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Saiga tatarica

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Saiga
Stato di conservazione
Prossimo alla minaccia (nt)[1]
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
PhylumChordata
ClasseMammalia
OrdineArtiodactyla
FamigliaBovidae
SottofamigliaAntilopinae
GenereSaiga
Gray, 1843
SpecieS. tatarica
Nomenclatura binomiale
Saiga tatarica
(Linnaeus, 1766)
Sinonimi

Capra tatarica
Linnaeus, 1766
Ibex imberbis
Gmelin, 1760

La saiga o antilope delle steppe (Saiga tatarica (Linnaeus, 1766) è un ungulato diffuso nelle steppe eurasiatiche, facilmente riconoscibile per il caratteristico naso a forma di proboscide. Tradizionalmente ne vengono riconosciute due sottospecie, una occidentale, la saiga della Russia (S. t. tatarica), e una orientale, la saiga della Mongolia (S. t. mongolica). Alcuni tassonomisti considerano entrambe le forme come specie separate, ma generalmente questa visione non viene accettata dalla maggior parte degli studiosi. Dopo aver quasi sfiorato l'estinzione negli anni '20, le popolazioni della sottospecie occidentale erano aumentate enormemente e negli anni '50 se ne contavano nuovamente due milioni di esemplari. Recentemente, le popolazioni si sono di nuovo ridotte drasticamente a causa della caccia e del bracconaggio (fomentato anche a causa di alcune presunte proprietà delle corna nella medicina tradizionale cinese) e oggi il loro numero si aggira intorno a circa 100.000 capi[2]. La saiga è pertanto considerata di nuovo in via di estinzione e oggi si trova per lo più solo in Russia, Kazakistan e Mongolia. L'assenza di questi animali ha avuto un forte impatto ecologico sulla conservazione delle steppe semiaride e delle formazioni erbose. La saiga della Mongolia si incontra solamente nella Mongolia occidentale; tutte le altre popolazioni appartengono alla sottospecie della Russia.

Il naso della saiga.

La saiga assomiglia a una piccola pecora dalla corporatura leggera e dalla testa relativamente grande. Il suo carattere distintivo è rappresentato dal naso, che si presenta insolitamente rigonfio, flessibile e cadente, con le narici rivolte verso il basso. La struttura delle ossa nasali è molto complessa e l'interno di ciascuna narice è fittamente ricoperta di peli e ghiandole mucose. Si ipotizza che questa sorta di proboscide costituisca un adattamento evolutivo legato alla tipologia di ambiente: durante le secche estati, il naso funziona come un filtro per bloccare l'accesso della polvere, sollevata dagli zoccoli, alle vie respiratorie inferiori; durante i freddi inverni, invece, l'aria respirata viene riscaldata all'interno della cavità nasale prima di proseguire verso i polmoni. Questa struttura così sviluppata potrebbe anche essere responsabile dell'eccellente olfatto dell'animale. Le orecchie sono lunghe anche 12 cm e, solo nei maschi, sono presenti delle corna di colore chiaro, dall'aspetto traslucido e dall'estremità nera. Lunghe da 20 a 55 cm, sono leggermente piegate all'indietro a forma di lira e presentano da 12 a 20 anelli più spessi. L'andatura all'ambio fa sì che la saiga possa spostarsi solo su un terreno relativamente piatto: essa consente di correre rapidamente e per lungo tempo, ma si rivela del tutto svantaggiosa per saltare e arrampicarsi.

La saiga della Mongolia si distingue per le dimensioni corporee più piccole, la lunghezza inferiore delle corna, il naso più piccolo e altre differenze poco evidenti nella forma del cranio e nel colore del manto.

