Massacri delle foibe

eccidi della popolazione italiana di Venezia Giulia, Istria, Quarnaro e Dalmazia nel 1943-1945
Disambiguazione – "Foibe" rimanda qui. Se stai cercando la descrizione geologica delle foibe, vedi Foiba.

I massacri delle foibe (in sloveno poboji v fojbah; in croato masakri fojbe; in serbo mасакри фоjбе - masakri fojbe?) sono stati degli eccidi ai danni di militari e civili italiani autoctoni della Venezia Giulia, del Quarnaro e della Dalmazia[7][8], avvenuti durante e subito dopo la seconda guerra mondiale da parte dei partigiani jugoslavi e dell'OZNA. Il nome di tali eccidi deriva dai grandi inghiottitoi carsici (chiamati in Venezia Giulia "foibe") dove furono gettati i corpi di alcune vittime (o, in alcuni casi, le stesse ancora in vita).[9][10][11]

Massacri delle foibe
massacro
Il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga in visita alla foiba di Basovizza
Tipoviolenza di Stato[1], pulizia etnica (dibattuto)[2]
Data inizio1943
Data fine1945
LuogoFriuli Venezia Giulia, Quarnaro e Dalmazia
StatiItalia (bandiera) Italia
Jugoslavia (bandiera) Jugoslavia
Coordinate45°37′54″N 13°51′45″E
ResponsabiliPartigiani jugoslavi, OZNA
Motivazione
  • Eliminazione di soggetti e strutture ricollegabili al fascismo, al nazismo e al collaborazionismo[3]
  • Epurazione preventiva di oppositori reali, potenziali o presunti tali al comunismo titino[3].
Conseguenze
MortiTra le 3 000 e le 5 000[4], secondo altre fonti 11 000[5][6]
Mappa di localizzazione
Luoghi delle foibe (giallo) in Friuli Venezia Giulia e nel Quarnaro

Per estensione i termini "foibe" e il neologismo "infoibare" sono diventati sinonimi di uccisioni che in realtà furono in massima parte perpetrate in modo diverso: la maggioranza delle vittime morì nei campi di prigionia jugoslavi o durante la deportazione verso di essi[12][13]. Secondo gli storici Pupo e Spazzali, l'utilizzo simbolico di questo termine «può divenire fonte di equivoci qualora si affronti il nodo della quantificazione delle vittime», in quanto la differenza tra il numero relativamente ridotto dei corpi materialmente gettati nelle foibe, e quello più alto degli uccisi nei campi di prigionia, dovrebbe portare a parlare di "deportati" e "uccisi" per indicare tutte le vittime della repressione[14].

Secondo gli storici Raoul Pupo e Roberto Spazzali le vittime in Venezia Giulia, nel Quarnaro e nella Dalmazia sono comprese tra le 3 000 e le 5 000 (comprese le salme recuperate e quelle stimate, nonché i morti nei campi di concentramento jugoslavi).[4][15][16] Altre fonti invece fanno salire questo numero fino a 11 000[5], numero che secondo Raoul Pupo si può raggiungere soltanto conteggiando anche i caduti che si ebbero da parte italiana nella lotta antipartigiana[16].

Al massacro delle foibe seguì l'esodo giuliano dalmata, ovvero l'emigrazione forzata della maggioranza dei cittadini di etnia e di lingua italiana dalla Venezia Giulia, dal Quarnaro e dalla Dalmazia, territori del Regno d'Italia prima occupati dalla Germania nazista, poi dall'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia del maresciallo Josip Broz Tito e successivamente annessi dalla Jugoslavia tramite i trattati di pace di Parigi del 1947. L'emigrazione fu dovuta sia all'oppressione esercitata da un regime di natura totalitaria che impediva la libera espressione dell'identità nazionale, sia al rigetto dei mutamenti nell'egemonia nazionale e sociale nell'area e infine per la vicinanza dell'Italia, vicinanza che costituì un fattore oggettivo di attrazione per popolazioni perseguitate ed impaurite, nonostante il governo italiano si fosse a più riprese adoperato per fermare, o quantomeno contenere, l'esodo[17]. Si stima che i giuliani, i quarnerini e i dalmati che emigrarono dalle loro terre di origine, tra il 1941 e il 1956, ammontino a un numero compreso tra le 250 000 e le 350 000 persone; in base a stime pubblicate nel 2020[18] emigrarono circa 300 000 persone, di cui circa 45 000 di etnia slovena e croata non disposti ad accettare il nuovo regime dittatoriale.

Inquadramento storico

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Generalità

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La foiba di Pisino, in Istria, che fece parte dell'Italia dal 1920 al 1947

Gli eccidi delle foibe e il successivo esodo costituiscono l'epilogo di una secolare lotta per il predominio sull'Adriatico orientale, che fu conteso da popolazioni italiane e slave (prevalentemente croate e slovene, ma anche serbe). Tale lotta si inserisce all'interno di un fenomeno più ampio (un caso analogo è quello dell'espulsione dei tedeschi dopo la seconda guerra mondiale) che fu legato all'affermarsi degli stati nazionali in territori etnicamente misti e dove, secondo alcuni storici, l'identità e l'etnia degli individui e delle popolazioni erano più processi costruiti politicamente che dati immutabili e naturali[19][20].

Alcuni storici hanno interpretato questi atti, quasi tutti verificatisi nell'Istria meridionale (oggi croata), come una sorta di jacquerie, ossia di rivolta spontanea delle popolazioni rurali (prevalentemente slave) nei confronti delle classi borghesi (prevalentemente italiane), e di vendetta per i crimini di guerra subiti durante il periodo fascista, che furono di preludio all'azione svolta in seguito dall'armata jugoslava; altri, invece, hanno interpretato il fenomeno come un inizio di pulizia etnica[21] nei confronti della popolazione italiana.

Alcuni storici (come il francese Michel Roux) asserirono che vi era una similitudine tra il comportamento contro gli italiani nella Venezia Giulia ed a Zara e quello promosso da Vaso Čubrilović (che divenne ministro di Tito dopo il 1945) contro gli Albanesi della Jugoslavia[22].

«Con la fine della guerra a questi si aggiunsero gli appartenenti alle unità fasciste che avevano operato agli ordini dei nazisti, soprattutto ufficiali, e il personale politico fascista che aveva collaborato con i nazisti... La borghesia italiana se ne andò... in quanto la trasformazione socialista della società presupponeva la sua espropriazione... numerosi anche coloro che erano arrivati in Istria dopo il 1918 al servizio dello Stato italiano e che seguirono questo Stato (ovvero l'impiego) quando dovette abbandonare la regione»

Nonostante la ricerca scientifica abbia, fin dagli anni novanta del XX secolo, sufficientemente chiarito gli avvenimenti[23][24], la conoscenza dei fatti nella pubblica opinione permane distorta e oggetto di confuse polemiche politiche, che ingigantiscono o sminuiscono i fatti a seconda della convenienza ideologica[25][26].

La composizione etnica della Venezia Giulia, del Quarnaro e della Dalmazia

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Mappa linguistica dell‘Istria del 1880:
- in celeste le zone dove la lingua madre più diffusa era l’Italiano;
- in giallo la zona dove la lingua madre più diffusa era lo sloveno;
- in verde la zona dove la lingua madre più diffusa era il croato.
Mappa linguistica della Dalmazia del 1896:
- in arancione sono evidenziate le zone dove la lingua madre più diffusa era l'italiano;
- in verde quelle dove erano più diffuse le lingue slave.

Contorno con pallini blu:
estensione della Dalmazia veneziana nel 1797
 
L'Impero carolingio nel 791
 
L'Italia nel 1796

Con la caduta dell'Impero romano d'Occidente (476 d.C.) le popolazioni romanizzate dell'Istria e della Dalmazia furono sottomesse da alcune tribù che vennero a stanziarsi nella zona, principalmente Avari e Slavi.

I primi insediamenti di popolazioni slave, giunte a seguito degli Avari,risalgono al IX secolo (sia in Istria che in Dalmazia)[27].

Alla fine del VIII secolo l'Istria interna e i dintorni furono conquistate infatti da Carlo Magno: poiché tali terre erano scarsamente popolate, in quanto impervie, i Franchi e successivamente le autorità del Sacro Romano Impero vi consentirono l'insediamento degli slavi. Ulteriori insediamenti di slavi si verificarono in epoche successive; per quanto riguarda l'Istria, ad esempio, in seguito alle pestilenze del XV e XVI secolo.

Le comunità ladine che popolavano l'area di Postumia, Idria e dell'alto Isonzo sono scomparse dal Rinascimento, assimilate dalle popolazioni slave. Di fatto, intorno all'anno 1000 tutta la valle dell'Isonzo, fino alle sue sorgenti nelle Alpi Giulie, era popolata in maggioranza da popoli ladini.

La Repubblica di Venezia, tra il IX e il XVIII secolo, estese il suo dominio (suddiviso in tre aree amministrative: il Dogado, i Domini di Terraferma e lo Stato da Mar) soprattutto sulle cittadine costiere dell'Istria, nelle isole del Quarnaro e sulle coste della Dalmazia, che erano abitate da popolazioni romanizzate fin dai tempi più antichi.

Fino al XIX secolo gli abitanti di queste terre non conoscevano l'identificazione nazionale, visto che si definivano genericamente "istriani" e "dalmati", di cultura "romanza" oppure "slava", senza il benché minimo accenno a concetti patriottici oppure nazionalistici, che erano sostanzialmente sconosciuti[28][29].

Vi era una differenza di carattere linguistico-culturale tra città e costa (prevalentemente romanzo-italiche) e le campagne dell'entroterra (in parte slave o slavizzate). Le classi dominanti (aristocrazia e borghesia) erano dovunque di lingua e cultura italiana, anche qualora di origine slava. Nella Venezia Giulia, oltre che l'italiano, si parla anche la lingua veneta, la lingua friulana, la lingua istriota e la lingua istrorumena, mentre in Dalmazia era comune nel Medioevo la lingua dalmatica, che si estinse nel 1898, con la morte dell'ultimo parlante, Tuone Udaina.

Gli opposti nazionalismi

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Germanizzazione, Croatizzazione, Questione adriatica e Dalmati italiani.

Fino all'Ottocento, in Venezia Giulia, nel Quarnaro e in Dalmazia, le popolazioni di lingua romanza e slava convissero pacificamente. Con la Primavera dei popoli del 1848-49, anche nell'Adriatico orientale, il sentimento di appartenenza nazionale cessò di essere una prerogativa delle classi elevate e cominciò, gradualmente, a estendersi alle masse.[30][31] Fu solo a partire da tale anno che il termine "italiano" (ad esempio) cessò, anche in queste terre, di essere una mera espressione di appartenenza geografica o sociale e cominciò ad implicare l'appartenenza a una "nazione" italiana.[32] Analogo processo subirono gli altri gruppi nazionali: si vennero pertanto a definire i moderni gruppi nazionali: italiani, sloveni, croati e serbi.

La perdita del Veneto a seguito della Terza guerra d'Indipendenza (1866) portò il governo asburgico - tanto in Dalmazia, quanto in Venezia Giulia - a contrastare il potere politico[33] e l'irredentismo (vero o presunto) della popolazione italiana favorendo il nascente nazionalismo degli sloveni[34] e dei croati, nazionalità ritenute più leali e affidabili rispetto agli italiani[35]. Nel corso della riunione del consiglio dei ministri del 12 novembre 1866 l'imperatore Francesco Giuseppe delineò compiutamente in tal senso un piano di ampio respiro:

 
Mappa della Croazia indicante i residenti di madrelingua italiana per città e comuni, registrati dal censimento croato del 2011

«Sua Maestà ha espresso il preciso ordine che si agisca in modo deciso contro l'influenza degli elementi italiani ancora presenti in alcune regioni della Corona e, occupando opportunamente i posti degli impiegati pubblici, giudiziari, dei maestri come pure con l’influenza della stampa, si operi nel Tirolo del Sud, in Dalmazia e sul Litorale per la germanizzazione e la slavizzazione di detti territori a seconda delle circostanze, con energia e senza riguardo alcuno. Sua maestà richiama gli uffici centrali al forte dovere di procedere in questo modo a quanto stabilito.»

La politica di collaborazione con i serbi locali, inaugurata dallo zaratino Ghiglianovich e dal raguseo Giovanni Avoscani, permise poi agli italiani la conquista dell'amministrazione comunale di Ragusa nel 1899. Il 26 aprile 1909 - al termine di una lunga trattativa che aveva coinvolto il governo austriaco e i rappresentanti dei partiti dalmati - venne pubblicata un'ordinanza ministeriale concernente l’uso delle lingue presso le imperial-regie autorità civili ed uffici dello Stato in Dalmazia. La lingua interna ordinaria divenne la croata, pur riconoscendo la possibilità di presentare un’istanza e di ricevere risposta in italiano se il funzionario che trattava la pratica conosceva tale lingua: "la corrispondenza degli uffici, la trattazione interna degli affari, così come qualunque atto ufficiale giuridico o tecnico, potevano essere compilate in lingua italiana; inoltre le notificazioni ufficiali, le insegne e i timbri sarebbero stati bilingui in 24 distretti (mandamenti) lungo la costa dalmata, dove erano concentrate le comunità italiane". Questa norma venne fortemente avversata dai dalmati italiani, che vedevano in essa il definitivo riconoscimento di un ruolo subalterno dell'Italiano in Dalmazia[38]. Queste ingerenze, insieme ad altre azioni di favoreggiamento al gruppo etnico slavo ritenuto dall'impero più fedele alla corona, esasperarono la situazione andando ad alimentare le correnti più estremiste e rivoluzionarie.

In conseguenza della politica del Partito del Popolo, che conquistò gradualmente il potere, in Dalmazia si verificò una costante diminuzione della popolazione italiana, in un contesto di repressione che assunse anche tratti violenti[senza fonte]. Nel 1845 i censimenti austriaci (peraltro approssimativi) registravano quasi il 20% di Italiani in Dalmazia, mentre nel 1910 erano ridotti a circa il 2,7%.[39] Tutto ciò spinse sempre più gli autonomisti a identificare sé stessi come italiani, fino ad approdare all'irredentismo.

L'irredentismo italiano in Istria e in Dalmazia

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L'irredentismo italiano in Istria fu un movimento esistente tra gli istriani di etnia italiana che nell'Ottocento e Novecento promuoveva l'unione dell'Istria al Regno d'Italia[40]. Nella prima metà dell'Ottocento l'Istria era infatti parte dei territori austroungarici, ed il nascente nazionalismo italiano iniziò a manifestarsi, specialmente a Capodistria.

Nel 1861, in occasione della proclamazione del Regno d'Italia, e nel 1866, dopo la terza guerra d'indipendenza, l'Istria non fu annessa all'Italia per svariate ragioni, a causa delle quali molti istriani si organizzarono al fine di ottenere questa unione, abbracciando l'irredentismo italiano. Del resto gli irredentisti volevano l'annessione dell'Istria all'Italia perché la ritenevano terra irredenta in quanto culturalmente parte del retaggio identitario italiano e geograficamente inclusa nei confini naturali dell'Italia fisica[41]. Il più noto fra gli irredentisti istriani fu Nazario Sauro, tenente di vascello della Regia Marina nel primo conflitto mondiale giustiziato dall'Austria-Ungheria: solo nel 1918 l'Istria fu "redenta" (ossia unita alla madre patria). Ad un patriota capodistriano, il generale Vittorio Italico Zupelli, già distintosi nella Guerra italo-turca (1911-1912), fu addirittura affidato il "Ministero della guerra" italiano durante il primo conflitto mondiale.

Analogo movimento fu l'irredentismo italiano in Dalmazia. I primi avvenimenti che coinvolsero i dalmati italiani nel Risorgimento furono i moti rivoluzionari del 1848, durante i quali essi presero parte alla costituzione della Repubblica di San Marco a Venezia. Gli esponenti dalmati più famosi che intervennero furono Niccolò Tommaseo e Federico Seismit-Doda[42].

Dopo tale fase storica in Dalmazia nacquero due movimenti a carattere nazionalista, quello italiano e quello croato. Il movimento italiano trovò come guida Antonio Bajamonti[42], che dal 1860 al 1880 fu podestà di Spalato per il partito autonomista filoitaliano che rappresentava la maggioranza italiana nella città.

Le istanze politiche dei dalmati italiani erano promosse dal Partito Autonomista, fondato nel 1878 e scioltosi nel 1919: membro di spicco ne fu Antonio Bajamonti. Il partito, che originariamente ebbe il favore anche di parte della popolazione croata, sostituì progressivamente ad un programma autonomista per la regione un progetto irredentista per la stessa, considerati l'ostilità dell'autorità austriaca e i dissidi con la comunità croata. Il 26 aprile 1909, con provvedimenti legislativi entrati in vigore il 1º gennaio 1912, la lingua italiana perse il proprio status di lingua ufficiale della regione in favore del solo croato (precedentemente entrambe le lingue erano riconosciute): l'italiano non poté più essere usato a livello pubblico e amministrativo, sicché i dalmati italiani furono estromessi dalle amministrazioni comunali[42].

