Stendardo di Ur
Lo Stendardo di Ur è un reperto archeologico sumero, ritrovato in una tomba della necropoli reale di Urukurum risalente al 2500 a.C. circa, oggi conservato al British Museum di Londra. È composto da quattro pannelli lignei decorati: due facciate principali rettangolari e due più piccole trapezoidali, poste lateralmente. Era probabilmente usato come oggetto di devozione che poteva essere portato in processione collocato all'estremo di un bastone di legno, oppure come oggetto votivo collocato in un tempio in cui, su uno strato di catrame, sono incastonati lapislazzuli, conchiglie, pietre di calcare rosso e madreperle bianche. Per i temi descritti, i due pannelli principali sono detti "della pace" e "della guerra".
Storia
[modifica | modifica wikitesto]Lo stendardo fu scoperto durante gli scavi in Iraq del 1927-1928 nella necropoli reale di Ur; si trovava in un angolo della tomba PG 779, una delle maggiori della necropoli, associata ad Ur-Pabilsag, un re morto verso il 2550 a.C.
Leonard Woolley, l'archeologo britannico che lo scoprì, pensò che l'oggetto originariamente venisse infilato su un palo e fosse portato in processione come uno stendardo, da qui il nome con cui è conosciuto, ma oggi altri studiosi pensano che fosse la cassa di risonanza di uno strumento musicale, perciò la sua funzione non è ancora chiara.[1]
Descrizione
[modifica | modifica wikitesto][[File:Standard of Ur - War side.jpg|thumb|upright=1.4|Il "pannello della guerra"].]
È composto di pannelli lignei ricoperti di bitume e intarsiato su tutte le facce con inserti in lapislazzuli, pietra calcarea bluastra e madreperla proveniente dalle coste indiane. Su entrambe le facce principali la figurazione si sviluppa su tre registri (livelli), separati da fasce orizzontali ornamentali. Il re è riconoscibile per le maggiori dimensioni con cui è raffigurato. La successione regolare delle figure non esclude un'idea di movimento.
Il Pannello della pace, diviso in tre registri che si leggono dal basso verso l'alto, rappresenta un banchetto e una processione alla presenza del re. Nel registro superiore il re, raffigurato di dimensioni maggiori e vestito con un kaunakes[2], siede di fronte a altri sei commensali seduti, attorniato da cortigiani, danzatori, un coppiere e un arpista. Nei registri inferiori è raffigurata una processione di cortigiani e contadini, commercianti e artigiani che portano animali, doni e vivande. Questo lato dello stendardo risulta importante per la storia della musica in quanto è rappresentato un arpista accompagnato forse da una cantante.[3] L'arpa suonata dal musico è identica a quelle rinvenute nel Cimitero reale di Ur.
La raffigurazione sul lato opposto, detto Pannello della guerra, mostra l'esercito (fanteria, carri e cavalli) e in generale la casta militare e probabilmente degli schiavi dediti ai servizi di supporto. Il re è rappresentato nel registro superiore ed è visibilmente più alto dei soldati semplici, proprio a determinarne il ruolo.
È conservato al British Museum di Londra.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ British Museum - Scheda dello Stendardo di Ur
- ^ Kaunakes è il nome dato dai greci all'indumento che compare in numerose raffigurazioni sumeriche del periodo predinastico e protodinastico. Si trattava di pelli di ovino la cui lana veniva accuratamente pettinata ed intrecciata in modo da formare tanti ciuffi regolari, a scopo decorativo, che nella scultura sembrano penne o foglie vedi Archiviato il 19 febbraio 2015 in Internet Archive.. In seguito le pelli vengono sostituite da tessuti di lana su cui i ciuffi vengono soltanto applicati. Si tratta evidentemente di uno status symbol, infatti quanto più è altolocato il personaggio tanto più i ciuffi sono numerosi, mentre negli abiti dei ceti più bassi spesso si riducono ad una semplice bordura.
- ^ Riccardo Allorto, La musica delle civiltà mediterranee e dell'Oriente asiatico, in Nuova storia della musica, Edizione riveduta e aggiornata, San Giuliano Milanese (MI), Ricordi [Universal Music MGB Publications], 2005.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Paolo Sacchi, Da Sumer a Roma, Sansoni, 1963.
- Antonio Invernizzi, Dal Tigri all'Eufrate, vol. I, Torino, 1992.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Altri progetti
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