La saiga è ricoperta da un vello fitto e lanoso costituito da peli esterni più lunghi e da un sottopelo più corto e morbido. Il manto invernale è più spesso e, con una lunghezza di 4-7 cm, è lungo circa il doppio del manto estivo, che misura solo 1,8-3 cm. Inoltre, durante la stagione fredda la specie presenta una specie di criniera sul collo. In estate il colore del manto va dal giallognolo al bruno-rossastro, con i fianchi più chiari e la parte inferiore biancastra. In inverno il manto è grigio-biancastro sulla parte superiore e biancastro su quella inferiore. Occasionalmente si incontrano esemplari albini, mentre gli esemplari neri sono estremamente rari.

In media la saiga presenta una lunghezza testa-corpo di 120 cm (100-140 cm), un'altezza al garrese di 70 cm e un peso di 50 kg. I maschi raggiungono un'altezza al garrese di 69-79 cm e un peso di 32,5-52 kg. Le femmine sono leggermente più piccole: raggiungono un'altezza alle spalle di 57-73 cm e un peso corporeo di 21,4-40,9 kg. La coda è piuttosto corta: misura in tutto appena 6-12 cm e non presenta alcun ciuffo all'estremità. Gli zoccoli anteriori sono lunghi 55-68 mm e larghi 42-54 mm; quelli posteriori sono circa il 10% più piccoli.

Ecologia e alimentazione

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Le distese pianeggianti della steppa, come queste del Kazakistan occidentale, sono l'habitat tipico della saiga.

Le saighe vivono nelle steppe aperte e semidesertiche ed evitano i terreni scoscesi o rocciosi e le zone ricoperte da una fitta vegetazione. In estate si spingono anche nelle steppe alberate. A differenza del rilievo, l'altitudine non gioca un ruolo determinante nella scelta dell'habitat: la specie si incontra infatti dal livello del mare fino a 1600 m. La profondità critica dello strato nevoso che questi animali riescono a sopportare è di 25-30 cm. La dieta è composta principalmente da graminacee (soprattutto Agropyron, Bromus, Festuca, Stipa e Koeleria), ma comprende anche altre piante erbacee, licheni e arbusti. In primavera le saighe possono coprire interamente il loro fabbisogno idrico con la vegetazione di cui si nutrono e non vanno alla ricerca di luoghi dove abbeverarsi, nonostante questi siano disponibili ovunque nella steppa in quel periodo dell'anno. In estate, quando il contenuto di acqua nelle piante diminuisce, esse prediligono le specie succulente e basano i loro spostamenti anche sulla crescita di queste piante. Nelle estati molto secche, quando la vegetazione, piante succulente comprese, appassisce, si raccolgono presso gli abbeveratoi e si spostano in lungo e in largo alla ricerca dell'acqua. Se le pozze d'acqua non sono troppo lontane, le saighe bevono una o due volte al giorno nei periodi di siccità, altrimenti possono cavarsela per diversi giorni senza avere accesso all'acqua. Sono in grado di bere anche acqua salata. Le saighe sono buone nuotatrici e possono anche attraversare corsi d'acqua ampi come il Volga.

Comportamento sociale, migrazione e riproduzione

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Le saighe sono animali diurni per la maggior parte dell'anno. In estate, invece, preferiscono le ore mattutine e serali, riposando nelle ore di metà giornata. Non sono attaccate al luogo in cui si trovano e spesso si spostano per diverse decine di chilometri al giorno. Durante gli spostamenti dalle zone estive settentrionali ai quartieri invernali e ritorno, possono coprire dagli 80 ai 120 chilometri al giorno. Quando si spostano si muovono formando una lunga fila, mentre quando pascolano si allargano a coprire un ampio fronte. Le migrazioni più lunghe hanno luogo soprattutto durante gli inverni particolarmente sfavorevoli. In tali condizioni possono verificarsi anche vere e proprie morìe di massa, dalle quali, in condizioni naturali, le popolazioni possono riprendersi rapidamente. I movimenti migratori delle saighe, tuttavia, non seguono un andamento fisso in termini spaziali e temporali e non si verificano in tutta l'area di distribuzione. In Mongolia, ad esempio, non è stata finora osservata alcuna migrazione stagionale, al massimo spostamenti correlati alla disponibilità delle risorse vitali.