Allo scoppio della prima guerra mondiale molti dalmati italiani si arruolarono nel Regio Esercito per combattere a fianco dell'Italia: tra questi famoso fu Francesco Rismondo; altri, come Natale Krekich e Ercolano Salvi vennero internati in Austria. Tra gli irredenti oltreconfine che si arruolarono nel Regio Esercito, ci fu anche Antonio Bergamas, volontario di Gradisca d'Isonzo, comune friulano annesso al Regno d'Italia solo dopo la guerra, morto in combattimento senza che il suo corpo fosse stato mai ritrovato. Sua madre, Maria Bergamas, a guerra conclusa scelse la salma di un soldato italiano morto nella prima guerra mondiale, la cui identità resta sconosciuta, a cui fu in seguito data solenne sepoltura all'Altare della Patria al Vittoriano[42]. La sua tomba divenne il sacello del Milite Ignoto, che, ancora oggi, rappresenta tutti i caduti e i dispersi in guerra italiani[42].

A Trieste, fino alla Primavera dei popoli gli sloveni, venuti a contatto con la popolazione urbanizzata di lingua italiana, cercavano di integrarsi nel tessuto sociale imparando e usando la lingua italiana tendendo gradualmente a italianizzarsi.[43]

Sudditi dell’Impero austriaco residenti nella città di Trieste
Confronto censimenti 1890 – 1910
[43]
Italiani % Sloveni % Tedeschi % Altri %
Censimento 1890 100 039 73,87 27 725 20,47 7 107 5,26 544 0,40
Censimento 1910 118 959 62,31 56 916 29,81 11 856 6,21 3 182 1,67

Con la Primavera dei popoli, grazie alla possibilità di accedere all’istruzione nella propria lingua madre ed allo sviluppo di una propria cultura, anche la popolazione slovena presente a Trieste cominciò progressivamente ad assumere una propria coscienza nazionale, che si concretizzava nella costituzione di circoli culturali e sportivi, nonché nello sviluppo di una propria rete economico-finanziaria[34]. Tale situazione fu favorita anche da un'accentuata crescita demografica degli sloveni, che tra il 1890 e il 1910 addirittura raddoppiarono di numero, come si evince dalla qui accanto riportata tabella.

 
Ruggero Fauro, Trieste, 1914[44]

Alcuni ambienti politici irredentisti percepirono l’ascesa sociale della comunità minoritaria slovena come una minaccia e un ostacolo al raggiungimento delle proprie aspirazioni, e in alcuni esponenti dell’irredentismo radicale tale sensazione si trasformò addirittura in un sentimento di odio nei confronti dei propri concittadini di lingua slovena:

«La lotta è una fatalità che non può avere il suo compimento se non nella sparizione completa di una delle due razze che si combattono... Da noi lo slavo e il tedesco vive talvolta nella nostra stessa casa...anche quello lì è un nemico che si deve odiare e combattere senza quartiere... A noi, che la lotta abbia un carattere civile o incivile non importa nulla… contro questi ignavi bifolchi noi non possiamo rispondere con la severa coscienza nazionale, ma con l’odio...se avremo la fortuna che il governo sia quello della Patria italiana, faremo presto a sbarazzarci di tutti questi bifolchi sloveni e croati...[45]»

La Grande Guerra e l'annessione all'Italia

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Patto di Londra e Vittoria mutilata.

Nel 1915 l'Italia entrò nella Grande Guerra a fianco della Triplice intesa in base ai termini del Patto di Londra, che le assicuravano il possesso dell'intera Venezia Giulia e della Dalmazia settentrionale, incluse molte isole. La città di Fiume, invece, veniva espressamente assegnata quale principale sbocco marittimo di un eventuale futuro stato croato o del Regno d'Ungheria, nel caso in cui la Croazia avesse continuato ad essere un banato dello stato magiaro o della Duplice Monarchia[46].

 
Cartina della Dalmazia e della Venezia Giulia coi confini previsti dal Patto di Londra (linea rossa) e quelli invece effettivamente ottenuti dall'Italia (linea verde). In fucsia sono invece indicati gli antichi domini della Repubblica di Venezia

Al termine della guerra, il Regio Esercito occupò militarmente tutta la Venezia Giulia e la Dalmazia, secondo i termini dell'armistizio, inclusi i territori assegnatigli dal trattato di Londra. Ciò provocò le reazioni opposte delle diverse etnie, con gli italiani che acclamarono alla "redenzione" delle loro terre e gli slavi che guardavano con ostilità e preoccupazione i nuovi arrivati. La contrapposizione nazionale subì un nuovo e forte inasprimento. Successivamente, la definizione dei confini fra l'Italia e il nuovo stato jugoslavo fu oggetto di una lunga e aspra contesa diplomatica, che trasformò il contrasto nazionale in una contrapposizione fra Stati sovrani, che coinvolse vasti strati dell'opinione pubblica esasperandone ulteriormente i sentimenti.

 
Gabriele D'Annunzio (al centro con il bastone) durante l'impresa di Fiume
 
Manifestazione irredentista a Fiume (11 novembre 1918), all'epoca non ancora facente parte del Regno d'Italia. Fiume passò all'Italia nel 1924, per poi essere ceduta alla Jugoslavia nel 1947

Forti tensioni suscitò in particolare la questione di Fiume, che fu rivendicata dall'Italia sulla base dello stesso principio di autodeterminazione che aveva fatto assegnare al regno jugoslavo le terre dalmate, già promesse all'Italia. La questione dei confini fu infine risolta con i trattati di Saint Germain e di Rapallo. L'Italia ottenne solo parte di ciò che le era stato promesso dal patto segreto di Londra. In base al principio di nazionalità, sostenuto dalla dottrina Wilson, le fu negata la città di Fiume e la Dalmazia (dove ottenne solo la città di Zara e alcune isole). Per via del mancato rispetto del Patto di Londra, l'epilogo della prima guerra mondiale venne definito "vittoria mutilata".

Col trattato di Rapallo Fiume venne eretta a stato libero, per poi essere annessa all'Italia in seguito al trattato di Roma (1924). In base al trattato di Rapallo 356 000 sudditi dell'Impero austro-ungarico di lingua italiana ottennero la cittadinanza italiana, mentre circa 15 000 di essi rimasero in territori assegnati al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Contemporaneamente si ritrovarono entro i confini del Regno d'Italia 490 000 slavi (di cui circa 170 000 Croati e circa 320 000 Sloveni).

Il biennio rosso e il "fascismo di confine"

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Biennio rosso in Italia e Storia del fascismo italiano.
 
I funerali di Gulli e Rossi a Sebenico

Nel biennio 1919-20 l'Europa fu investita da ondate di scioperi e agitazioni di operai che rivendicavano migliori condizioni di lavoro, il cosiddetto biennio rosso. Spesso le fabbriche furono occupate e gestite sul modello dei Soviet, sorti dalla Rivoluzione russa. Contemporaneamente scoppiarono conflitti e scontri di carattere etnico in quei territori soggetti a opposte rivendicazioni nazionali. Nella Stiria meridionale, ad esempio, vi fu l'eccidio di Marburgo, causato da milizie slovene. Conflitti armati scoppiarono in varie regioni dell'Europa orientale, per la definizione dei confini.

 
L'Hotel Balkan sede del Narodni Dom dopo l'incendio (1920)

Anche l'Italia fu investita da un'ondata di tensioni sociali, con proteste, scioperi e agitazioni, che coinvolsero anche Trieste e la Venezia Giulia, oltre che la vicina Dalmazia (in gran parte sotto occupazione militare italiana). Tali problematiche si sommarono alle preesistenti tensioni nazionali e al diffondersi dell'idea di "vittoria mutilata" e divennero un fertile terreno per l'affermazione del nascente fascismo, che si proponeva come tutore dell'italianità e del mantenimento dell'ordine nazionale della Venezia Giulia, talvolta con il tacito appoggio delle autorità. I contrasti etnici tra italiani e slavi nell'immediato dopoguerra provocarono, fra gli altri, gli incidenti di Spalato, culminati nell'uccisione (il 12 luglio 1920) di due militari della Regia Marina, il comandante della Regia Nave Puglia Tommaso Gulli e il motorista Aldo Rossi. I fascisti, il giorno dopo la morte dei due militari, organizzarono una manifestazione anti-jugoslava a Trieste.

Altri eventi degni di nota furono l'uccisione di un italiano da parte di un uomo identificato da alcune fonti come "slavo"[47] (per quanto le circostanze non siano mai state chiarite[48]) e l'incendio, da parte dei fascisti, del Narodni dom ("Casa nazionale slovena") di Trieste. Tale incidente assunse a posteriori un forte significato simbolico, venendo ricordato dagli slavi come l'inizio dell'oppressione italiana.

L'italianizzazione fascista

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Italianizzazione (fascismo).

La situazione degli slavi peggiorò con la presa del potere da parte del Partito Nazionale Fascista, nel 1922, quando fu gradualmente introdotta in tutta Italia una politica di assimilazione delle minoranze etniche e nazionali:

  • gran parte degli impieghi pubblici fu assegnata agli appartenenti al gruppo etnico italiano, che nell'ultimo periodo di dominazione asburgica ne era stato completamente estromesso a vantaggio degli Slavi e dei Tedeschi;
  • con l'introduzione della Legge n. 2185 del 1 ottobre 1923 (Riforma scolastica Gentile), fu abolito nelle scuole l'insegnamento delle lingue croata e slovena. Nell'arco di cinque anni tutti gli insegnanti croati delle oltre 160 scuole con lingua d'insegnamento croata e tutti gli insegnanti sloveni delle oltre 320 scuole con lingua d'insegnamento slovena furono sostituiti con insegnanti italiani, che imposero agli alunni l'uso esclusivo della lingua italiana[49][50];
     
    Tratteggiato in rosso, il territorio abitato quasi esclusivamente da sloveni assegnato al Regno d'Italia in base al trattato di Rapallo che fu oggetto di italianizzazione
  • con il Regio Decreto n. 800 del 29 marzo 1923 furono imposti d'ufficio nomi italiani a tutte le centinaia di località dei territori assegnati all'Italia con il Trattato di Rapallo, anche laddove precedentemente prive di denominazione in lingua italiana, in quanto abitate quasi esclusivamente da croati o sloveni[51];
  • in base al Regio Decreto n. 494 del 7 aprile 1926 le autorità italiane italianizzarono i cognomi a decine di migliaia di croati e sloveni[52]. Inoltre, con una legge del 1928 i parroci e gli uffici anagrafici ricevettero il divieto di iscrivere nomi stranieri nei registri delle nascite[53].

Simili politiche di assimilazione forzata erano all'epoca assai comuni in Europa, venendo applicate, fra gli altri, anche da paesi come la Francia[54] o il Regno Unito, oltre che dalla stessa Jugoslavia soprattutto nei confronti delle proprie minoranze italiane, tedesche, ungheresi e albanesi[55]. Si potrebbe inoltre ricordare la situazione degli ungheresi di Transilvania, dei bulgari di Macedonia, o degli ucraini di Polonia.

La politica di "bonifica etnica" avviata dal fascismo fu tuttavia particolarmente pesante, in quanto l'intolleranza nazionale, talora venata di vero e proprio razzismo, venne affiancata e coadiuvata dalle misure repressive tipiche di un regime totalitario[56].

L'azione del governo fascista annullò l'autonomia culturale e linguistica di cui le popolazioni slave avevano goduto durante la dominazione asburgica e esasperò i sentimenti di avversione nei confronti dell'Italia. Le società segrete irredentiste slave, preesistenti allo scoppio della Grande Guerra, si fusero in gruppi più grandi a carattere eversivo, come la Borba e il TIGR, che si resero responsabili di numerosi attacchi a militari, civili e infrastrutture italiane. Alcuni elementi di queste società segrete furono catturati dalla polizia italiana e condannati a morte dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato per le uccisioni di cui si erano resi responsabili (1 terrorista condannato e fucilato a Pola nel 1929, con 4 complici condannati a 25 anni di carcere ciascuno; 4 terroristi condannati e giustiziati a Trieste, con 12 complici condannati a pene detentive per complessivi 147 anni e 6 mesi - cosiddetto "1° processo di Trieste" - nel 1930; 9 terroristi condannati a morte per terrorismo e spionaggio in periodo bellico di cui 5 giustiziati, con 51 complici condannati, complessivamente, a 666 anni e 6 mesi di carcere - cosiddetto "2° processo di Trieste" - nel 1941, a guerra iniziata).

L'invasione della Jugoslavia

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Divisione della Jugoslavia dopo la sua invasione da parte delle Potenze dell'Asse.

     Aree assegnate all'Italia: l'area costituente la provincia di Lubiana, l'area accorpata alla provincia di Fiume e le aree costituenti il Governatorato di Dalmazia

     Stato Indipendente di Croazia

     Area occupate dalla Germania nazista

     Aree occupate dal Regno d'Ungheria

 
Mappa del Governatorato della Dalmazia, con segnate la provincia di Zara (in verde), la provincia di Spalato (in arancio) e la provincia di Cattaro (in rosso scarlatto)

Nell'aprile del 1941 l'Italia partecipò all'attacco dell'Asse contro la Jugoslavia, la quale, dopo la resa dell'esercito, avvenuta il giorno 17[57], e l'inizio della politica di occupazione, fu smembrata e parte dei suoi territori furono annessi agli stati invasori.

A seguito del trattato di Roma l'Italia annetté parte della Slovenia, parte della Banovina di Croazia nord-occidentale (che venne accorpata alla Provincia di Fiume), parte della Dalmazia e le Bocche di Cattaro (che andarono a costituire il Governatorato di Dalmazia), divenendo militarmente responsabile della zona che comprendeva la fascia costiera, e il relativo entroterra, dell'ex-Jugoslavia.

In Slovenia fu costituita la Provincia di Lubiana, dove, a fini politici e in contrapposizione con i tedeschi, si progettò, senza successo, di instaurare un'amministrazione rispettosa delle peculiarità locali[58]. Nella Provincia di Fiume e nel Governatorato di Dalmazia fu invece instaurata fin dall'inizio una politica di italianizzazione forzata, che incontrò una decisa resistenza da parte della popolazione a maggioranza croata.

La Croazia fu dichiarata indipendente con il nome di Stato Indipendente di Croazia, il cui governo fu affidato al partito ultranazionalista degli ustascia, con a capo Ante Pavelić.

La resa dell'esercito jugoslavo non fermò i combattimenti e in tutto il paese crebbe un'intensa attività di resistenza che proseguì fino al termine della guerra e che vide da un lato la contrapposizione tra eserciti invasori e collaborazionisti e dall'altro la lotta fra le diverse fazioni etniche e politiche.

Durante tutta la durata del conflitto vennero perpetrati, da tutte le parti in causa, numerosi crimini di guerra[59]. Nel corso della guerra in particolare si ebbero circa mezzo milione di serbi vittime di violenze da parte degli estremisti croati e 100.000 croati vittime delle violenze serbe[60]

Nella Provincia di Lubiana, fallito il tentativo di instaurare un regime di occupazione morbido, emerse presto un movimento resistenziale: la conseguente repressione italiana fu dura e in molti casi furono commessi crimini di guerra con devastazioni di villaggi e ritorsioni contro la popolazione civile. Le sanguinose rappresaglie attuate dal Regio Esercito italiano, per reprimere le azioni di guerriglia partigiana, aumentarono il risentimento della popolazione slava nei confronti degli italiani.

«Si procede ad arresti, ad incendi [. . .] fucilazioni in massa fatte a casaccio e incendi dei paesi fatti per il solo gusto di distruggere [. . .] La frase «gli italiani sono diventati peggiori dei tedeschi», che si sente mormorare dappertutto, compendia i sentimenti degli sloveni verso di noi»

A scopo repressivo, numerosi civili sloveni furono deportati nei campi di concentramento di Arbe e di Gonars[62].

 
Vista del campo di concentramento di Arbe usato per l'internamento della popolazione civile slovena

Nei territori annessi, accorpati alla Provincia di Fiume e al Governatorato della Dalmazia, fu avviata una politica di italianizzazione forzata del territorio e della popolazione. In tutto il Quarnaro e la Dalmazia, sia italiana che croata, si innescò dalla fine del 1941 una crudele guerriglia, contrastata da una repressione che raggiunse livelli di massacro dopo l'estate del 1942.

«. . . Si informano le popolazioni dei territori annessi che con provvedimento odierno sono stati internati i componenti delle suddette famiglie, sono state rase al suolo le loro case, confiscati i beni e fucilati 20 componenti di dette famiglie estratti a sorte, per rappresaglia contro gli atti criminali da parte dei ribelli che turbano le laboriose popolazioni di questi territori . . .»

Il 12 luglio 1942, nel villaggio di Podhum, per rappresaglia furono fucilati da reparti militari italiani, su ordine del Prefetto della Provincia di Fiume Temistocle Testa, tutti gli uomini del villaggio di età compresa tra i 16 e i 64 anni. Sul monumento che oggi sorge nei pressi del villaggio sono indicati i nomi delle 91 vittime dell'eccidio. Il resto della popolazione fu deportata nei campi di internamento italiani e le abitazioni furono incendiate[63].

Nello Stato Indipendente di Croazia, il regime ustascia scatenò una feroce pulizia etnica nei confronti dei serbi, nonché di zingari ed ebrei, simboleggiata dall'istituzione del campo di concentramento di Jasenovac, e contro il regime e gli occupanti presero le armi i partigiani di Tito, plurietnici e comunisti, e i cetnici, nazionalisti monarchici a prevalenza serba[64], i quali perpetrarono a loro volta crimini contro la popolazione civile croata che appoggiava il regime ustascia e si combatterono reciprocamente. A causa dell'annessione della Dalmazia costiera al Regno d'Italia, cominciarono inoltre a crescere le tensioni tra il regime ustascia e le forze d'occupazione italiane; venne perciò a formarsi, a partire dal 1942, un'alleanza tattica tra le forze italiane e i vari gruppi cetnici: gli italiani incorporarono i cetnici nella Milizia volontaria anticomunista (MVAC) per combattere la resistenza titoista.

