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A babbo morto

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A babbo morto è un'antica frase fatta con cui si intende l'incassare un credito con molto ritardo o, più specificamente, senza che vi sia una scadenza predefinita. La data e il luogo d'origine del detto non sono certi. Secondo alcuni, avrebbe origine toscana (o, più precisamente, maremmana).

La frase può essere intesa anche con altri significati, quali:

  • essere condannati "a babbo morto", o "a biglie ferme" (ovvero a cose avvenute), ma anche essere condannati per qualcosa di cui non si è responsabili
  • ricevere o corrispondere qualcosa senza alcun merito
  • compiere un'azione assolutamente d'impulso, senza che alcuna strategia difensiva sia stata organizzata; cadere senza mettere le mani in avanti per tentare di attutire il tonfo.

Più probabilmente, il modo di dire trae origine dal periodo in cui i "giovin signori" di paese erano costretti - per onorare debiti di gioco o per acquistare doni alle proprie amate - a contrarre debiti presso usurai. Costoro erano consapevoli di dover attendere anche diverso tempo - appunto, finché il babbo del debitore passasse a miglior vita, lasciando al rampollo una congrua eredità - prima di poter entrare in possesso del loro credito. Ma, ugualmente, avevano la certezza che il "gruzzolo", in virtù - o a causa - di onerosi tassi interesse, sarebbe cresciuto in maniera esponenziale via via che il tempo passava, in attesa che "il babbo fosse morto".

Tale tesi sembra essere avvalorata dal De Mauro che inserisce il detto tra le polirematiche indicandolo come locuzione avverbiale di tipo scherzoso riferibile a "debiti che si salderanno ereditando dopo la morte del padre", o, comunque, a "lunghe e improbabili dilazioni di pagamento".

Il termine è tornato in auge in occasione delle elezioni politiche del 2006 in Italia, precedute da un'accesa campagna elettorale durante la quale tutti gli schieramenti politici, pur nell'aspro confronto, si sono trovati d'accordo quantomeno nell'affermare che i conti è preferibile farli "a babbo morto", cioè a urne ormai chiuse.

  • Salvatore Di Rosa, Perché si dice: origine e significato dei modi di dire e dei detti più famosi, Milano, Club degli Editori, 1980, p. 78.

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