Combattimento tra maschi.

Le saighe sono gregarie e in estate vivono in branchi di circa trenta o quaranta animali, ma spesso, in primavera e in autunno, si formano grandi mandrie in migrazione formate da migliaia di esemplari. Durante la stagione degli amori, che ha luogo in dicembre e gennaio, i maschi cercano di radunare intorno a loro un harem di femmine. La dimensione degli harem è strettamente correlata alla forza e al vigore nei combattimenti del rispettivo maschio e al rapporto tra i sessi. Di solito vi sono tra 5 e 10 femmine ogni maschio, ma in alcuni casi possono esservene fino a 50. Il numero dei maschi di saiga diminuì rapidamente all'inizio del XXI secolo a causa della forte richiesta per le loro corna. Intorno all'anno 2000 i pochi maschi rimasti si ritrovarono circondati da innumerevoli femmine, e questo portò a un completo rovesciamento del comportamento sociale: le femmine iniziarono a scacciare le congeneri più deboli dall'harem, pertanto un gran numero di esse non riuscì ad accoppiarsi e alla fine le popolazioni collassarono[3]. Normalmente, tuttavia, le femmine si comportano pacificamente tra loro. I maschi, al contrario, sono estremamente aggressivi durante la stagione degli amori e spesso sono ricoperti dalle secrezioni delle ghiandole cutanee, dalla saliva schiumosa e non di rado dal sangue delle loro ferite. In questo periodo dell'anno può accadere persino che attacchino gli esseri umani. Una volta conquistato l'harem, per loro inizia un periodo di intensa attività: gli accoppiamenti e la difesa dell'harem stesso, che viene intrapresa con fierezza e con il massimo impegno, costa ai maschi un gran dispendio di energia. Per questo motivo, non avendo quasi tempo di nutrirsi, essi deperiscono e si indeboliscono cadendo più facilmente vittima dei predatori, come i lupi, o soccombendo ai rigori dell'inverno.

Un branco nel Kazakistan occidentale.

All'inizio della primavera, i maschi di saiga si riuniscono ad ovest del mar Caspio in branchi costituiti da 10 a 2000 esemplari e si dirigono verso nord. Qui le femmine formano grandi branchi e danno alla luce i loro piccoli, del peso di circa 3,5 kg, in aprile o maggio. Due terzi delle femmine gravide danno alla luce due gemelli, le altre partoriscono un unico piccolo. Dopo pochi giorni le piccole saighe sono già in grado di mangiare erba, ma vengono allattate dalla madre per almeno altri quattro mesi. Non appena i piccoli riescono a camminare abbastanza bene, le femmine seguono i maschi e si spostano verso nord in grandi branchi. Questi possono comprendere diverse centinaia o migliaia di individui: si stima che la più grande mandria di saighe mai osservata, nel 1957, comprendesse 200.000 animali. In estate le grandi mandrie si scindono nuovamente in associazioni più piccole. Le femmine raggiungono la maturità sessuale a poco meno di un anno di età, i maschi un po' più tardi. In natura le femmine di saiga raggiungono al massimo i dodici anni di età; sebbene i maschi possano teoricamente vivere fino allo stessa età, di solito muoiono dopo pochi anni a causa delle lotte o dello sfinimento.

Nemici naturali

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Oltre all'uomo, il principale nemico delle saighe è il lupo. Dal momento che nell'habitat in cui vivono non esistono nascondigli, la principale difesa di questi animali consiste nella fuga, e siccome le saighe possono raggiungere una velocità di 80 km/h è molto difficile per i lupi cacciare esemplari sani. Pertanto cadono vittima dei lupi soprattutto i maschi indeboliti, le femmine gravide e gli esemplari giovani. Anche uno spesso manto nevoso può favorire il successo dei lupi nella caccia. Le saighe appena nate possono anche cadere vittima di aquile, corvi e volpi rosse. La malattia più frequente, che occasionalmente causa vere e proprie stragi, è l'afta epizootica, ma questa specie di antilope è affetta anche da un gran numero di altri parassiti e patogeni.