Dopo la guerra la Jugoslavia chiese di giudicare i presunti responsabili di questi massacri (come il generale Mario Roatta), ma l'Italia negò la loro estradizione grazie ad alcune amnistie[65].

Gli eccidi contro la popolazione italiana

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1943: armistizio e prime esecuzioni

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Zone controllate dai partigiani di Tito subito dopo la capitolazione italiana (8 settembre 1943)
 
Recupero di resti umani dalla foiba di Vines, località Faraguni, presso Albona d'Istria negli ultimi mesi del 1943
 
Norma Cossetto
 
Autunno 1943: recupero di una salma, gli uomini indossano maschere antigas per i miasmi dell'aria attorno alla foiba

L'8 settembre 1943, con l'armistizio tra Italia e Alleati, si verificò il collasso del Regio Esercito.

Fin dal 9 settembre le truppe tedesche assunsero il controllo di Trieste e successivamente di Pola e di Fiume, lasciando momentaneamente sguarnito il resto della Venezia Giulia. I partigiani occuparono quindi buona parte della regione, mantenendo le proprie posizioni per circa un mese. Il 13 settembre 1943, a Pisino venne proclamata unilateralmente l'annessione dell'Istria alla Croazia, da parte del Consiglio di liberazione popolare per l'Istria[66]. Il 29 settembre 1943 venne istituito il Comitato esecutivo provvisorio di liberazione dell'Istria.

Improvvisati tribunali, che rispondevano ai partigiani dei Comitati popolari di liberazione, emisero centinaia di condanne a morte. Le vittime furono non solo rappresentanti del regime fascista e dello Stato italiano, oppositori politici, ma anche semplici personaggi in vista della comunità italiana e potenziali nemici del futuro Stato comunista jugoslavo che s'intendeva creare[67]. A Rovigno il Comitato rivoluzionario compilò una lista contenente i nomi dei fascisti, nella quale tuttavia apparivano anche persone estranee al partito e che non ricoprivano cariche nello Stato italiano. Vennero tutti arrestati e condotti a Pisino. In tale località furono condannati e giustiziati assieme ad altre persone di etnia italiana e croata.

La maggioranza dei condannati fu gettata nelle foibe o nelle miniere di bauxite, alcuni mentre erano ancora in vita[68]. Secondo le stime più attendibili, le vittime del 1943 nella Venezia Giulia si aggirano sulle 600-700 persone[69].

Alcune delle uccisioni sono rimaste impresse nella memoria comune dei cittadini per la loro efferatezza: tra queste vi sono quelle di Norma Cossetto (cui è stata riconosciuta la medaglia d'oro al valor civile[70]), di don Angelo Tarticchio e delle tre sorelle Radecchi nella Foiba di Terli.

I ritrovamenti dell'autunno 1943

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Sul principio dell'autunno del 1943, le foibe istriane furono usate anche dagli occupanti nazisti come sbrigativa forma di sepoltura per i partigiani uccisi in combattimento e per le vittime civili causate dalle numerose misure repressive messe in atto dai tedeschi in quei territori in seguito alle offensive antipartigiane dell'ottobre 1943[71]

Le prime ispezioni delle foibe istriane, che furono disposte immediatamente dopo il ripiegamento dei partigiani conseguente alla successiva invasione nazista, consentirono il rinvenimento di centinaia di corpi.

Il compito di ispezionare le foibe fu affidato al maresciallo dei Vigili del Fuoco Arnaldo Harzarich di Pola, che condusse le indagini da ottobre a dicembre del 1943 in Istria, in particolare nella Foiba di Vines.

La propaganda fascista diede ampio risalto a questi ritrovamenti, che suscitarono una forte impressione. Fu allora che il termine "foibe" cominciò ad essere associato agli eccidi, fino a diventarne sinonimo (anche quando compiuti in maniera diversa). Paradossalmente, l'enfasi data ai ritrovamenti da parte della Repubblica di Salò alimentò da un lato il clima di terrore che favorì il successivo esodo, dall'altro la reazione negazionista con cui le sinistre respinsero per molto tempo la fondatezza di un crimine denunciato per la prima volta dal nemico fascista.

L'armistizio in Dalmazia

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Il 10 settembre, mentre Zara veniva presidiata dai tedeschi, a Spalato e in altri centri dalmati entravano i partigiani jugoslavi. Vi rimasero sino al 26 settembre, sostenendo una battaglia difensiva per impedire la presa della città da parte dei tedeschi. Mentre si svolgevano quei 16 giorni di lotta, fra Spalato e Traù i partigiani soppressero 134 italiani, compresi agenti di pubblica sicurezza, carabinieri, guardie carcerarie e alcuni civili.

La Dalmazia fu occupata militarmente dalla 7. SS-Gebirgsdivision "Prinz Eugen" tedesca. Gli italiani, con la 15ª Divisione fanteria "Bergamo" di stanza a Spalato e precedentemente impegnata per anni proprio nella lotta antipartigiana, in quel frangente appoggiarono in massima parte i partigiani e combatterono in condizioni psicologiche e materiali molto difficili contro le truppe germaniche, fra le quali la sopra citata Divisione "Prinz Eugen", nonostante l'atteggiamento aggressivo e poco collaborativo dei partigiani titini. Dopo la capitolazione ordinata dal comandante, generale Emilio Becuzzi, molti ufficiali italiani furono passati per le armi da parte di elementi delle truppe germaniche, in quello che è noto come il massacro di Treglia. La Dalmazia fu annessa allo Stato Indipendente di Croazia. Tuttavia Zara, restò - seppur sotto il controllo tedesco - sotto la sovranità della RSI, fino alla occupazione jugoslava dell'ottobre 1944.

L'occupazione tedesca della Venezia Giulia e l'Ozak

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Operazione Nubifragio e Zona d'operazioni del Litorale adriatico.
 
Le aree segnate in verde facevano ufficialmente parte della Repubblica Sociale Italiana ma erano considerate dalla Germania zone di operazione militare e sottoposte a diretto controllo tedesco

A seguito dell'armistizio di Cassibile i tedeschi lanciarono l'Operazione Nubifragio, con l'obiettivo di assumere il controllo della Venezia Giulia, della provincia di Lubiana e dell'Istria.

L'offensiva ebbe inizio nella notte del 2 ottobre 1943 e portò all'annientamento della resistenza opposta da parte di nuclei partigiani, che furono decimati, catturati, costretti alla fuga o dispersi. I partigiani cercarono di ostacolare i tedeschi con imboscate, colpi di mano e agguati: questi reagirono colpendo la popolazione civile, anche di etnia italiana, con fucilazioni indiscriminate, violenze, incendi di villaggi e saccheggi.

Uno dei momenti più significativi sul territorio italiano fu la battaglia di Gorizia combattuta fra i giorni 11 e 26 settembre 1943 tra l'esercito tedesco e la Brigata Proletaria, un raggruppamento partigiano forte di circa 1500 uomini, costituito in massima parte da operai dei Cantieri Riuniti dell'Adriatico di Monfalcone e rafforzato da un consistente gruppo di partigiani sloveni.

L'Operazione Nubifragio si concluse il 9 ottobre con la conquista di Rovigno.

Le truppe germaniche costituirono nell'area occupata la Zona d'operazioni del Litorale adriatico o OZAK (acronimo di Operationszone Adriatisches Küstenland). Questa, pur essendo ufficialmente parte della Repubblica Sociale Italiana era sottoposta all'amministrazione militare tedesca e di fatto, annessa al Terzo Reich.

 
Bruno Coceani prefetto di Trieste durante l'occupazione nazista

L'amministrazione civile dell’OZAK fu affidata al Supremo Commissario Friedrich Rainer, che nominò quale capo della Provincia Bruno Coceani e quale podestà di Trieste Cesare Pagnini. A Bruno Coceani fu affidato anche il controllo e la supervisione delle altre prefetture della regione giuliana[72]. Il comando militare della regione fu affidato a Ludwig Kübler, mentre il comando della polizia e delle SS venne affidato a Odilo Globočnik, che avviò una lotta crudele e senza quartiere al movimento partigiano friulano e slavo molto forte sia nel Friuli che nella Venezia Giulia, attraverso l'utilizzo di forze collaborazioniste italiane e straniere. Queste ultime erano formate da oltre 12.000 uomini, inquadrati in vari corpi militari e di polizia tra i quali la Milizia per la Difesa Territoriale, l’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia, la Guardia Civica, due reparti regolari dell'esercito della RSI (Battaglione bersaglieri Mussolini e Reggimento Alpini Tagliamento), la Xª Flottiglia MAS (dal novembre '44 al febbraio '45), le Brigate nere, la polizia tedesca e varie formazioni di collaborazionisti sloveni, croati, serbi e cosacco-caucasici.

Dal settembre 1943 all'aprile 1945 si susseguirono le repressioni nazifasciste che portarono la provincia di Gorizia a essere la prima in Italia per numero di morti nei campi di sterminio nazisti[73].

Nella parte orientale della Zona d'operazioni del Litorale adriatico, come pure su tutti i territori della Jugoslavia, da essi occupate, i tedeschi subivano una strenua resistenza da parte dei reparti partigiani jugoslavi aderenti al Consiglio antifascista di liberazione popolare della Jugoslavia (in lingua serbocroata “Antifašističko vijeće narodnog oslobođenja Jugoslavije” conosciuto con l’acronimo AVNOJ)[74]. I principali obiettivi dei partigiani jugoslavi erano la liberazione dei popoli jugoslavi dall’occupazione nazifascista e la creazione di una nuova Jugoslavia federale, basata sul diritto di autodeterminazione dei popoli presenti sul territorio jugoslavo. Nella seconda riunione dell’AVNOJ, tenutasi il 29 novembre 1943 nella città bosniaca di Jajce, fu tra l'altro confermato anche l'intento di annettere alla nuova Jugoslavia i territori, abitati da sloveni e croati, che erano stati assegnati al Regno d'Italia dopo la prima guerra mondiale.[75]

Autunno 1944: ritiro dei tedeschi dalla Dalmazia

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Zara, Bombardamenti di Zara e Spalato.
 
Veduta di Zara distrutta dai bombardamenti (Molo di Riva Nuova)

Ulteriori eccidi si ebbero nel corso dell'occupazione delle città dalmate in cui risiedevano comunità italiane.

Terribile fu la sorte di Zara, ridotta in rovine dai bombardamenti aerei anglo-americani, che causarono la morte di alcune migliaia di civili (da 2 000 a 4 000) e contribuirono alla fuga di quasi il 75% dei suoi abitanti. Alla fine dell'ottobre 1944 anche l'esercito tedesco e la maggior parte dell'amministrazione civile italiana abbandonarono la città.

Zara fu occupata dagli Jugoslavi il 1º novembre 1944: si stima che il totale delle persone soppresse dai partigiani in pochi mesi sia di circa 180[76]. Fra gli altri furono uccisi i fratelli Nicolò e Pietro Luxardo (industriali, produttori del celebre liquore maraschino): secondo alcune testimonianze Nicolò fu annegato in mare[77]. Quella dell'annegamento in mare legati a macigni è una pratica di cui sono state date varie testimonianze[78], tanto da divenire nell'immaginario popolare la "tipica" modalità di esecuzione delle vittime zaratine, similmente alle foibe in Venezia Giulia.

Primavera 1945: l'occupazione della Venezia Giulia

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Massacro di Bačka e Corsa per Trieste.
 
Territori controllati dagli Alleati (color salmone e rosso) e dalle forze dell'Asse (bianco) al 1º maggio 1945.

Nella primavera del 1945 gli jugoslavi crearono una nuova Armata – la IV, al comando del giovane generale Petar Drapšin – con il compito di puntare verso Fiume, l'Istria e Trieste. L'ordine era di occupare la Venezia Giulia nel più breve tempo possibile, anticipando quindi gli alleati anglosassoni in quella che venne in seguito chiamata corsa per Trieste. Tale obiettivo divenne primario per l'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia: il 20 aprile 1945 la IV Armata jugoslava entrò nella Venezia Giulia e, assieme alle unità del IX Korpus sloveno, ivi già operanti dal dicembre 1943, tra il 30 aprile e il 1º maggio dilagò nel Carso e nell'Istria, occupando Trieste e Gorizia (1º maggio), Fiume (3 maggio) e Pola (5 maggio)[79], all'incirca una settimana prima della stessa liberazione di Lubiana e Zagabria. Ciò corrispondeva alla volontà di Tito di creare il "fatto compiuto" sul terreno, determinante ai fini delle future trattative sulla delimitazione dei confini fra Italia e Jugoslavia, invadendo l'Italia nord-orientale fino al fiume Tagliamento, mentre la sovranità sulle capitali di Slovenia e Croazia non era in discussione. Allo stesso modo, gli jugoslavi entrarono in forze nella Carinzia austriaca, già oggetto di rivendicazioni al termine della prima guerra mondiale.

Il nuovo regime si mosse nella Venezia Giulia in due direzioni. Le autorità militari avevano il mandato di ristabilire la legittimità della nuova situazione creatasi con operazioni militari di occupazione. L'OZNA, la polizia segreta jugoslava, invece, operava nella più totale autonomia.

Dopo la liberazione dall'occupazione tedesca, a partire dal maggio del 1945, nelle province di Gorizia, Trieste, Pola e Fiume il potere venne assunto dalle forze partigiane jugoslave; tale periodo fu funestato da arresti, sparizioni e uccisioni di centinaia di persone, alcune delle quali gettate nelle foibe ancora vive. A Gorizia, Trieste e Pola le violenze cessarono solamente dopo la sostituzione della amministrazione jugoslava con quella degli alleati, che avvenne il 12 giugno 1945 a Gorizia e Trieste, e il 20 giugno a Pola; a Fiume, invece, gli alleati non giunsero mai e le persecuzioni continuarono.

Eccidi a Trieste e in Istria

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Trieste § La corsa per Trieste e l'occupazione jugoslava.
 
Don Francesco Giovanni Bonifacio (beato in odium fidei) fu ucciso a Grisignana l'11 settembre 1946, parecchio tempo dopo il periodo delle "foibe" vero e proprio

I baratri venivano usati per l'occultamento di cadaveri con tre scopi: eliminare gli oppositori politici e i cittadini italiani che si opponevano (o avrebbero potuto opporsi) alle politiche del Partito Comunista di Jugoslavia di Tito.

Di nuovo si verificarono uccisioni efferate, come quella dei democristiani Carlo Dell'Antonio e Romano Meneghello e di don Francesco Giovanni Bonifacio, torturato e quindi assassinato (il suo corpo non è mai stato ritrovato); ritenuto martire in odium fidei dalla Chiesa, è stato beatificato nel 2008.

Tra gli altri politici di riferimento del CLN, si segnalano i casi di Augusto Bergera e Luigi Podestà - che restano due anni in campo di concentramento jugoslavo - e quelli del socialista Carlo Schiffrer e dell'azionista Michele Miani, che riescono ad aver salva la vita[80].

Gli scritti dell'allora sindaco di Trieste, Gianni Bartoli, nonché alcuni documenti inglesi riportano che "molte migliaia di persone sono state gettate nelle foibe locali" riferendosi alla sola città di Trieste e alle zone limitrofe, non includendo dunque il resto della Venezia Giulia, dell'Istria (dove si è registrata la maggioranza dei casi), del Quarnaro e della Dalmazia. In possesso di queste informazioni il Governo De Gasperi, nel maggio 1945, chiese ragione a Tito di 2.500 morti e 7.500 scomparsi nella Venezia Giulia. Tito confermò l'esistenza delle foibe come occultamento di cadaveri e i governi jugoslavi successivi mai smentirono tali affermazioni.

Un controverso studio svolto dalla giornalista Claudia Cernigoi[81] stima nel numero di 517 le vittime triestine, delle quali 412 sarebbero appartenute a formazioni militari, paramilitari o di polizia, poste al servizio delle autorità germaniche dell'OZAK (tra cui la Milizia Difesa Territoriale, l'Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza, formazioni della X^ MAS, Brigate Nere, formazioni squadriste), e sostiene che una consistente parte di esse (almeno 79) non sarebbe stata infoibata[82] ma sarebbero decedute a Borovnica o in altri campi di prigionia militari jugoslavi.

Eccidi a Gorizia e provincia

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Deportazioni di Gorizia.

Con l'arrivo dell'Armata Popolare Jugoslava, anche a Gorizia iniziarono le repressioni che toccarono l'apice fra il 2 e il 20 maggio. Migliaia furono gli arresti e gli scomparsi non solo tra gli italiani, ma anche tra gli sloveni che si opponevano al regime comunista di Tito.

Fra le vittime si ricordano alcuni esponenti politici locali di riferimento del CLN: Licurgo Olivi del Partito Socialista Italiano e Augusto Sverzutti del Partito d'Azione, riguardo al quale non si sa ancora la data dell'uccisione e se il suo cadavere sia stato infoibato[83].

Le autorità slovene, a marzo del 2006, hanno consegnato al sindaco di Gorizia un elenco di 1.048 deportati dalla provincia di Gorizia, dei quali circa 900 non hanno fatto più ritorno; di questi, circa 470 appartenevano a forze di ordine pubblico e formazioni militari italiane postesi al servizio degli occupatori tedeschi, circa 250 erano civili giuliani, 70 erano civili originari di altre province italiane e circa 110 erano sloveni collaborazionisti o presunti tali. Secondo il presidente dell'Unione degli Istriani, Massimiliano Lacota, questa lista sarebbe ancora grandemente incompleta[84].

