed elencarne i significati per spiegare il termine stesso.
  6. ^ I nyāsa sono le imposizioni rituali di mantra sul corpo dell'iniziando. Si tratta di rituali tipicamente tantrici.
  7. ^ a b Con "fruizione" si intende la possibilità, per l'adepto, di fruire dei piaceri mondani della vita e di ottenere la liberazione soltanto in punto di morte. Rinunciando invece alle fruizioni si può aspirare alla liberazione in vita.
  8. ^ Le yogini sono sia le praticanti femminili dello Yoga, sia le donne che partecipano, a vario grado, alle riunioni rituali di alcune tradizioni tantriche, come quelle cui fa qui riferimento l'autore.
  9. ^ Tra i principali maestri di Abhinavagupta vanno ricordati Bhāskara, tramite il quale egli si ricollega alla scuola dello Spanda, e non ultimo Śambhunātha, che egli cita più volte con rispetto e devozione, maestro del Kula.
  • Abhinavagupta, Luce delle scritture (Tantraloka), a cura di Raniero Gnoli, UTET, edizione elettronica De Agostini, 2013.

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