Distribuzione e popolazione

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Distribuzione originaria

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Areale storico (in bianco) e attuale delle sottospecie S. t. tatarica (in verde) e S. t. mongolica (in rosso).

La saiga è una specie relitta dell'ultima era glaciale. Nel Pleistocene era diffusa nelle fredde steppe dell'Europa e dell'Asia e aveva persino attraversato il ponte terrestre sull'odierno stretto di Bering insediandosi in Alaska e nel Canada nord-occidentale. Nel 1976 ossa appartenenti a questa specie furono rinvenute nelle grotte di Bluefish nello Yukon settentrionale in un deposito risalente a 13.000 anni fa. Nell'Europa occidentale, durante i periodi più freddi, si spinse fino alle isole britanniche. Alla fine dell'era glaciale, il suo areale si ridusse a causa dell'avanzata delle foreste, scomparendo dall'Europa centrale già in epoca preistorica. In epoca storica, tuttavia, il suo areale si estendeva ancora dalle pianure al confine con i Carpazi ai piedi dei monti Altaj, alla Zungaria e alla Mongolia occidentale. La saiga popolava quasi tutta la steppa europea e gran parte di quella asiatica, nonché la cintura di steppa alberata che la cinge a nord, sebbene penetrasse in quest'ultima solo in estate e non tutti gli anni. Le regioni collinari, per non parlare di quelle montuose, rimanevano escluse dal suo habitat.

Areale fino al XVIII secolo

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Ancora agli inizi del XVIII secolo, nella parte occidentale dell'areale, le saighe erano presenti ai piedi dei Carpazi, lungo il corso inferiore del fiume Prut, a circa 25 gradi di longitudine. All'estremità nord-occidentale dell'area di distribuzione, la specie raggiungeva il 50º parallelo nord. All'epoca, il limite settentrionale dell'areale europeo correva appena a sud di Kiev attraverso Kursk e Samara fino a Ufa. A nord di Ufa, in certe annate questi animali si spingevano addirittura fino a 55 gradi di latitudine nord. A sud, le saighe erano ancora diffuse fino al mar Nero e al mar d'Azov, ma erano già assenti in Crimea, dove la specie sopravvisse solo fino al XIII secolo. Nella regione del Caucaso l'areale si spingeva fino al fiume Kuban' ad ovest e ad est raggiungeva persino i piedi di questa catena montuosa in corrispondenza del corso inferiore del Terek. Tuttavia, non sappiamo con esattezza fin dove si estendesse l'areale della specie lungo le rive del Caspio, ma è probabile che si spingesse a sud fino a Derbent. Più a sud ancora, la presenza della saiga è stata confermata solo dal ritrovamento di reperti fossili risalenti all'età preistorica. In questo momento della storia, l'areale asiatico della specie non aveva ancora subito alcuna variazione.

Areale dopo il XVIII secolo

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Nel corso del XVIII secolo la saiga scomparve gradualmente dalle aree settentrionali e occidentali del suo areale europeo, sempre più abitate da un numero crescente di esseri umani. Ad est dei fiumi Volga e Ural, tuttavia, l'estensione dell'areale rimase invariata per tutto il secolo. In quel periodo le saighe si incontravano ancora sul fiume Samara e fino a Orenburg. Più ad est si spingevano a nord fino a Išim, alla steppa di Barabinsk (come ospiti estivi) e all'Ob'. Ancora più ad est, il confine settentrionale dell'areale correva lungo i piedi degli Altaj e attraversava la pianura dello Zajsan fino alla Zungaria e alla Mongolia occidentale. Il limite meridionale si estendeva dal corso inferiore dell'Amu Darya e da quello medio del Syr Darya a circa 44 gradi nord lungo i monti Karatau e la valle del fiume Ili fino alla Cina. Erano assenti dall'Alatau Zungarico e dai monti Tarbagatai.