Eccidi a Fiume

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Provincia di Fiume.
 
Bombardamento di Fiume da parte degli aerei della RAF (1944)

Fiume fu occupata[85] il 3 maggio dagli jugoslavi, che avviarono in breve tempo un'intensa campagna di epurazione. Gli agenti dell'OZNA deportarono 65 guardie di pubblica sicurezza e agenti della questura, 34 guardie di finanza e una decina di carabinieri; alcuni esponenti compromessi con il regime fascista furono invece uccisi sul posto[86].

Tra gli esponenti più in vista del PNF furono uccisi i senatori fiumani Icilio Bacci e Riccardo Gigante (podestà di Fiume dal 1930 al 1934), che non si erano macchiati di alcun crimine. Nell'ambito della caccia agli esponenti politici italiani vennero uccisi, fra gli altri, gli ex podestà Carlo Colussi (in carica dal 1934 al 1938, venne eliminato con la moglie Nerina Copetti) e Gino Sirola (podestà dal 1943 al 1945). In anni recenti, vicino alla località di Castua, è stata individuata la fossa dove riposano i resti di Gigante, ma il loro recupero risulta complesso.

 
Lapide votiva nel cimitero di Cosala, a Fiume.

Particolarmente violenta fu anche la caccia ai superstiti del Partito Autonomista Fiumano, concepito come un potenziale ostacolo all'annessione della città alla Jugoslavia. Il quotidiano comunista La Voce del Popolo scatenò una campagna di denuncia contro gli autonomisti, che vennero equiparati ai fascisti. I partigiani, nelle prime ore di occupazione della città, uccisero i vecchi capi del partito, fra i quali Mario Blasich, Giuseppe Sincich, Nevio Skull, Giovanni Baucer, Mario De Hajnal e Giovanni Rubinich, che fu fondatore del Movimento Autonomista Liburnico.

La persecuzione colpì anche gli esponenti dei CLN, secondo una linea ampiamente usata anche a Trieste e Gorizia. Numerosi furono nelle tre città gli arresti e le deportazioni di antifascisti, dei quali solo alcuni faranno ritorno dai campi di concentramento dopo lunghi periodi di detenzione. Ancora nel 1946, assai dopo le esplosioni di "jacquerie", risulteranno comminate condanne capitali contro reclusi accusati di aver fatto parte dei CLN[87].

Il numero di italiani sicuramente uccisi dall'entrata nella città di Fiume delle truppe jugoslave (3 maggio 1945) fino al 31 dicembre 1947 è di 652, a cui va aggiunto un ulteriore numero di vittime non esattamente identificabile per mancanza di riscontri certi[88].

Modifiche del confine orientale d’Italia e l’esodo giuliano dalmata

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La questione triestina

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Questione triestina, Corsa per Trieste e Trattato di Osimo.
 
La folla festante dopo il ritorno di Trieste all'Italia, 4 novembre 1954
 
Modifiche al confine orientale italiano dal 1920 al 1975:

     

     

     

     Aree del Litorale austriaco della Carinzia e della Carniola assegnate all'Italia nel 1920 con il trattato di Rapallo (con ritocchi del suo confine nel 1924 dopo il trattato di Roma), costituenti la Venezia Giulia:


     Aree annesse all'Italia nel 1920, assegnate definitivamente alla Jugoslavia nel 1947 con i trattati di Parigi

     Aree annesse all'Italia nel 1920 e rimaste italiane anche dopo il 1947

     Aree annesse all'Italia nel 1920, passate al Territorio Libero di Trieste nel 1947 con i trattati di Parigi e assegnate definitivamente all'Italia nel 1975 con il trattato di Osimo

     Aree annesse all'Italia nel 1920, passate al Territorio Libero di Trieste nel 1947 con i trattati di Parigi e assegnate definitivamente alla Jugoslavia nel 1975 con il trattato di Osimo

 
I confini orientali italiani dal 1945 al 1947:
I due schieramenti militari, che concorsero alla cacciata degli occupatori nazisti da Trieste, il 12 giugno 1945, si accodarono per una spartizione temporanea della Venezia Giulia, in attesa di un trattato che fissasse il nuovo confine tra l’Italia e la Jugoslavia. La linea di separazione fu stabilita sulla cosiddetta Linea Morgan. L’area di occupazione militare ad ovest della linea Morgan (Zona A) venne affidata al controllo dell’esercito statunitense e di quello britannico, mentre l’area ad est di detta linea (Zona B) venne affidata al controllo dell’esercito jugoslavo. Tale divisione terminò nel 1947 con l'entrata in vigore dei Trattati di Parigi, ossia con la divisione del territorio conteso tra l’Italia, il Territorio Libero di Trieste e la Jugoslavia.
Divisione amministrativa della Venezia Giulia dal 1924 al 1947

     Provincia di Gorizia

     Provincia di Trieste

     Provincia di Pola

     Provincia di Fiume

Territori costituenti la Regione Autonoma
Friuli-Venezia Giulia
(Legge Costituzionale n. 1 del 1963)[89]

     Provincia di Udine

     Parte della Venezia Giulia, rimasta sotto sovranità italiana dopo la seconda guerra mondiale

Nella parte finale della seconda guerra mondiale e durante il successivo dopoguerra ci fu la contesa sui territori della Venezia Giulia tra Italia e Jugoslavia, che è chiamata "questione giuliana" o "questione triestina". Trieste era stata occupata dalle truppe del Regno d'Italia il 3 novembre del 1918, al termine della prima guerra mondiale, e poi ufficialmente annessa all'Italia con la ratifica del Trattato di Rapallo del 1920: al termine della seconda, con l'Italia sconfitta, ci furono infatti le occupazioni militari tedesca e poi jugoslava.

L'occupazione jugoslava fu ottenuta grazie alla cosiddetta "corsa per Trieste", ovvero all'avanzata verso la città giuliana compiuta in maniera concorrenziale nella primavera del 1945 da parte della quarta armata jugoslava e dell'ottava armata britannica.

Il 10 febbraio del 1947 fu firmato il trattato di pace dell'Italia, che istituì il Territorio Libero di Trieste, costituito dal litorale triestino e dalla parte nordoccidentale dell'Istria, provvisoriamente diviso da un confine passante a sud della cittadina di Muggia ed amministrato dal Governo Militare Alleato (zona A) e dall'esercito jugoslavo (zona B), in attesa della creazione degli organi costituzionali del nuovo stato.

Nella regione la situazione si fece incandescente e numerosi furono i disordini e le proteste italiane: in occasione della firma del trattato di pace, la maestra Maria Pasquinelli uccise a Pola il generale inglese Robin De Winton, comandante delle truppe britanniche. All'entrata in vigore del trattato (15 settembre 1947) corse addirittura voce che le truppe jugoslave della zona B avrebbero occupato Trieste.[90] Negli anni successivi la diplomazia italiana cercò di ridiscutere gli accordi di Parigi per chiarire le sorti di Trieste, senza successo.

La situazione si chiarì solo il 5 ottobre 1954 quando col Memorandum di Londra la Zona "A" del TLT passò all'amministrazione civile del governo italiano, mentre l'amministrazione del governo militare jugoslavo sulla Zona "B" passò al governo della Repubblica socialista. Gli accordi prevedevano inoltre alcune rettifiche territoriali a favore della Jugoslavia fra cui il centro abitato di Albaro Vescovà / Škofije con alcune aree appartenenti al Comune di Muggia (pari a una decina di km²). Il trattato fu un passo molto gradito alla NATO, che valutava particolarmente importante la stabilità internazionale della Jugoslavia.

L'esodo degli italiani di Istria, Fiume e Dalmazia

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Esodo giuliano dalmata.
 
Una giovane esule italiana in fuga trasporta, insieme ai propri effetti personali, una bandiera tricolore

Al massacro delle foibe seguì l'esodo giuliano dalmata, ovvero l'emigrazione forzata della maggioranza dei cittadini di etnia e di lingua italiana in Istria e nel Quarnaro, dove si svuotarono dai propri abitanti interi villaggi e cittadine. Nell'esilio furono coinvolti tutti i territori ceduti dall'Italia alla Jugoslavia con il trattato di Parigi e anche la Dalmazia, dove vivevano i dalmati italiani.

Con la firma del trattato l'esodo s'intensificò ulteriormente. Da Pola, così come da alcuni centri urbani istriani (Capodistria, Parenzo, Orsera, ecc.) partì oltre il 90% della popolazione etnicamente italiana, da altri (Buie, Umago e Rovigno) si desumono percentuali inferiori ma sempre molto elevate. Si stima che l'esodo giuliano-dalmata abbia interessato un numero compreso tra i 250 000 e i 350 000 italiani. I massacri delle foibe e l'esodo giuliano-dalmata sono ricordati dal Giorno del ricordo, solennità civile nazionale italiana celebrata il 10 febbraio di ogni anno.

L'ultima fase migratoria ebbe luogo dopo il 1954 allorché il Memorandum di Londra assegnò definitivamente la zona A del Territorio Libero di Trieste all'Italia e la zona B alla Jugoslavia. L'esodo si concluse solamente intorno al 1960. Dal censimento jugoslavo del 1971 in Istria e nel Quarnaro erano rimasti 17.516 italiani su un totale di 432.136 abitanti.

Vittime

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Tipologia delle vittime

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Tra i caduti figurano non solo personalità legate al Partito Nazionale Fascista, ma anche ufficiali, funzionari e dipendenti pubblici, insegnanti, impiegati bancari, postini, sacerdoti, parte dell'alta dirigenza italiana contraria sia al comunismo, sia al fascismo, tra cui compaiono esponenti di organizzazioni partigiane o anti-fasciste, autonomisti fiumani seguaci di Riccardo Zanella, collaboratori e nazionalisti radicali e semplici cittadini. Si registrarono anche casi di donne e bambini uccisi:

«Dalla foiba di Lindaro, in Istria, vennero recuperate nell’autunno del 1943 le salme di una donna con due figli, moglie di una camicia nera. Secondo fonti della RSI, un’altra donna, moglie di un milite confinario, sarebbe stata uccisa assieme alla figlia di 11 anni e gettata con lei nella foiba di Jurani. In entrambi i casi le vittime furono prelevate al posto dei parenti, ricercati in quanto fascisti. Lo stesso avvenne per la giovane Norma Cossetto, arrestata nell’autunno del 1943 in luogo del padre a Santa Domenica di Visinada e poi seviziata e uccisa.»

In paralleli eccidi furono coinvolti anche cittadini italiani o ex italiani di nazionalità slovena e croata. Tali uccisioni ebbero una matrice esclusivamente politica, rimanendo esclusa quella etnica, intendendo il costituendo regime comunista, «oltre a fare i conti con il fascismo, eliminare tutti gli oppositori, anche solo potenziali... »[91][92][93][94]. Questi episodi, pertanto, nel dibattito italiano non sono di solito considerati parte degli eccidi delle foibe[95], termine che si riferisce alle sole vittime di nazionalità italiana.

Quantificazione delle vittime

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Nel conteggio delle vittime dei massacri che coinvolsero gli italiani della Venezia Giulia e della Dalmazia vanno considerati tre distinti periodi:

  • Primo periodo: settembre-ottobre 1943, in cui vennero coinvolti gli italiani in Istria.

«Durante l’insurrezione popolare in Istria (settembre-ottobre 1943) furono uccise circa 450 persone[96]»


  • Secondo periodo: ottobre-novembre 1944, in cui vennero coinvolti gli italiani a Zara, città in cui cinquantaquattro bombardamenti aerei alleati, compiuti fra il novembre 1943 e l’ottobre 1944, già avevano causato la morte di circa 2 000 dei suoi 22 000 abitanti.

«Il 31 ottobre i partigiani di Tito entrano a Zara. Si calcola che a Zara dopo quella data le esecuzioni sommarie, o a seguito di rapidi processi, abbiano coinvolto 372 persone nominativamente accertate, di cui 33 cittadini iugoslavi del territorio annesso e il resto italiani della città, finanzieri e agenti di polizia. Alcuni furono annegati in mare con pietre legate al collo o precipitati dalle scogliere del Canale di Zara.»


  • Terzo periodo: maggio-giugno 1945 e oltre, in cui vennero coinvolti gli italiani a Trieste, a Gorizia, in Istria, e a Fiume.

«Maserati nel suo volume ’’L’occupazione jugoslava di Trieste (maggio-giugno 1945)’’[99] dà le seguenti cifre: Non avrebbero più fatto ritorno circa 600 dei deportati da Trieste, circa 550 di quelli da Gorizia, circa 670 dall’Istria, circa 280 da Fiume»…
«Da Pola furono deportate e uccise altre 400 persone. Erano civili e militari, membri dell’esercito, della milizia fascista, della polizia. Non tutti furono uccisi e molti furono i decessi a causa di stenti e malattie. Numerosi tra gli scomparsi anche gli slavi, ”domobranci” o altri collaborazionisti… perirono purtroppo anche parecchi innocenti e militanti del movimento di liberazione italiano e degli autonomisti fiumani.»


Una quantificazione precisa delle vittime è impossibile a causa di una generale mancanza di documenti. Il Governo jugoslavo (e successivamente quello croato) non ha mai accettato di partecipare a inchieste per determinare il numero di decessi. Negli ultimi anni ha invece dimostrato una volontà di partecipazione, per far luce sulla vicenda, il Governo della Repubblica di Slovenia, consegnando nel 2005 al sindaco di Gorizia l'elenco dei goriziani arrestati da parte delle autorità jugoslave, redatto in base alle informazioni in suo possesso[101]. Alcuni commentatori ritengono inoltre che una parte della documentazione sia tuttora secretata negli archivi, in particolare dell'ex Partito comunista italiano[102]. Guido Rumici nel 2002 ha valutato il numero totale delle vittime (comprensive quindi di quelle morte durante la prigionia o la deportazione) come compreso tra poco meno di 5 000 e 11 000[5][103]. Nel 2020 lo storico Raoul Pupo ha quantificato fra 3 000 e 5 000 il numero dei morti[104].

 
La foiba di Pisino, dove si inabissa l'omonimo torrente

Nel dopoguerra e nei decenni immediatamente successivi le vittime venivano usualmente indicate in 15 000[105], anche se all'epoca tali valutazioni non erano basate su stime scientifiche e talvolta vennero aumentate fino a 20 000[106]. Calcoli volumetrici eseguiti tenendo presente la profondità del pozzo prima e dopo la strage della Foiba di Basovizza hanno ipotizzato la presenza di oltre duemila vittime[107]. Alcuni storici ritengono questa cifra solamente speculativa, in quanto le stime si basano solamente su calcoli volumetrici fatti sulle dimensioni della Foiba di Basovizza; secondo tali autori, le ricerche condotte non hanno confortato questa ipotesi: nel 1945 durante l'ispezione della foiba sono stati trovati detriti, carcasse di animali e alcuni resti di uniformi tedesche assieme ad alcuni corpi, mentre nel 1953 una compagnia che commerciava ferro fu autorizzata a recuperare le rimanenze di metallo nella foiba, dichiarando, alla fine dei lavori, di aver scavato fino in fondo senza incontrare resti umani[108][109].

Studi rigorosi sono stati effettuati solo a partire dagli anni novanta. Le salme di "infoibati" effettivamente rinvenute finora sono circa un migliaio. Nell'uso comune, comunque, anche gli uccisi in altre circostanze legate all'avanzata delle forze jugoslave lungo il confine orientale italiano vengono considerati vittime "delle foibe".

A fine 2020 si sono conclusi i lavori di censimento della Commissione per fosse comuni nascoste in Slovenia su incarico del governo di Lubiana, ha censito che nell'ex Paese jugoslavo in ben 581 fosse o foibe sono stati rinvenuti più di 100.000 corpi giustiziati nella seconda guerra mondiale per mano dei partigiani di Tito.[110][una fonte più solida de Il Piccolo sarebbe gradita; questa commissione ha pubblicato un rapporto ufficiale?]

Modalità delle esecuzioni

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Con il termine “vittime delle foibe” vengono indicate, sia nel linguaggio comune che in quello storiografico, non solo le vittime gettate in una foiba, ma anche le vittime morte nei campi di prigionia jugoslavi[111] e quelle uccise per motivi politici o vendicativi con diverse altre modalità.
Schema di una foiba tratto da una pubblicazione del 1946 del CLN istriano.
Annegamento del farmacista Pietro Ticina e della sua famiglia in un'illustrazione de La Domenica del Corriere del gennaio 1944.

Nelle foibe furono gettati cadaveri sia di militari sia di civili. In alcuni casi, com'è stato possibile documentare, furono infoibate persone non colpite o solo ferite[112].

Sebbene quest'ultima modalità di esecuzione fosse, come già detto, solo uno dei modi con cui venissero uccise le vittime dei partigiani di Tito[113], nella cultura popolare divenne il metodo di esecuzione per eccellenza e simbolo del massacro.