Nel XIX secolo, l'areale europeo continuò a ridursi e fino alla metà del secolo solo di tanto in tanto singoli esemplari potevano essere avvistati ad ovest del Don e a nord di Volgograd; il suo confine meridionale, tuttavia, rimase pressoché invariato. All'inizio del XX secolo, le popolazioni continuarono a diminuire drasticamente, principalmente a causa dell'elevata pressione venatoria, e negli anni '20 e '30 rimanevano soltanto poche popolazioni residue isolate. Si stima che all'epoca la popolazione complessiva fosse inferiore ai mille capi. Dopo essersi spinta sull'orlo dell'estinzione, la saiga venne posta sotto completa protezione dall'Unione Sovietica nel 1923. Da allora, la popolazione si riprese a tal punto che a metà degli anni '50 in quella che allora era l'URSS vivevano nuovamente due milioni di saighe, che riuscirono ad espandere il loro areale ad ovest fino ai piedi del Caucaso e a nord fino a Volgograd e Orsk. Venne persino consentita di nuovo la caccia, seppur regolamentata.

Situazione recente e conservazione

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Stima delle popolazioni di saiga[4]
Popolazione 2003 2010
Calmucchia 10.000-20.000
Ural <10.000 27.000
Ustjurt >10.000 5000
Betpak-Dala 2000-3000 53.000
Mongolia 750 ca. 8000
Totale ca. 20.000 ca. 100.000
Areale attuale (giallo) e superficie delle aree protette (verde).

A partire dagli anni '70, tuttavia, la popolazione è di nuovo diminuita drasticamente a causa della perdita dell'habitat, della cattiva gestione, della caccia eccessiva e del bracconaggio. Inoltre, con la dissoluzione dell'Unione Sovietica, le misure di protezione non furono più osservate. Dal momento che le corna di saiga costituiscono un prezioso ingrediente nella medicina tradizionale cinese, esse sono molto richieste e gli acquirenti sono disposti a pagare prezzi estremamenti alti: di conseguenza, tutte le popolazioni crollarono drammaticamente a causa del bracconaggio. Poiché i maschi scomparvero completamente da intere regioni, la specie smise di riprodursi. Nel solo Kazakistan la popolazione diminuì da 1,2 milioni di esemplari ad appena 30.000 nel giro di pochi anni. Intorno all'anno 2000 la popolazione totale della sottospecie nominale (S. t. tatarica) venne stimata in 26.000 capi, tanto che nel 2002 la IUCN fu costretta a cambiare lo stato di conservazione della sottospecie, nonché dell'intera specie, da Lower Risk («rischio minimo») a Critically Endangered («critico»). Attualmente la sottospecie è presente solamente nella steppa dei Calmucchi in Russia e in tre aree del Kazakistan: in Cina e Mongolia sud-occidentale essa è completamente scomparsa[1][5].

In Kazakistan i censimenti aerei del 2016 hanno riscontrato una popolazione totale costituita da circa 108.300 esemplari adulti ripartiti in tre popolazioni. La cosiddetta popolazione dell'Ural, stanziata nell'area del fiume omonimo, ammonta a 70.200 individui (nel 2015 ne erano stati contati 51.700), una seconda popolazione nell'area dell'altopiano di Ustyurt a 1900 (l'anno precedente erano 1200) e una terza popolazione nella steppa della Fame (Betpak-Dala) a 36.200[6]. Tutte e tre le singole popolazioni effettuano migrazioni tra i pascoli estivi e i quartieri invernali. La protezione della saiga richiede quindi misure di conservazione su ampia scala. Alcuni dei branchi della steppa della Fame trascorrono l'inverno nella riserva naturale di Andasaj. I luoghi dove partoriscono e i pascoli estivi, invece, si trovano più a nord e sono in parte protetti dalla riserva naturale di Irgyz Turgaj[7]. Čërnye zemli, in Calmucchia, è un'importante riserva per la sopravvivenza della popolazione russa. La specie gode di completa protezione sia in Russia che in Kazakistan, ma purtroppo la messa in atto delle misure prese è scarsa.

La seconda sottospecie, la saiga della Mongolia (S. t. mongolica), è ancor meno numerosa, ma fortunatamente non così in declino. Nel gennaio del 2004 il numero di esemplari venne stimato intorno a 750, la maggior parte dei quali presente nell'area della riserva naturale di Sharga, un bacino semidesertico a nord degli Altaj del Gobi, e nel distretto di Manhan, a sud del lago Har-Us nuur, nella Mongolia nord-occidentale. Poiché anche questa popolazione è diminuita notevolmente negli ultimi anni a causa del bracconaggio e degli inverni rigidi, la sottospecie è stata classificata come Endangered (in pericolo)[8]. Nel 2016 la popolazione, riuscita a risalire fino a 10.000 individui, è stata nuovamente decimata dalle malattie. Si stima che nel 2017 ne rimanessero circa 7500[9]. Un tempo nella Mongolia sud-occidentale era diffusa anche la saiga della Russia, attualmente scomparsa dal paese.

Le recenti morie di massa

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Dopo che il numero delle saighe era aumentato fino ai circa 250.000 esemplari censiti nel 2014, nel 2015 accadde un evento che fece nuovamente precipitare la situazione: all'incirca a metà anno, un'epidemia improvvisa si diffuse tra gli esemplari delle pianure del Kazakistan, dimezzando letteralmente il numero di esemplari della regione. Nel solo mese di maggio, nelle aree colpite, furono recuperate più di 120.000 carcasse[10][11][12]. Nel novembre dello stesso anno fu annunciato uno studio del Royal Veterinary College di Londra in cui, come colpevole della moria, era indicato un particolare batterio, Pasteurella multocida, di norma presente come innocuo nel corpo di questi animali, ma che aveva mostrato un nuovo comportamento, migrando nel sangue degli animali e diventando un agente patogeno, causa di emorragie interne con conseguenti setticemie mortali[13][14]. Il motivo di questo cambiamento nel batterio, secondo gli esperti, è da attribuirsi a un adattamento opportunistico scatenatosi in conseguenza delle mutate condizioni ambientali, inusualmente calde e umide. È probabile che anche nel 1981 e nel 1988, anni in cui era stato registrato un fenomeno simile, le saighe siano state uccise dalla Pasteurella, ma la moria di massa del 2015 è stata di gran lunga la più devastante. Gli scienziati temono pertanto che la specie sia particolarmente vulnerabile ai cambiamenti di temperatura favoriti dal mutamento climatico[15][16].

Anche la peste dei piccoli ruminanti rappresenta una minaccia per questa specie: in Mongolia, circa 2500 esemplari sono caduti vittima della malattia tra il dicembre 2016 e il febbraio 2017, provocando una diminuzione del 25% della popolazione totale della saiga della Mongolia. Poiché la malattia si diffonde dagli animali domestici a quelli selvatici, il bestiame delle regioni colpite è stato vaccinato per prevenirne un'ulteriore diffusione[9].

La saiga in cattività

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Attualmente le saighe vengono ospitate raramente negli zoo europei. Un gruppo riproduttivo piuttosto numeroso di saiga della Russia (S. t. tatarica) vive ad Askania-Nova in Ucraina[17].

Raffigurazione tratta da The Book of Antelopes di Philip Sclater (1894).

L'origine del genere Saiga è tuttora oscura: reperti fossili ad esso ascritti, appartenenti a forme già molto simili alla specie odierna, sono noti solamente a partire dal Pleistocene. Quando venne descritta per la prima volta, la saiga venne assegnata inizialmente ai Caprini (Caprinae), poi agli Antilopini (Antilopinae). Per aggirare il problema, a volte è stata istituita una nuova sottofamiglia, quella dei Pantolopini (Pantholopinae), comprendente la saiga e l'altrettanto controverso chiru. Tuttavia, nuovi studi di genetica molecolare fanno supporre che la classificazione della saiga tra gli Antilopini sia corretta e che il chiru appartenga invece ai Caprini[18].