In realtà parte delle vittime considerate come "infoibate", venne uccisa o morì di stenti o malattia nei campi di prigionia jugoslavi.[3]

«l'occupazione jugoslava... si accompagnò nella zona di Trieste, nel goriziano e nel capodistriano ad un'ondata di violenza che trovò espressione nell'arresto di molte migliaia di persone, - in larga maggioranza italiane, ma anche slovene contrarie al progetto politico comunista jugoslavo -, parte delle quali vennero a più riprese rilasciate; in centinaia di esecuzioni sommarie immediate - le cui vittime vennero in genere gettate nelle "foibe"; nella deportazione di un gran numero di militari e civili, parte dei quali perì di stenti o venne liquidata nel corso dei trasferimenti, nelle carceri e nei campi di prigionia (fra i quali va ricordato quello di Borovnica), creati in diverse zone della Jugoslavia.»

Testimonianze

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Furono poche le persone che riuscirono a salvarsi risalendo dalle foibe, tra questi Graziano Udovisi[114], Giovanni Radeticchio e Vittorio Corsi, che raccontarono la loro tragica esperienza a emittenti televisive e storici[115]:

«dopo giorni di dura prigionia, durante i quali fummo spesso selvaggiamente percossi e patimmo la fame, una mattina, prima dell'alba, sentii uno dei nostri aguzzini dire agli altri "facciamo presto, perché si parte subito". Infatti poco dopo fummo condotti in sei, legati insieme con un unico filo di ferro, oltre a quello che ci teneva avvinte le mani dietro la schiena, in direzione di Arsia. Indossavamo i soli pantaloni e ai piedi avevamo solo le calze. Un chilometro di cammino e ci fermammo ai piedi di una collinetta dove, mediante un filo di ferro, ci fu appeso alle mani legate un masso di almeno 20 k. Fummo sospinti verso l'orlo di una foiba, la cui gola si apriva paurosamente nera. Uno di noi, mezzo istupidito per le sevizie subite, si gettò urlando nel vuoto, di propria iniziativa. Un partigiano allora, in piedi col mitra puntato su di una roccia laterale, c'impose di seguirne l'esempio. Poiché non mi muovevo, mi sparò contro. Ma a questo punto accadde il prodigio: il proiettile anziché ferirmi spezzò il filo di ferro che teneva legata la pietra, cosicché, quando mi gettai nella foiba, il masso era rotolato lontano da me. La cavità aveva una larghezza di circa 10 m. e una profondità di 15 sino la superficie dell'acqua che stagnava sul fondo. Cadendo non toccai fondo e tornato a galla potei nascondermi sotto una roccia. Subito dopo vidi precipitare altri quattro compagni colpiti da raffiche di mitra e percepii le parole "un'altra volta li butteremo di qua, è più comodo", pronunciate da uno degli assassini. Poco dopo fu gettata nella cavità una bomba che scoppiò sott'acqua schiacciandomi con la pressione dell'aria contro la roccia. Verso sera riuscii ad arrampicarmi per la parete scoscesa e guadagnare la campagna, dove rimasi per quattro giorni e quattro notti consecutive, celato in una buca. Tornato nascostamente al mio paese, per tema di ricadere nelle grinfie dei miei persecutori, fuggii a Pola. E solo allora potei dire di essere veramente salvo.»

Questa testimonianza, della primavera del 1945, fu pubblicata il 26 gennaio 1946 sul periodico della Democrazia Cristiana triestina La Prora e poi riportata integralmente e anonimamente nell'opuscolo Foibe, la tragedia dell'Istria, edito dal CLN dell'Istria[117]. A partire dall'inserimento della testimonianza in un libro di Giuseppe Bedeschi nel 1987[118], questa è stata poi varie volte ripresa dalla pubblicistica[119].

Anche le testimonianze degli scampati dalle foibe hanno causato delle polemiche politico-storiografiche: Pol Vice (pseudonimo di Paolo Consolaro), saggista di ispirazione marxista[120] ed esponente di Rifondazione Comunista[121], ha sottoposto i testi a una serrata critica, giungendo a denunciare la presenza di falsi testimoni[122]. Il libro di Pol Vice è stato presentato dall'editrice Alessandra Kersevan come parte di un progetto più ampio comprendente anche dei similari testi di forte critica di Claudia Cernigoi[123] e Daniela Antoni[124]. La Kersevan, varie volte presentata dalla stampa come "negazionista"[125], ritiene che sulle foibe stia «funzionando una propaganda forsennata (...) che ha come scopo preciso quello della rivalutazione del fascismo»: «un vero e proprio progetto mediatico di falsificazione della storia (...) costruito ed imposto all'opinione pubblica (...) dall'immediato dopoguerra ad oggi da forze politiche sociali ed economiche tuttora dominanti nel nostro Paese»[126], anche grazie a «storici compiacenti» come Raoul Pupo e Roberto Spazzali, con la Democrazia Cristiana in testa nell'appoggio politico ai «neo irredentisti ex fascisti»[127].

In merito alle stragi delle foibe la ricerca storiografica ha svolto numerosi studi non solo per descrivere gli avvenimenti ad esse legate, ma anche per individuare le cause che le hanno generate; queste ultime risultano molteplici e complesse, difficilmente sintetizzabili. La qualificazione delle concause e dei fattori che possono essere alla base dei massacri delle foibe è un'operazione senza dubbio complessa. Dall'esame dei fatti storici emergono una serie di elementi antecedenti non trascurabili, quali:

  • la contrapposizione nazionale ed etnica fra sloveni e croati da una parte e italiani dall'altra, causata dall'imporsi del concetto di nazionalità e Stato nazionale nell'area;
  • gli opposti irredentismi, per cui i territori mistilingui della Dalmazia, della Venezia Giulia e del Quarnaro dovevano appartenere, in esclusiva, all'uno o all'altro ambito nazionale, e quindi all'uno o all'altro Stato;
  • le conseguenze della prima guerra mondiale, con un'intensa battaglia diplomatica per la definizione dei confini fra il Regno d'Italia e il neonato Regno dei Serbi, Croati e Sloveni con conseguenti tensioni etniche, che portarono a disordini locali e compressioni delle rispettive minoranze fin dal primo dopoguerra;
  • il tentativo di assimilazione forzata delle minoranze slave della Venezia Giulia durante il ventennio fascista;
  • l'occupazione militare italiana, durante la seconda guerra mondiale, di diverse zone della Jugoslavia durante le quali si verificarono numerosi crimini di guerra contro la popolazione civile[128][129];
  • la guerra nel teatro jugoslavo-balcanico, che fu uno dei fronti più complessi e violenti[130] (ad esempio l'operato degli ustascia croati);
  • Il clima di resa dei conti generatosi tra le popolazioni croate e slovene in seguito ai torti e alle violenze subite dal regime fascista e dai suoi sostenitori

«Le foibe furono una "resa dei conti"... In parte sì, ma non principalmente. Naturalmente, la semina di violenza compiuta dal fascismo ebbe il suo peso, così come l’equivalenza fra Italia e fascismo che il regime aveva cercato in ogni modo di accreditare. I conti si fecero anche sul piano sociale, com’è evidente nel caso delle stragi istriane dell’autunno 1943, con il diffuso ribellismo dei contadini croati nei confronti dei possidenti italiani considerati oppressori, dei rappresentanti di uno stato che per i contadini aveva significato tasse e vendita all’incanto delle piccole proprietà, nonché dei ceti urbani italiani, accusati di sfruttare quelli rurali... Tuttavia, l’organizzazione e la gestione della violenza vennero dall’alto, per opera dei quadri del movimento di liberazione croato (jugoslavo) nel 1943 e degli organi dello stato jugoslavo, a cominciare dalla polizia politica (OZNA) nel 1945... La differenza principale fra le stragi giuliane del 1945 e quelle avvenute ovunque nell’Europa occidentale, Italia compresa, alla fine della guerra sta proprio in questo: le violenze di massa non erano solo resa dei conti con il passato, ma strumento strategico per l’edificazione del futuro, così come nel resto della Jugoslavia.»

  • la convinzione dei partigiani jugoslavi per la quale sarebbero stati legittimati ad annettere al futuro Stato jugoslavo quella parte della Venezia Giulia e del Friuli (Litorale sloveno e Istria), abitata prevalentemente o quasi esclusivamente da croati e sloveni;
  • la convinzione, diffusa fra i partigiani jugoslavi, che la guerra di liberazione jugoslava non avesse solo un carattere "nazionale", ma anche "sociale", con la popolazione italiana percepita anche come "classe dominante" contro cui lottare;
  • la natura totalitaria e repressiva del costituendo regime comunista jugoslavo.

La spirale di violenza si innescò immediatamente dopo la caduta del regime nazifascista, favorita dalle tensioni politiche e sociali presenti sul territorio, che contribuirono al compimento di azioni di natura giustizialista nei confronti dei sostenitori del precedente regime e che furono successivamente indirizzate da alcuni nuclei di potere, formatisi in seno al movimento di resistenza, all'eliminazione di potenziali avversari politici, additati come nemici del popolo. In questa analisi non vanno trascurate anche le azioni criminali di semplici delinquenti, che approfittarono della confusione e della temporanea assenza di forze di polizia, preposte al mantenimento dell'ordine pubblico, per compiere azioni criminali e azioni di violenza gratuita[131].

 
Cippo in memoria delle vittime delle Foibe, collocato presso il Tempio dell'internato ignoto a Padova.

Ciò premesso, il fenomeno delle foibe può essere considerato come un evento derivante da un disegno politico annessionista[senza fonte], il cui duplice obiettivo era:

  • l'annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia: si volevano pertanto neutralizzare quelli (essenzialmente italiani) che si opponevano all'annessione di queste terre alla Jugoslavia;
  • l'avvento di un governo comunista jugoslavo in quelle terre: si volevano pertanto neutralizzare reali o potenziali oppositori del costituendo regime comunista.

Pertanto gli eccidi "si verificarono in un clima di resa dei conti per la violenza fascista e di guerra e appaiono in larga misura il frutto" di una "violenza di stato"[132], attuata con la repressione politica e l'intimidazione[133], in vista dell'annessione alla Jugoslavia di tutta la Venezia Giulia (incluse Trieste e Gorizia)[134] e per eliminare gli oppositori (reali o presunti) del costituendo regime comunista. In vista di questi due obiettivi era infatti necessario reprimere le classi dirigenti italiane (compresi antifascisti e resistenti), per eliminare ogni forma di resistenza organizzata. Questo aspetto era particolarmente importante a Gorizia e Trieste, della cui annessione gli Jugoslavi non erano certi. Tito, pertanto, fece il possibile per occupare le due città prima di ogni altra forza alleata, per assicurarsi una posizione di forza nelle trattative. Durante l'occupazione di Gorizia e di Trieste diverse migliaia di italiani furono arrestati, uccisi o deportati nei lager jugoslavi (soprattutto nel campo di lavoro e detenzione di Borovnica e nel carcere dell'OZNA di Lubiana)[135][136]. Neutralizzando i vertici dirigenziali ed eliminando o intimorendo i cittadini italiani, tentò di far credere che gli jugoslavi fossero la maggioranza assoluta della popolazione: la composizione etnica sarebbe stata, infatti, un fattore decisivo nelle conferenze del dopoguerra e per questo motivo la riduzione della popolazione italiana risultava essenziale[137].

Lo sfruttamento del clima giustizialista per eliminare, oltre ai sostenitori del regime fascista, anche potenziali oppositori politici accomuna, secondo lo storico Boris Gombač, i massacri delle foibe alle violenze perpetrate nello stesso periodo da gruppi radicali comunisti nel cosiddetto triangolo della morte in Emilia, dove, tra le migliaia di vittime della violenza insurrezionale, vi furono anche circa 400 tra proprietari terrieri, industriali, professionisti, preti e altri appartenenti alla borghesia, solo perché dichiaratisi anticomunisti[138].

Su questo dibattuto problema, gli storici italiani e sloveni hanno raggiunto conclusioni concordi, espresse nella Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena:

 
Roma, quartiere Giuliano-Dalmata: monumento alle vittime delle foibe

«Tali avvenimenti si verificarono in un clima di resa dei conti per la violenza fascista e di guerra e appaiono in larga misura il frutto di un progetto politico preordinato, in cui confluivano diverse spinte: l'impegno ad eliminare soggetti e strutture ricollegabili (anche al di là delle responsabilità personali) al fascismo, alla dominazione nazista, al collaborazionismo e allo stato italiano, assieme ad un disegno di epurazione preventiva di oppositori reali, potenziali o presunti tali, in funzione dell'avvento del regime comunista, e dell'annessione della Venezia Giulia al nuovo Stato jugoslavo. L'impulso primo della repressione partì da un movimento rivoluzionario che si stava trasformando in regime, convertendo quindi in violenza di Stato l'animosità nazionale e ideologica diffusa nei quadri partigiani.»

Per quanto riguarda il supposto aspetto "vendicativo"[142], essendo i fascisti e i loro fiancheggiatori in gran parte italiani (sia pure non in numero superiore rispetto ad altre regioni italiane), e opponendosi essenzialmente gli italiani all'annessione alla Jugoslavia, soprattutto a livello locale fu frequentemente sostenuta l'equiparazione degli italiani ai fascisti[143]. Questo aspetto provocò, localmente, episodi di jacquerie (insurrezioni spontanee dei ceti popolari), in cui molti colsero anche l'opportunità di portare avanti vendette personali o compiere rapine eliminando i testimoni. Gli episodi di jacquerie si verificarono prevalentemente nel corso degli eccidi del settembre e ottobre del 1943, avvenuti in un contesto in cui vennero a mancare i poteri costituiti[144]. Tale jacquerie si rivolse non solo verso i rappresentanti del regime fascista, ma anche verso gli italiani in quanto tali[145].

Storiografia e pubblicistica sui massacri delle foibe

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Esistono numerosi studi storiografici sul tema degli infoibamenti: nel prenderli in considerazione occorre però tenere presente che molti di essi risultano spesso viziati da faziosità, tendenti a presentare gli avvenimenti trattati in modo confacente ad un determinato interesse politico, che si concretizza con l’eccessiva enfatizzazione di alcuni fatti storici e delle loro cause, o con la minimizzazione o addirittura l’omissione di alcuni fatti storici direttamente o indirettamente collegati a tali avvenimenti.

Le tesi militanti

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La foiba di Basovizza

Nell'immediato dopoguerra le stragi delle foibe hanno avuto un profondo impatto sull'opinione pubblica italiana. Da qui nacque l'esigenza di interpretare l'accaduto, esigenza che fu giocoforza influenzata dal pesante clima politico dell'epoca. Per questo presero piede due versioni, contrastanti e contrapposte, l'una espressione del "sentire" jugoslavo e comunista, l'altra anticomunista, antijugoslava e rappresentante il sentimento italiano relativo a tali vicende[146]. Negli anni cinquanta, a causa delle tensioni dovute alla questione triestina, tali versioni si consolidarono presso le forze politiche e la pubblica opinione, fino a diventare una sorta di "verità acquisita". Sono queste le tesi "militanti", ossia finalizzate a mettere polemicamente in crisi l'avversario politico[146].

Tali tesi hanno conservato a lungo una grande influenza sull'opinione pubblica, dovuta assai più alle loro implicazioni politiche, che non alla loro correttezza storica. Malgrado la loro infondatezza sia ormai stata dimostrata, hanno mantenuto una forte diffusione fino ai giorni nostri, in quanto «si prestano ad un uso politico che non è mai venuto a meno, mentre le semplificazioni, spesso assai grevi, di cui sono intessute, ne favoriscono l'utilizzo da parte dei mezzi di comunicazione »[146].

Le tesi giustificazioniste

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Treno della vergogna ed Esodo dei cantierini monfalconesi.

Tra le varie interpretazioni degli eventi riferiti ai massacri delle foibe ci sono state addirittura tesi tendenti giustificare tali eccidi.

L'atteggiamento del Partito Comunista Italiano nei confronti della questione dei confini orientali italiani fu ambiguo[147]: già nel corso del conflitto esso aveva acconsentito a lasciare la Venezia Giulia e il Friuli orientale sotto il controllo militare dei partigiani di Tito[148], avallando così la successiva occupazione jugoslava[149]: fu per questo motivo che venne ordinato ai partigiani operanti nella regione di porsi sotto il controllo del comando jugoslavo (e fu proprio in tale contesto che maturò l'eccidio di Porzûs[150]). La pratica jugoslava dell'infoibamento era nota al PCI di Trieste, come si evince da un'istruzione destinata al Battaglione "Trieste" nel dicembre 1943, in cui – nell'ambito di una serie di esortazioni alla guerra totale contro il nemico – si invitava tra l'altro a utilizzare «la tattica delle foibe»[151].

Successivamente - pur in presenza di resistenze interne, concentrate soprattutto fra i membri del partito giuliani, ed in particolare i triestini - il PCI accettò che i territori assegnati all'Italia col Trattato di Rapallo (1920) passassero alla Jugoslavia, ritenendo che i diritti nazionali degli italiani sarebbero stati tutelati dal nuovo ordine socialista imposto da Tito al suo Paese; infine - a partire dalla metà del 1945 e massimamente a seguito della rottura fra Tito e Stalin - passò a una difesa del carattere italiano della città di Trieste: in un primo momento sposando la linea per la quale era da crearsi il Territorio Libero di Trieste, in seguito, dal 1948, assumendo il mantenimento della città in Italia fra gli obiettivi del suo programma politico.

 
Palmiro Togliatti, segretario del PCI.
Le sue posizioni sulla questione giuliano-dalmata sono controverse.