La forma mongola della saiga venne originariamente descritta come una specie separata, ma oggi viene solitamente considerata una sottospecie (S. t. mongolica) della saiga[19][20]. Alcuni autori, inoltre, la considerano una sottospecie sopravvissuta di Saiga borealis, vale a dire la forma di saiga propria dell'era glaciale, oggi scomparsa[21][22][23]. Le analisi genetiche distinguono chiaramente la saiga dalla saiga della Mongolia, ma indicano solo una piccola distanza genetica, che a parere degli studiosi suggerisce piuttosto che la saiga della Mongolia sia in realtà solo una sottospecie della prima[24]. Dal punto di vista morfologico, le due forme possono essere facilmente distinte. Questo vale soprattutto per la struttura delle corna: rispetto alla saiga, la saiga della Mongolia ha corna più corte e sottili senza scanalature chiaramente pronunciate. Pertanto, a seguito di una revisione della classificazione dei Bovidi del 2011, le due sono state considerate di nuovo come specie separate[25][26].

Rapporti con l'uomo

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Le saighe sono state cacciate per le loro pelli e la loro carne sin dai tempi antichi. Le corna vengono impiegate nella farmacopea cinese e raggiungono prezzi elevati paragonabili a quelli del corno di rinoceronte. Enormi quantità di corna di saiga furono importate in Cina nel XVIII secolo. In Russia, nel XIX secolo, centinaia di migliaia di saighe venivano abbattute ogni anno. Il più delle volte, i branchi venivano spinti in un recinto a forma di imbuto fatto di canne e terra. Alla fine del restringimento venivano posizionati dei bastoni appuntiti, sui quali gli animali rimanevano impalati. In inverno le saighe venivano anche spinte su laghi ghiacciati dalla superficie liscia e scivolosa, dove erano del tutto indifese. All'epoca era comune anche la caccia effettuata con trappole scavate nel terreno e con l'aiuto di aquile addestrate. La caccia venne vietata nel 1919, ma quando il numero di saighe aumentò di nuovo considerevolmente, negli anni '50, la specie venne nuovamente cacciata a fini commerciali.

Soprattutto in estate, durante la stagione secca, le saighe danneggiano i raccolti, spesso calpestando più di quanto mangiano quando vagano per i campi. Tuttavia, il danno che provocano viene spesso molto esagerato e, quando la specie era più comune, i guadagni ricavati dalla caccia superavano di gran lunga il costo dei danni arrecati alle colture. Se competano seriamente con animali da pascolo come gli ovini non è stato ancora studiato a fondo, ma a causa della marcata attitudine migratoria della saiga e della sua preferenza per specie vegetali respinte dalle pecore il livello di competizione non dovrebbe essere troppo pronunciato.

D'altra parte le saighe, spostandosi sempre in branco e «calpestando» gli orizzonti superiori del suolo, danno un contributo considerevole alla conservazione delle steppe e delle praterie naturali.

Le giovani saighe possono essere addomesticate facilmente. Soprattutto quando vengono tolte alla madre ad appena 5-6 giorni diventano piuttosto affettuose e spesso tornano alla fattoria dei loro genitori adottivi anche quando vengono lasciate libere.

La saiga nell'arte

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La saiga di Gönnersdorf (Paleolitico superiore).

La saiga giocò anche un ruolo considerevole nell'arte dell'ultima era glaciale. Le rappresentazioni più antiche risalgono al tardo Paleolitico superiore, circa 14.000 anni fa.

La testa in particolare, con il caratteristico naso, si trova incisa su ossa e lastre di pietra e raffigurata sulle pitture rupestri dell'epoca[27]. Quasi tutte le rappresentazioni conosciute provengono da siti paleolitici in Francia e Spagna. Ad esempio, ricordiamo le incisioni nella grotta di Altxerri vicino a San Sebastián, con due teste di saiga munite di corna una accanto all'altra. L'unico reperto finora rinvenuto in Germania proviene dai resti di un accampamento di età magdaleniana vicino a Gönnersdorf utilizzato da cacciatori dell'era glaciale. È una rappresentazione abbozzata della parte anteriore del naso di una saiga, incisa su una lamina di scisto devoniano[28].

Un'altra rappresentazione figurativa proviene dalla grotta di Enlène, in Francia, dove è stata rinvenuta una scultura in osso del Magdaleniano medio, impiegata originariamente per decorare la punta di un propulsore[29].

Nel romanzo Il patibolo di Čyngyz Ajtmatov, la caccia alla saiga gioca un ruolo centrale durante il periodo dell'Unione Sovietica.

  1. ^ a b IUCN SSC Antelope Specialist Group. 2023, Saiga tatarica, su iucnredlist.org.
  2. ^ Saiga Antelope - Saiga tatarica. 2015 Large Herbivore Network/ECNC Archiviato il 17 settembre 2011 in Internet Archive..
  3. ^ E. J. Milner-Gulland et al., Reproductive collapse in saiga antelope harems (PDF), in Nature, vol. 422, 13 marzo 2003.
  4. ^ Large Herbivore Network: Saiga Antelope Saiga tatarica Archiviato il 17 settembre 2011 in Internet Archive..
  5. ^ E. J. Milner-Gulland et al., Dramatic decline in saiga antelope populations (PDF), in Oryx, vol. 35, n. 4, ottobre 2001. URL consultato il 16 novembre 2020 (archiviato dall'url originale il 29 settembre 2007).
  6. ^ After mass die-off, saiga antelope numbers go up in Kazakhstan, su news.mongabay.com. URL consultato il 18 gennaio 2018.
  7. ^ SSC Antelope Specialist Group, Antelopes. Part 4: North Africa, the Middle East, and Asia. Global Survey and Regional Action Plans, a cura di D. P. Mallon e S. C. Kingswood, Gland (Svizzera) e Cambridge (Regno Unito), IUCN, 2001, ISBN 2-8317-0594-0.
  8. ^ (EN) IUCN SSC Antelope Specialist Group. 2018, Saiga tatarica mongolica, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020.
  9. ^ a b A Deadly Virus is Killing Saiga Antelope in Mongolia > WCS Newsroom, su newsroom.wcs.org. URL consultato il 18 gennaio 2018.
  10. ^ Carl Zimmer, Death on the Steppes: Mystery Disease Kills Saigas, su The New York Times, 29 maggio 2015.
  11. ^ Lorenzo Brenna, L'inspiegabile moria delle saighe, su LifeGate, 2 giugno 2015.
  12. ^ La misteriosa morte di un terzo delle saighe del Kazakistan, su Greenreport.it, 26 maggio 2015.
  13. ^ National Geographic Staff, 200,000 Endangered Antelope Died. Now We Know Why, su National Geographic, 29 gennaio 2018.
  14. ^ Why Did More Than 200,000 Saiga Antelope Die in Less Than Two Weeks?, su Saiga Conservation Alliance, 2 febbraio 2016.
  15. ^ A saiga time bomb? Bad news for Central Asia's beleaguered antelope, su news.mongabay.com. URL consultato il 18 gennaio 2018.
  16. ^ Richard A. Kock, Mukhit Orynbayev, Sarah Robinson, Steffen Zuther e Navinder J. Singh, Saigas on the brink: Multidisciplinary analysis of the factors influencing mass mortality events, in Science Advances, vol. 4, n. 1, 1º gennaio 2018, p. eaao2314, DOI:10.1126/sciadv.aao2314, ISSN 2375-2548 (WC · ACNP). URL consultato il 18 gennaio 2018.
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  18. ^ Maria V. Kuznetsova e Marina V. Kholodova, Molecular Support for the Placement of Saiga and Procapra in Antilopinae (Artiodactyla, Bovidae), in Journal of Mammalian Evolution, vol. 9, n. 4, dicembre 2002, DOI:10.1023/A:1023973929597.
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