In particolare, il PCI di Trieste - allontanatosi alla fine del 1944 dal CNL cittadino per sottoporsi gerarchicamente al fronte di liberazione della Slovenia - auspicò, durante il corso di un'assemblea pubblica indetta dalle autorità italo-slave, quella che venne definita "risoluzione settima repubblica", che prevedeva la formazione di una settima repubblica federativa jugoslava, di carattere italiano (con una bandiera ufficiale già prevista e realizzata), comprendente Trieste, Monfalcone e il Friuli orientale: a tale scopo venne creato il Partito Comunista della Venezia Giulia[152][153][154].

Negli anni successivi furono tuttavia molti gli ex partigiani e i militanti a prendere la via dell'esodo, come conseguenza delle politiche nazionaliste e repressive del comunismo jugoslavo[155][156], oltre che per la disputa che opponeva Tito a Stalin, e che vedeva i comunisti italiani schierati su posizioni rigidamente staliniane[157].

Negli anni successivi il PCI contribuì a dare all'opinione pubblica italiana una visione alterata degli avvenimenti, volta a minimizzare e a giustificare le azioni dei comunisti jugoslavi[158]. Di tale atteggiamento ne fecero le spese soprattutto i profughi, ai quali fu ingiustamente cucita addosso la nomea di "fascisti in fuga"[159].

«Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città, non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall'alito di libertà che precedeva o coincideva con l'avanzata degli eserciti liberatori. I gerarchi, i briganti neri, i profittatori che hanno trovato rifugio nelle città e vi sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza comune, non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già così scarsi.[160]»

A tutt'oggi persiste in taluni ambienti comunisti e post-comunisti, in particolar modo quelli più legati all'epopea partigiana, un atteggiamento che tende a minimizzare e a giustificare gli eccidi[161][162][163][164][165].

Le tesi negazioniste

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Le tesi negazioniste, tendono a negare un qualsivoglia eccidio da parte jugoslava, che la ricerca storica ha dimostrato essere «del tutto prive di senso». Ipotesi di questo tipo sono state dominanti nella storiografia della Jugoslavia comunista, dove erano divenute una vera e propria "verità di Stato". Erano basate su quanto affermato, fin dall'immediato dopoguerra, dagli jugoslavi: "da parte del governo jugoslavo non furono effettuati né confische di beni, né deportazioni, né arresti, salvo che […] di persone note come esponenti fascisti di primo piano o criminali di guerra" (9 giugno 1945)[166].

Nasceva così il falso mito della "vendetta contro i fascisti", che viene tuttora perpetuato, in alcuni ambiti, anche in senso riduzionista: non si negano dei massacri ma si tende a ridimensionare il fenomeno.

L’insostenibilità di tali tesi è stata argomentata in modo sintetico, ma esauriente dallo storico Elio Apih:

«Una delle argomentazioni più diffuse al riguardo (chiaramente giustificazionista, va notato subito, ma non certo infondata) è che le foibe sarebbero - a parte errori ed eccessi - ritorsione ai crimini di guerra commessi da militari e fascisti italiani nel corso della loro occupazione (...). Ad essi vengono connessi i crimini della politica fascista e nazionalista (...). La tesi è stata sostenuta fino ad anni recenti, e oggi (...), viene ancora menzionata (...), anche se è sempre più pacifica(...) la constatazione del movente politico dei fatti. Ciò però vale soprattutto per i fatti del 1945 e poco per quelli del 1943, tuttora spesso oscuri e non documentati, specie in Croazia. (...) I fatti del maggio 1945 sono certo caratterizzati da 'furor popolare' come più volte si è detto. Ma esso è lo scenario, e il dramma che vi si svolse aveva sostanza politica. La presenza di volontà organizzata non è dubbia. Eliminazione fisica dell'oppositore e nemico (di forze armate giudicate collaborazioniste) e, insieme, intimidazione e, col giustizialismo sommario, coinvolgimento nella formazione violenta di un nuovo potere.»

La tesi del genocidio nazionale

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Speculare alla tesi precedente, è la tesi del "genocidio nazionale" degli italiani, secondo cui gli italiani furono perseguitati in quanto tali ("colpevoli solo di essere italiani"), nel tentativo di distruggerne la presenza[168].

Tale tesi, sviluppatasi sulla base della percezione dei protagonisti del tempo, si è andata via via cristallizzando, anche a causa dell'assenza di ricerca storica, divenendo così una convinzione difficile da superare. Tale tesi è tuttora popolare nell'ambiente degli esuli e, presentandosi a facili strumentalizzazioni politiche, in talune frange della destra italiana.

La ricerca storica ne ha rilevato l'inconsistenza della tesi della equiparazione delle "foibe" ad un atto di genocidio, non essendosi mai potuto dimostrare che le stragi avessero come obiettivo una "pulizia etnica" degli italiani. Il numero delle vittime, pur elevato, è infatti lontano dalla dimensioni di un genocidio; inoltre la repressione jugoslava del 1945 ebbe sicuramente finalità intimidatorie nei confronti dell'intera comunità italiana, tuttavia queste sono da collegare non tanto a un progetto di espulsione (che prese effettivamente corpo solo negli anni successivi), quanto alla volontà di far comprendere nel modo più drastico agli italiani, che sarebbero potuti sopravvivere nella nuova Jugoslavia, solo se avessero accettato il nuovo regime, assieme a tutti i suoi obiettivi di ordine politico, nazionale e sociale[168].

L'analisi delle responsabilità fasciste

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A partire dagli anni settanta vi furono i primi studi storici sugli eccidi da parte dell'INSMLI, con contributi di Galliano Fogar, Giovanni Miccoli e Teodoro Sala. Le tesi elaborate sono sicuramente più plausibili rispetto alle sopra citate "tesi militanti" e hanno consentito di collocare gli eccidi del 1943 e del 1945 all'interno del periodo iniziato nei primi anni venti con la politica di italianizzazione fascista nei confronti degli allogeni, con le relative oppressioni e violenze, proseguita con l'aggressione italiana contro la Jugoslavia e culminata con la brutale repressione della resistenza jugoslava.

In quest'ottica, apparve logico considerare le stragi come un fenomeno di reazione largamente spontaneo: una sorta di brutale e spesso indiscriminata resa dei conti in reazione alle angherie subite[169]. Tali studi hanno comunque avuto il merito di addivenire a una prima storicizzazione del fenomeno, con l'individuazione delle responsabilità del fascismo nello scoppio della crisi che travolse l'italianità della Venezia Giulia, del Quarnaro e della Dalmazia.

Responsabilità del regime comunista jugoslavo

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La foiba di Pisino

Gli eccidi, come detto, avevano anche l'obiettivo di eliminare i possibili oppositori del costituendo regime comunista jugoslavo[170] e furono uno dei tanti strumenti che caratterizzarono la sua ascesa al potere[171]. Fra questi è rimasto tristemente celebre il massacro di Bleiburg. Repressioni di tale portata furono consentite dalle caratteristiche dittatoriali del regime comunista di Tito. Simili repressioni furono, inoltre, caratteristiche dell'ascesa al potere di gran parte dei regimi comunisti del periodo (che all'epoca abbracciava lo stalinismo), fatto che ha spesso portato a presentare le foibe come un "crimine del comunismo".

«... le "foibe" (...) sono state una variante locale di un processo generale che ha coinvolto tutti i territori in cui si realizzò la presa del potere da parte del movimento partigiano comunista jugoslavo ...»

Il ruolo dell'epurazione preventiva

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A partire dalla fine degli anni ottanta una serie di studi ad opera di Elio Apih, Raoul Pupo e Roberto Spazzali, hanno evidenziato il nesso tra gli eccidi del 1945 e le stragi jugoslave, ossia quell'insieme di eccidi che hanno ovunque marcato la presa del potere in Jugoslavia, da parte di un movimento rivoluzionario a guida comunista, protagonista di una guerra che non era solo di liberazione, ma che era anche una feroce guerra civile, diretta all'eliminazione fisica degli avversari e che si trascinò, in termini di scontri armati e stragi, fino al 1946.

Pertanto l'ipotesi più plausibile per spiegare gli eccidi delle foibe è stata quella dell'"epurazione preventiva"[169]. Tale epurazione nella Venezia Giulia combinava, in modo inscindibile, obiettivi di rivalsa nazionale e di affermazione ideologica, nonché di riscatto sociale, e voleva eliminare tutti i potenziali oppositori (reali o meno) del disegno politico di Tito. Il progetto era contemporaneamente nazionale e ideologico, dal momento che mirava sia all'annessione della Venezia Giulia, sia all'instaurazione di un regime stalinista. Questa interpretazione dei fatti, non sottovaluta il fondamentale ruolo del nazionalismo sloveno e croato e del loro inserimento nell'ambito della politica di potenza della nuova Jugoslavia e pone al centro dell'attenzione il problema dell'affermazione del comunismo mediante la lotta armata, evidenziando inoltre la differenza fra la resistenza nella Venezia Giulia e quella del resto d'Italia.

Le stragi giuliane del 1945, non ebbero nulla a che vedere con la Resistenza italiana, non solo perché essa non vi partecipò, ma soprattutto perché i contesti in cui agirono i due movimenti di resistenza furono profondamente diversi. In Italia le zone liberate furono spesso teatro di svariate azioni violente, che segnarono la brutale conclusione di conflitti che si erano aperti fin dai primi anni venti. Tali violenze però, si svolsero al di fuori delle strutture di uno Stato che sarebbe stato, da lì a poco, ricostruito secondo principi democratici e liberali e che non era nemmeno collegabile a nessun disegno politico complessivo, poiché l'ipotesi di una presa del potere rivoluzionaria era stata scartata dal PCI. Nella Venezia Giulia invece, la violenza di massa costituì uno degli elementi portanti di una rivoluzione vittoriosa che si trasformò gradualmente in un regime stalinista, capace di convertire l'aggressività nazionale e ideologica presente nei quadri partigiani in violenza di Stato.[172]

Lo storico Gianni Oliva nel suo libro “La resa dei conti – aprile-maggio 1945: foibe, piazzale Loreto e giustizia partigiana”, nel distinguere i massacri delle foibe dagli altri episodi di violenza postbellica accaduti nelle altre regioni d'Italia, scrive:

«Il volume individua tre fenomeni, diversi tra loro per natura e diffusione geografica, ma ugualmente riconducibili al clima di «resa dei conti» dell’aprile-maggio 1945: il furore di piazzale Loreto, riprodotto in tante altre piazze di grandi città e piccoli borghi; la giustizia dei giorni insurrezionali, con le esecuzioni sommarie e le sentenze di tribunali popolari; le foibe della regione giuliana, con l’eliminazione di coloro che si oppongono al comunismo e alla politica annessionista perseguita da Tito... dove ai contorni della guerra civile si sostituiscono quelli della crisi internazionale per la definizione dei confini... Nella primavera 1945, quando le forze partigiane titoiste occupano Trieste prima dell’arrivo degli angloamericani e stabiliscono su tutto il territorio proprie autorità amministrative, si scatena una repressione nella quale si mescolano risentimenti nazionali e volontà epurativa politica.»

Le tesi militanti oggi

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La ricerca storica ha ormai concluso molteplici studi sugli avvenimenti, molte opere divulgative sono, inoltre, state pubblicate. Nell'opinione pubblica, tuttavia, persiste una forte enfasi, di origine ideologica, sulle responsabilità che comunismo e fascismo hanno avuto nelle foibe: questo genera una serie di "tesi militanti" (secondo la definizione degli storici Pupo e Spazzali), di tesi cioè originate in ambiti politici e non supportate da un adeguato lavoro di ricerca storica[173].

Comunismo e fascismo: il dibattito sulle responsabilità

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In particolare, in alcuni ambienti della destra si afferma che le foibe sono state semplicemente un crimine del comunismo (spregiativamente denominato "barbarie slavocomunista"), un genocidio di cittadini inermi che avevano la "sola colpa di essere italiani"[174], in preparazione alla successiva pulizia etnica. D'altra parte, in alcuni ambienti della sinistra, è diffuso un atteggiamento "giustificazionista" e si presentano gli eccidi come una "reazione" alla brutalità fascista[175][176][177]. È diffuso, inoltre, un atteggiamento "riduzionista"[178] che contesta il numero delle vittime delle foibe correggendolo al ribasso e che sostiene che gli eccidi abbiano coinvolto essenzialmente esponenti fascisti, sia militari sia civili, responsabili di repressioni e di crimini di guerra italiani in Jugoslavia[179][180]. Si è già visto precedentemente come le cause degli eccidi siano, in realtà, molto più complesse rispetto a queste semplificazioni.

Negazionismo o riduzionismo dei massacri

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Negazionismo delle foibe.

In un suo libro del 1997, la giornalista triestina Claudia Cernigoi ha definito in un suo saggio tutto il processo di riflessione storiografica sulle foibe sviluppatosi in Italia nel corso degli anni novanta come frutto diretto della «propaganda nazifascista» e teso a riproporre un «neoirredentismo» italiano[181]. Uno degli scopi dichiarati dall'autrice è quello di «liberare finalmente anche gli Sloveni e la sinistra tutta da quel senso di colpa che si portano dietro come "infoibatori"»[182]. In questo libro il numero degli infoibati nella provincia di Trieste per opera degli jugoslavi venne determinato in 517[183], oltre a ciò, per l'autrice, «non vi furono massacri indiscriminati: della maggior parte degli arrestati si sa che erano militari e comunque collaboratori del nazifascismo»[184]. Allo stesso tempo, con riferimento alle onoranze concesse negli anni più recenti agli infoibati, la Cernigoi affermava che «visti i ruoli impersonati dalla maggior parte degli "infoibati", personalmente ci rifiutiamo di onorarli. Si può provare umana pietà nei confronti dei morti, ma da qui ad onorare chi tradiva, spiava, torturava, uccideva, ce ne corre»[185].

Il testo provocò moltissime polemiche, tanto che un ricercatore vicino alle associazioni degli esuli istriani - Giorgio Rustia - pubblicò nel 2000 un saggio fortemente critico delle metodiche di studio della Cernigoi[186]. Rustia contestò alla radice l'intera impostazione del saggio della Cernigoi, fra l'altro individuando all'incirca altri duecento nomi di persone soppresse dagli jugoslavi a Trieste e nella provincia[187] e ricostruendo la storia personale di alcuni degli infoibati dalla Cernigoi accusati di gravi reati che secondo Rustia non furono commessi[188].

In uno studio del 2003, gli storici Raoul Pupo e Roberto Spazzali hanno pertanto inserito Claudia Cernigoi fra i «negazionisti (o riduzionisti)» delle foibe[189]. Claudia Cernigoi ha reagito molto duramente a tale accusa, con due articoli apparsi sulla rivista on-line La Nuova Alabarda, da lei diretta, a marzo del 2003[190] e a febbraio del 2007[191], nei quali ha affermato di ritenere «inesatta e fuorviante, oltreché offensiva, questa definizione» e ribadendo che - a suo dire - sulle foibe sarebbe stata artatamente creata una «mitologia (...) a scopi politici», «a scopo anticomunista, antipartigiano e soprattutto in funzione razzista contro i popoli della ex Jugoslavia (...)», augurandosi nel contempo che in Italia non si fosse «già arrivati al fascismo completo». In una lettera aperta di marzo 2010, la stessa Cernigoi si è lamentata del fatto che «da un po' di tempo (...) gli studiosi Claudia Cernigoi (che scrive), Sandi Volk e Alessandra Kersevan (che è anche titolare della casa editrice Kappa Vu di Udine) sono accusati di essere dei “negazionisti delle foibe”, dove va considerato che il termine di “negazionista” è genericamente usato, in ambito storico, per definire in senso negativo gli studiosi e i propagandisti che cercano di dimostrare che non vi fu una politica di sterminio nazista nei confronti del popolo ebraico. Con questa similitudine si cerca pertanto di paragonare la nostra attività di ricerca storica a quella di altre persone che nulla di scientifico in ambito storico hanno prodotto ma si limitano ad arrampicarsi sugli specchi per dimostrare una propria teoria[192]».

Claudia Cernigoi è stata in seguito definita "negazionista" anche dallo storico tedesco Rolf Wörsdörfer[193]. La storica Marta Verginella, nel recensire l'opera "Operazione Foibe. Tra storia e mito", ha commentato: "La ricostruzione di Cernigoi, sebbene volta a contrastare letture tendenziose, cede anch'essa a omissioni e imprecisioni, soprattutto quando nega che tra gli infoibati e gli scomparsi vi fossero avversari politici e nazionali"[194].

Anche Jože Pirjevec contesta l'opinione di coloro che considerano le foibe come strumento utilizzato per compiere una pulizia etnica programmata[195], e sostiene che:

 
Monumento dedicato ai Goriziani deportati

«... gli jugoslavi non volevano affatto colpire e tantomeno eliminare gli italiani in quanto tali, ma catturare, perseguire e punire i responsabili e complici dei crimini fascisti e nazisti... I dati disponibili sugli uccisi italiani confermano che si trattava in maggioranza di persone coinvolte nel fascismo e nel collaborazionismo, in particolare come membri delle formazioni militari, paramilitari e di polizia... anche se non colpevoli a livello personale dei crimini commessi sotto quelle insegne...»

Per la condivisione di tale tesi, il professor Pirjevec è stato fortemente criticato da molti opinionisti e storici italiani, fra i quali Paolo Mieli[196] (per il quale Pirjevec avrebbe scatenato «polemiche di fuoco»), Roberto Spazzali[197], Ugo Finetti[198], Frediano Sessi[199] e Giuseppe Parlato[200].

Di negazionismo ha parlato anche il presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, in occasione della Giornata del Ricordo del 2020, quando ha affermato esplicitamente

«Non si trattò - come qualche storico negazionista o riduzionista ha provato a insinuare - di una ritorsione contro i torti del fascismo. Perché tra le vittime italiane di un odio, comunque intollerabile, che era insieme ideologico, etnico e sociale, vi furono molte persone che nulla avevano a che fare con i fascisti e le loro persecuzioni. Solo dopo la caduta del muro di Berlino - il più vistoso, ma purtroppo non l'unico simbolo della divisione europea - una paziente e coraggiosa opera di ricerca storiografica, non senza vani e inaccettabili tentativi di delegittimazione, ha fatto piena luce sulla tragedia delle foibe e del successivo esodo...»

Tesi sul primo utilizzo delle foibe

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Attorno al 1860, Giovanni Bennati, un prete nativo di Pirano, per contrastare in modo irridente chi non voleva riconoscere la sua cittadina come capoluogo della Marca Istriana nell'ambito della riorganizzazione amministrativa dell'Impero austro-ungarico, scrisse una filastrocca con cui intendeva irridere i sostenitori di Pola. Nel testo della canzoncina era contenuta la frase "A Pola xè l'Arena, la Foiba xè a Pisin, che i buta zò in quel fondo chi gà zerto morbin..."[201][202]. Peraltro Foiba è il nome di un torrente che si getta in un celebre e imponente inghiottitoio carsico e non indica quindi le "foibe" nel loro complesso, ma nel significato originario indica sia il torrente che il suo inghiottito dove il torrente termina.

Il tempo e l'uso della parola hanno, com'è normale che sia in una lingua viva, fatto mutare il significato della parola Foiba facendolo diventato l'attuale significato riferito a tutte le voragini carsiche, sia con lago o acque correnti sul fondo, sia senza.

Nel 1919 l'irredentista triestino Giuseppe Cobol (Cobolli Gigli)[203] scrisse una guida turistica di Trieste in cui riportava il testo della filastrocca[204][205]. Otto anni dopo, nel 1932, Cobol (che nel frattempo aveva aderito al fascismo) in un articolo edito sull'organo del PNF "Gerarchia"[206] scrisse: «La musa istriana ha chiamato Foiba[207] degno posto di sepoltura per chi nella provincia d'Istria minaccia le caratteristiche nazionali dell'Istria». Negli anni ottanta le pubblicazioni di Cobolli furono riscoperte e divennero oggetto di polemiche nell'ambito locale giuliano. Sulla base di esse si è affermò infatti che l'utilizzo delle foibe, per eliminare le vittime di stragi, fosse di "ideazione fascista".

Già all'epoca, in ambito storiografico, furono espresse delle perplessità. Ad esempio per lo storico Elio Apih, il nesso fra le foibe e gli scritti di Cobolli è "suggestivo e non credibile" e tali scritti, anche se definibili come "cattiva letteratura" e testimonianza di un'"ostilità scherzosa", non possono essere certo presentati, retrospettivamente, come un antefatto alle stragi[208].

 
4 novembre 1943: accanto alla foiba di Terli vengono ricomposti i corpi di Albina Radecchi (A), Caterina Radecchi (B), Fosca Radecchi (C) e Amalia Ardossi (D)

Nel 2003, il giornalista e scrittore Giacomo Scotti ha rilanciato la tesi[209] affermando, sulla base degli scritti di Cobolli, che le foibe sarebbero state un'"invenzione fascista"[210]. L'innovazione fu che, a riprova di un effettivo utilizzo delle foibe da parte fascista, Scotti citò una lettera, a firma di Raffaello Camerini, pubblicata sul quotidiano triestino Il Piccolo nel 2001, dove si riferisce di supposti eccidi compiuti dai fascisti e dell'occultamento dei cadaveri delle vittime in alcune foibe.

«Nel luglio del 1940, ottenuta la licenza scientifica, dopo neanche un mese, sono stato chiamato al lavoro "coatto", in quanto ebreo, e sono stato destinato alle cave di bauxite, la cui sede principale era a S. Domenica d'Albona. Quello che ho veduto in quel periodo, sino al 1941 - poi sono stato trasferito a Verteneglio - ha dell'incredibile. La crudeltà dei fascisti italiani contro chi parlava il croato, invece che l'italiano, o chi si opponeva a cambiare il proprio cognome croato o sloveno, con altro italiano, era tale che di notte prendevano di forza dalle loro abitazioni gli uomini, giovani e vecchi, e con sistemi incredibili li trascinavano sino a Vignes, Chersano e altre località limitrofe, ove c'erano delle foibe, e lì, dopo un colpo di pistola alla nuca, li gettavano nel baratro... Allora, io abitavo in una casa sita nella piazza di Santa Domenica d'Albona, adiacente alla chiesa, e attraverso le tapparelle della finestra della stanza ho veduto più volte, di notte, quelle scene che non dimenticherò finchè vivrò... Un tanto per la verità, che io posso testimoniare.»

Le affermazioni contenute in tale lettera sono state oggetto di critiche[212] essendo prive di riscontri. Peraltro, il lavoro coatto per gli ebrei non venne istituito nel 1940 - come affermò il Camerini, che situa i suoi ricordi fra la fine del 1940 e il 1941 - ma il 6 maggio del 1942[213], e in un saggio sul vescovo di Trieste Antonio Santin apparso lo stesso anno della pubblicazione della lettera si afferma espressamente che "In base alla legge del maggio 1942 sulla precettazione civile, Raffaello Camerini venne invitato a presentarsi al lavoro coatto a Vicenza"[214].

Le tesi di Scotti, pur essendo diffuse in ambito giornalistico, non sono mai state validate in ambito storiografico. Nonostante questo hanno avuto una certa diffusione, venendo riportate anche da un intellettuale come Predrag Matvejević[215] e in molti ambienti vicini alla resistenza (soprattutto a quella comunista) come l'ANPI[216] e in quotidiani di ispirazione comunista, quali il manifesto e Liberazione. La tesi è inoltre popolare in svariate associazioni neo e post-comuniste. Nel già citato saggio del 2009, curato dallo storico italiano Jože Pirjevec, le tesi di Scotti sono citate (senza ulteriori approfondimenti) assieme alla testimonianza del Camerini[217], primo e unico caso nell'ambiente della ricerca storica. Come evidenziato sopra, tale saggio è stato fortemente criticato da molti storici e giornalisti.

Lo storico Elio Apih, che pure ha effettuato un'analisi dei possibili precursori delle foibe, non menziona tale tesi[218]. Lo stesso Apih ricorda che l'utilizzo delle foibe quale fossa comune non costituisce una caratteristica originale degli eccidi giuliani. Nella gran parte delle stragi che caratterizzarono la seconda guerra mondiale, difatti, insorse la necessità pratica di seppellire o occultare in fretta e con poca fatica le vittime. Le foibe furono utilizzate semplicemente perché era ciò che la Venezia Giulia offriva allo scopo, a fianco, peraltro, di miniere abbandonate e di cave[219].

Lo storico Raoul Pupo è sostanzialmente in linea con quest'ultima affermazione, laddove parla di una tecnica di omicidio "diffusa in tutta l'area Jugoslava"[220].

Un'altra ipotesi attribuisce l'utilizzo di foibe per eliminare i cadaveri di perseguitati politici al comandante di polizia della RSI Gaetano Collotti[221], è stata proposta nel già citato testo Operazione foibe a Trieste, della giornalista Claudia Cernigoi.

Interpretazioni a livello istituzionale

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«...già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell'autunno del 1943, si intrecciarono "giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento" della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una "pulizia etnica".»


«Questa è l'occasione per ricordare la tragedia delle vittime del fascismo italiano che perseguitò le minoranze e si avventò con le armi contro i vicini croati, e sempre operò contro la libertà e la vita degli stessi italiani. Questa è l'occasione per ricordare le vittime italiane della folle vendetta delle autorità postbelliche dell'ex Jugoslavia. Gli atroci crimini commessi non hanno giustificazione alcuna. Essi non potranno ripetersi nell'Europa unita, mai più. Condanniamo ancora una volta le ideologie totalitarie che hanno soppresso crudelmente la libertà e conculcato il diritto dell'individuo di essere diverso, per nascita o per scelta.»

La questione delle foibe nella memoria collettiva

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L'oblio del dopoguerra

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La scoperta dell'ingresso di una fossa comune in Friuli nel secondo dopoguerra

Trascorso il secondo dopoguerra, la vicenda è stata a lungo trascurata per i convergenti interessi di governo e opposizione[224].

Secondo lo storico Gianni Oliva, il silenzio fu causato da tre motivi: prima di tutto vi fu un silenzio internazionale, provocato dalla rottura tra Tito e Stalin avvenuta nel 1948, che spinse tutto il blocco occidentale a stabilire rapporti meno tesi con la Jugoslavia, in funzione antisovietica (si era agli inizi della guerra fredda). Vi furono anche cause politiche[225], dal momento che il PCI non aveva interesse a evidenziare le proprie contraddizioni sulla vicenda e le proprie subordinazioni alla volontà del comunismo internazionale. Vi fu infine un silenzio da parte dello Stato Italiano, che non voleva più prendere in considerazione le questioni relative alla sconfitta nella seconda guerra mondiale, considerato che a partire dagli anni sessanta i rapporti fra Jugoslavia e Italia si erano normalizzati.

La memoria degli avvenimenti rimase per lo più ristretta nell'ambito degli esuli, di qualche intellettuale anticonformista e di commemorazioni locali. Solo una parte della destra ha sostenuto le ragioni delle vittime, sia pure strumentalizzandole in funzione prettamente anticomunista, finanche ad esagerarne il loro numero.

Il volume del Grande Dizionario Enciclopedico UTET contenente il lemma Fòiba, edito nel 1968, si limita alla mera definizione geologica senza alcuna menzione dei massacri[226].

Il 24 aprile 1975, Giovanni Leone, presidente delle Repubblica Italiana, partecipò alle celebrazioni per il tentennale della Liberazione di Trieste alla Risiera di San Sabba e il giorno seguente presso la foiba di Basovizza, deponendo una corona di alloro: questo gesto provocò a distanza di poche ore una forte nota di protesta jugoslava tramite l'agenzia di stampa Tanjug e la corona venne rubata e bruciata[227].

Ciò non toglie che in opere storiche l'argomento fosse dibattuto: ad esempio nel 1980, Arrigo Petacco, noto giornalista e saggista, illustrò la tragica realtà di questo massacro. Il suo racconto, pur all'interno di un'opera più ampia e con molte incertezze, prudenze e omissioni, offriva un quadro sufficientemente completo, senza sottovalutare entità e ferocia delle stragi.

Nel 1982 Giovanni Spadolini, Presidente del Consiglio dei ministri, dichiarò le foibe di Basovizza e di Monrupino, ossia le uniche due foibe ove avvennero uccisioni esistenti nel territorio della Repubblica Italiana, monumenti di interesse nazionale; nel 2004 entrambi i luoghi divennero monumento nazionale[228].

Il tema dell’oblio colpevole è stato stigmatizzato pubblicamente nel 2007 dall’allora Presidente delle Repubblica Giorgio Napoletano:

«... va ricordato l'imperdonabile orrore contro l'umanità costituito dalle foibe (...) e va ricordata (...) la "congiura del silenzio", "la fase meno drammatica ma ancor più amara e demoralizzante dell'oblio". Anche di quella non dobbiamo tacere, assumendoci la responsabilità dell'aver negato, o teso a ignorare, la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e dell'averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali.»


Un'attenta analisi delle cause del silenzio attorno alle vicende delle foibe fu esposta nel 2019 dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella:

«... La guerra fredda, con le sue durissime contrapposizioni ideologiche e militari, fece prevalere, in quegli anni, la real-politik. L’Occidente finì per guardare con un certo favore al regime del maresciallo Tito, considerato come un contenimento della aggressività della Russia sovietica. Per una serie di coincidenti circostanze, interne ed esterne, sugli orrori commessi contro gli italiani istriani, dalmati e fiumani, cadde una ingiustificabile cortina di silenzio, aumentando le sofferenze degli esuli, cui veniva così precluso perfino il conforto della memoria.
Solo dopo la caduta del muro di Berlino – il più vistoso, ma purtroppo non l’unico simbolo della divisione europea - una paziente e coraggiosa opera di ricerca storiografica, non senza vani e inaccettabili tentativi di delegittimazione, ha fatto piena luce sulla tragedia delle foibe e sul successivo esodo, restituendo questa pagina strappata alla storia e all’identità della nazione.[229]»

Il Giorno del ricordo

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Giorno del ricordo.
Con la fine della guerra fredda, nei primi anni novanta, il tema delle foibe tornò a riscuotere anche l'interesse dei mass media. Anche su iniziativa degli ex comunisti[230], si pose l'attenzione su questi episodi, che iniziarono a essere ufficialmente ricordati.

Con la legge n. 92 del 30 marzo 2004[231] in Italia è stato istituito, nella giornata del 10 febbraio di ogni anno, il Giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata. Lo stesso provvedimento legislativo ha anche istituito una specifica medaglia commemorativa destinata ai congiunti delle vittime fino al sesto grado:

  Medaglia commemorativa del Giorno del ricordo
Dal 2005, ogni 10 febbraio si celebra il Giorno del ricordo, solennità dedicata alla commemorazione delle stragi e del successivo esodo. La data ricorda il trattato di Parigi siglato nel 1947, che assegnò alla Jugoslavia la grande maggioranza della Venezia Giulia e la Provincia di Zara.
In tale occasione fu trasmessa da RAI 1 la fiction Il cuore nel pozzo, prodotta dalla RAI e liberamente ispirata alle stragi delle foibe. La trasmissione ebbe una vasta audience[232], ma suscitò numerose polemiche per la grossolana approssimazione con cui veniva trattato il contesto storico della vicenda[233].
Già nel 1997, va notato, Forlì e Loano, furono le prime città italiane a farlo, dedicarono una via ai "Martiri delle Foibe"[234]. Parecchie altre seguirono in seguito l'esempio.

Processi ai criminali di guerra

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I vari governi italiani succedutisi negli anni mai consegnarono i responsabili dei crimini nei Balcani, sia a causa della cosiddetta "amnistia Togliatti"[235] intervenuta il 22 giugno 1946, sia perché il 18 settembre 1953 il governo Pella approvò l'indulto e l'amnistia proposta dal guardasigilli Antonio Azara per i tutti i reati politici commessi entro il 18 giugno 1948[236], a cui si aggiunse quella del 4 giugno 1966[237]. All'epoca la sola città di Belgrado chiese di imputare oltre 700 presunti criminali di guerra italiani[238] e i generali Mario Roatta, Vittorio Ambrosio e Mario Robotti, che non furono mai consegnati nonostante gli accordi internazionali prevedessero la loro estradizione[239].

Nel 1992 è stato istituito un procedimento giudiziario in Italia contro alcuni dei responsabili dei massacri ancora in vita[240]. Tali inchieste furono giustificate dal fatto che all'epoca la Venezia Giulia era ancora ufficialmente sotto sovranità italiana; inoltre i crimini di guerra non sono soggetti a prescrizione. Partite dalla denuncia di Nidia Cernecca[241], figlia di un infoibato, videro come principali imputati i croati Oscar Piskulic e Ivan Motika, definito il "boia di Pisino". L'inchiesta fu istituita dal pubblico ministero Giuseppe Pittitto. Nel 1997 diversi parlamentari sollecitarono il governo affinché avanzasse richiesta di estradizione per alcuni degli imputati[242]. Il procedimento si è concluso con un nulla di fatto: nel 2004 fu infatti negata la competenza territoriale dei magistrati italiani.

Anche in questa occasione fiorirono le polemiche: fra le altre cose Pittitto fu accusato di volere imbastire un "processo alla resistenza"[243].

Elenco di foibe e altri luoghi di infoibamento

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In questo elenco sono segnalate le foibe, le cave, le miniere, i pozzi o altri luoghi nei quali sono stati trovati resti umani di persone infoibate, dei quali solo una minima parte è stata recuperata[248][249]:

Provincia di Udine

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Provincia di Gorizia

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Provincia di Trieste

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  • Foiba di Basovizza, vicino a Trieste, monumento nazionale (testimonianze di centinaia di infoibamenti).
  • Foiba di Monrupino, vicino a Trieste, monumento nazionale (testimonianze di centinaia di infoibamenti).
  • Foiba di San Lorenzo di Basovizza, vicino a Trieste.
  • Foiba di Podubbo, vicino a Trieste, cinque corpi individuati e non recuperati.
  • Foiba di Opicina, vicino a Trieste, assieme alle foibe di Campagna e Corgnale, circa duecento infoibati, i cui corpi non sono stati recuperati.
  • Foiba di Campagna (Trieste), vicino a Trieste, assieme alle foibe di Opicina e Corgnale, circa duecento infoibati, i cui corpi non sono stati recuperati.
  • Foiba di Corgnale, vicino a Trieste, assieme alle foibe di Campagna e Opicina, circa duecento infoibati, i cui corpi non sono stati recuperati.
  • Foiba di Sesana, vicino a Trieste, numero imprecisato di corpi recuperati nel 1946.
  • Foiba di Bohonivic, vicino a Sesana.
  • Foiba di Orle, vicino a Trieste, numero imprecisato di corpi recuperati nel 1946.
  • Foiba di Gropada, vicino a Trieste, trentaquattro persone eliminate con colpo alla nuca il 12 maggio 1945. Corpi non recuperati.
  • Foiba di Prepotto, vicino a Trieste.
  • Foiba di Ternovizza, frazione di Ternova o Ternova Piccola (Trnovca o Trnovica) nel comune di Duino-Aurisina.
  • Foiba di Aurisina, nel comune di Duino-Aurisina.
  • Foiba di Sistiana, nel comune di Duino-Aurisina.
  • Foiba di San Dorligo della Valle, vicino a Trieste.
  • Fossa del podere Mavez, vicino a Trieste.
  • Abisso di Plutone, vicino a Trieste.
  • Pozzo di Rupingrande, vicino a Trieste.
  • Abisso di Prosecco, vicino a Trieste.
  • Fossa Monte Tabor, vicino a Trieste.
  • Foiba di Santa Croce, vicino a Trieste.
  • Foiba di Mciah Lusa, vicino a Opicina.
  • Foiba di Jama Korzisko, vicino a Prosecco.
  • Foiba di Sant'Antonio in Bosco, frazione di San Dorligo della Valle

Ex provincia di Pola

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  • Abisso di Semich, comune di Lanischie in Istria, un centinaio di corpi individuati, ma non recuperati.
  • Foiba di Cernovizza, nel comune di Pisino (Pazin), testimonianze di circa cento uccisioni.
  • Foiba di Raspo, nel comune di Lanischie (Lanišće).
  • Foiba di Vines, detta anche Foiba o Fossa dei Colombi, nel comune di Albona, (Labin) in Istria, 84 corpi recuperati nel mese di ottobre 1943.
  • Foiba di Treghelizza, già comune di Visinada, oggi di Castellier-Santa Domenica in Istria, due corpi recuperati nel 1943.
  • Foiba di Vescovado, nel comune di San Lorenzo del Pasenatico (Sveti Lovreč Paženatički), sei corpi recuperati.
  • Cava di bauxite di Gallignana in Istria, ventitré corpi recuperati nel mese di ottobre del 1943.
  • Foiba di Pucicchi, undici corpi recuperati nel 1943.
  • Foiba di Villa Surani o Surani (Šurani), comune di Antignana (Tinjan) in Istria, recuperate nel novembre del 1943 ventisei salme di cui ventuno riconosciute.
  • Foiba di Cernizza, due salme recuperate nel 1943.
  • Foiba di Cregli, otto corpi recuperati nel 1943.
  • Foiba di Gimino, in Istria.
  • Foiba di Iadruichi, in Istria.
  • Foiba di Barbana, in Istria.
  • Foiba Bertarelli, comune di Pinguente in Istria.
  • Abisso Bertarelli, comune di Pinguente in Istria.
  • Foiba di Rozzo (Roč), nel comune di Pinguente (Buzet).
  • Foiba di Sepec o Sepez (Rozzo) in Istria.
  • Foiba di San Salvaro.
  • Foiba di Beca, vicino a Cosina.
  • Miniera di bauxite di Lindaro (Lindar), nel comune di Pisino (Pazin).
  • Foiba di Podubboli, vicino a Barbana d'Istria
  • Abisso di Susnici, nei pressi di San Lorenzo del Pasenatico
  • Fossa di Oblogo, vicino a Umago
  • Foiba di Zenkovizza, nei pressi di Castellier-Santa Domenica
  • Foiba di Sosice, nei pressi del comune omonimo.
  • Foiba di Casservola, vicino a Castelnuovo d'Istria
  • Foibe di Narcovigi, nei pressi di Gimino
  • Foiba di Cassiere, vicino a Castelnuovo d'Istria
  • Miniera di Savignacco, lungo il fiume Quieto
  • Miniera di bauxite di Gallignana, nei pressi di Pola.
  • Foiba di Maticchi, vicino a Gimino
  • Foiba di Carnizza, nei pressi di Capodistria
  • Foiba di Villa Serghi-Cernovizza, vicino a Pisino
  • Pozzo Littorio, nei pressi di Albona
  • Miniera di carbone di Val Pedena, nei pressi di Pisino
  • Foiba di Villa Checchi, nei pressi di Pisino
  • Foiba di Villa Cattuni, nei pressi di Pisino
  • Pozzo di Dignano-Mazzin, vicino a Pola.
  • Foiba di Villa Treviso, nei pressi di Pisino
  • Fossa di Umago, vicino alla località omonima.
  • Fossa Fianona, nei pressi di Chersano
  • Fossa di Caroiba, nei pressi della località omonima.
  • Fossa di Pobeghi, vicino a Capodistria
  • Foibe di Podgorje, vicino a Piedimonte d'Istria

Ex provincia di Fiume

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Ex Jugoslavia

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  • Foiba di Cocevie, in Slovenia, a 70 chilometri a sud-ovest da Lubiana.
  • Foiba di Spirnica.
  • Foiba di Vilenca
  • Kevina Jama, nei pressi di Radosic
  • Fossa di Montenero d'Idria
  • Fossa di Maribor
  • Repicnikova Jama
  • Krimska Jama
  • Kosevinsko Brezno
  • Kaserova Jama
  • Brezno na Kosevcu
  • Brezno v Mrzlih Dolij
  • Semonovo Brezno
  • Dvojno Brezno
  • Brezarjevo Brezno

Divulgazione

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Il sorriso della Patria.

Sulla scorta della legge istitutiva del Giorno del ricordo che previde, tra l'altro, l'organizzazione di "[...] iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi [delle foibe e dell'esodo] presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado [...]"[250], nel 2014 è stato realizzato il film-documentario Il sorriso della Patria, prodotto dall'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea "Giorgio Agosti" di Torino (Istoreto) con la collaborazione dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. Il documentario, che dura circa 44 minuti, è costituito da spezzoni di diciotto fra cinegiornali e filmati vari dell'Istituto Luce – prodotti fra il maggio del 1946 e l'aprile del 1956 – inframmezzati da foto d'epoca, testimonianze e brani storici.

Filmografia

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Toponomastica

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Molte città italiane, con amministrazioni di maggioranze politicamente diverse, hanno deciso di dedicare una via o una piazza alle vittime dei massacri delle foibe. Le vie e piazze dedicate alla memoria delle vittime nei massacri sono aumentate da quando si celebra il Giorno del ricordo, ma già prima esistevano diverse vie intitolate alle vittime italiane. Solitamente le vie vengono denominate con la definizione martiri delle foibe e sono inaugurate in data 10 febbraio per rispettare la giornata ufficiale stabilita dalla legge della Repubblica Italiana. In alternativa le vie sono dedicate a singoli personaggi trucidati nei massacri come Norma Cossetto, Riccardo Gigante e altri meno noti, ma legati alla storia di quella città o comune[251].

Principali foibe

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  1. ^ Il tempo e la storia: Le Foibe, Rai tv, intervento del professor Raoul Pupo
  2. ^ Il giorno del Ricordo - Croce Rossa Italiana.
  3. ^ a b c d Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena - V Periodo 1941-1945, su kozina.com, 26 febbraio 2019. URL consultato l'11 gennaio 2009 (archiviato dall'url originale il 16 gennaio 2009).
  4. ^ a b Pupo, Spazzali, pp. 29-30.
  5. ^ a b c Guido Rumici, Infoibati (1943-1945). I Nomi, I Luoghi, I Testimoni, I Documenti, Mursia, 2002, ISBN 978-88-425-2999-6.
  6. ^ Micol Sarfatti, Perché quasi nessuno ricorda le foibe?.
  7. ^ Pupo, Spazzali, p. 2.
  8. ^ Gianni Oliva, Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria, Milano, Mondadori, 2003, ISBN 88-04-48978-2, pag. 4
  9. ^ Che cosa furono i massacri delle foibe, in Focus, 10 febbraio 2022.
  10. ^ Che cosa sono state le Foibe, RAI News, 9 febbraio 2022.
  11. ^ Foibe in "Enciclopedia Italiana", Enciclopedia Treccani, 2007.
  12. ^ Pupo 1996: «È noto infatti che la maggior parte delle vittime non finì i suoi giorni sul fondo delle cavità carsiche, ma incontrò la morte lungo la strada verso la deportazione, ovvero nelle carceri o nei campi di concentramento jugoslavi.»
  13. ^ Pupo, Spazzali, p. 2: «È questo un uso del termine [NdR: "foibe"] consolidatosi ormai, oltre che nel linguaggio comune, anche in quello storiografico, e che quindi va accolto, purché si tenga conto del suo significato simbolico e non letterale»; pp. 3-4: «In realtà, solo una parte degli omicidi venne perpetrata sull'orlo di una foiba ( [...] ), mentre la maggior parte delle vittime perì nelle carceri, durante le marce di trasferimento o nei campi di prigionia (...) nella memoria collettiva "infoibati" sono stati considerati tutti gli uccisi...»
  14. ^ Pupo, Spazzali, pp. 4-5.
  15. ^ "Foibe, fascisti e comunisti: vi spiego il Giorno del ricordo": parla lo storico Raoul Pupo, su tpi.it, TPI. URL consultato il 9 febbraio 2020.
  16. ^ a b Raoul Pupo, Foibe, su treccani.it. URL consultato il 9 febbraio 2020.
  17. ^ «In definitiva, le comunità italiane furono condotte a riconoscere l'impossibilità di mantenere la loro identità nazionale - intesa come complesso di modi di vivere e di sentire, ben oltre la sola dimensione politico-ideologica - nelle condizioni concretamente offerte dallo Stato jugoslavo e la loro decisione venne vissuta come una scelta di libertà» Relazione della Commissione mista storico-culturale italo-slovena (PDF), su isgrec.it. URL consultato il 9 febbraio 2020.
  18. ^ a b c Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell'Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia (IRSREC FVG), Raoul Pupo, Anna Vinci, Gloria Nemec, Vademecum per il Giorno del ricordo (PDF), 2020, ISBN 9788898796199. URL consultato il 27 febbraio 2023.
  19. ^ Antonio Ferrara, Niccolò Pianciola, L’età delle migrazioni forzate. Esodi e deportazioni in Europa: 1953, Bologna, Il mulino, 2012
  20. ^ "Le foibe: i fatti, la costruzione della memoria, la ricerca storica. Strumenti per la didattica" di Antonio Brusa, su historialudens.it, Consultato il 13 gennaio 2018. Secondo Antonio Brusa «Occorre disporre “le foibe” sul tavolo dei fenomeni simili. In questo caso, quelli che caratterizzano l’immediato dopo-guerra, con le vendette, le espulsioni e gli eccidi di massa, a danno sia dei fascisti e dei nazisti, ma soprattutto delle popolazioni civili. A seguito di questo processo drammatico, oltre dieci milioni di civili furono cacciati dalle loro terre. Tedeschi dalla Polonia e dalla Cechia, ungheresi e rumeni dalla Jugoslavia, italiani dall'Istria. Si contarono oltre due milioni di vittime. La contestualizzazione è fondamentale sia per capire il fatto delle foibe, sia per discuterne in classe, evitando gli equivoci del dibattito pubblico, che tende a inserire nella stessa categoria di “massacro”, eccidi storicamente diversi, quali quelli perpetrati dal nazismo durante la guerra e quelli a danno delle popolazioni sconfitte, dopo la guerra. Alcuni storici, di recente, dilatano i tempi, includendo in questi processi di migrazione forzata una cronologia che risale a metà ottocento». «Inoltre, questo argomento richiama con insistenza parole/concetti quali “identità”, “memoria collettiva”, “memoria condivisa”, “etnia”, “confini” e così via. Si faccia attenzione, in questi casi, al fatto che questi termini designano dei processi di costruzione politica: non indicano dati “naturali” o “essenziali” di una popolazione, come spesso si crede. La vicenda delle foibe, in particolare, è anche un momento di costruzione identitaria, sia pure con tempi e modalità diversi, da entrambi i fronti; ed è stata un argomento per tracciare e rendere definitivi dei confini.»
  21. ^ Silvia Ferreto Clementi, La pulizia etnica e il manuale Cubrilovic, su lefoibe.it.
  22. ^ Le Foibe - 1945/2005.
  23. ^ Pupo 1996: « [...] dietro l'apparente caoticità delle situazioni e degli interventi sembra possibile discernere con una certa chiarezza le spinte fondamentali dell'onda di violenza politica che spazza la regione, fino a ricostruire le linee essenziali di una proposta interpretativa generale, che certo andrà vagliata e integrata alla luce dei nuovi apporti documentari, ma i cui connotati di fondo appaiono già delineati in maniera sufficientemente nitida.»
  24. ^ Pupo, Spazzali, p. XI.
  25. ^ Pupo, Spazzali, p. X, 110: «A tutt'oggi, nonostante esse [N.d.R.: le tesi militanti] abbiano dimostrato tutta la loro fragilità sul piano scientifico, continuano a essere largamente diffuse, anche perché si prestano a un uso politico che non è mai venuto meno…»
  26. ^ Raoul Pupo, Il lungo esodo, BUR, 2005, ISBN 88-17-00949-0, pp. 17-24.
  27. ^ Boris Gombač, Atlante storico dell'Adriatico orientale, Pontedera, Bandecchi & Vivaldi Editori, 2007
  28. ^ "L'Adriatico orientale e la sterile ricerca delle nazionalità delle persone" di Kristijan Knez; La Voce del Popolo (quotidiano di Fiume) del 2/10/2002, su xoomer.alice.it, Consultato il 10 luglio 2009. « [...] è privo di significato parlare di sloveni, croati e italiani lungo l'Adriatico orientale almeno sino al XIX secolo. Poiché il termine nazionalità è improponibile per un lungo periodo, è più corretto parlare di aree culturali e linguistiche, perciò possiamo parlare di dalmati romanzi, dalmati slavi, di istriani romanzi e slavi.» «Nel lunghissimo periodo che va dall'alto Medioevo sino alla seconda metà del XIX secolo è corretto parlare di zone linguistico-culturali piuttosto che nazionali. Pensiamo soltanto a quella massa di morlacchi e valacchi ( [...] ) che sino al periodo su accennato si definivano soltanto dalmati. Sino a questo periodo non esiste affatto la concezione di stato nazionale, e come ha dimostrato lo storico Federico Chabod, nell'età moderna i sudditi erano legati soltanto alla figura del sovrano e se esisteva un patriottismo, questo era rivolto soltanto alla città d'appartenenza.»
  29. ^ L’identità nazionale è un’invenzione, in Internazionale, 7 marzo 2018. URL consultato il 7 marzo 2018.
  30. ^ Sul conflitto fra italiani e slavi a Trieste si veda: Tullia Catalan, I conflitti nazionali fra italiani e slavi alla fine dell'impero asburgico, scheda in Pupo, Spazzali, pp. 35-39
  31. ^ Sul conflitto nazionale fra italiani e slavi nella regione istriana, si consultino i seguenti link:
    Ottocento: Il 1848, su Centro di Documentazione della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata. URL consultato il 17 ottobre 2022 (archiviato dall'url originale il 17 luglio 2012).
    L'Irredentismo, su Centro Di Documentazione Della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata. URL consultato il 17 ottobre 2022 (archiviato dall'url originale il 18 luglio 2012).
  32. ^ Istria nel tempo, Centro Ricerche Storiche di Rovigno, 2006, cap. V (PDF) (archiviato dall'url originale il 3 aprile 2016)., par. 3,4
  33. ^ Pupo, Spazzali, p. 38.
  34. ^ a b Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena, Relazioni italo-slovene 1880-1956, "Capitolo 1980-1918" (archiviato dall'url originale il 13 marzo 2018)., Capodistria, 2000
  35. ^ L.Monzali, Italiani di Dalmazia (...), cit. p. 69.
  36. ^ (DE) Die Protokolle des Österreichischen Ministerrates 1848/1867. V Abteilung: Die Ministerien Rainer und Mensdorff. VI Abteilung: Das Ministerium Belcredi, Wien, Österreichischer Bundesverlag für Unterricht, Wissenschaft und Kunst, 1971
  37. ^ (DE) Jürgen Baurmann, Hartmut Gunther e Ulrich Knoop, Homo scribens : Perspektiven der Schriftlichkeitsforschung, Tübingen, 1993, p. 279, ISBN 3-484-31134-7.
  38. ^ Monzali 2004,  p. 301.
  39. ^ (HR) Š. Peričić, O broju Talijana/talijanaša u Dalmaciji XIX. stoljeća, in Radovi Zavoda za povijesne znanosti HAZU u Zadru, n. 45/2003, p. 342
  40. ^ Paolo Radivo: Irredentismo italiano in Istria, su fvgnews.net. URL consultato il 16 febbraio 2018 (archiviato dall'url originale il 24 ottobre 2014).
  41. ^ Irredentismo italiano in Istria e Dalmazia, di Lucio Toth (archiviato dall'url originale il 6 aprile 2012).
  42. ^ a b c d e Dizionario Enciclopedico Italiano (Vol. III, pag. 730), Roma, Ed. Istituto dell'Enciclopedia Italiana, fondata da Giovanni Treccani, 1970
  43. ^ a b Giogia Miotto, Identità triestina e irredentismo (PDF), in Tesi di laurea - Università degli Studi di Padova (2022). URL consultato il 27 gennaio 2024.
  44. ^ a b Ruggero Fauro, Trieste; Italiani e Slavi; Il Governo Austriaco L’Irredentismo, Roma, Gaetano Garzoni Provenzani Ed., 1914
  45. ^ "Sulle foibe e il fascismo non si vuole la verità" (PDF), in , Patria indipendente, 19 marzo 2006, A.N.P.I.. URL consultato il 20 gennaio 2024.
  46. ^ Si vedano la voce Trattato di Londra e il testo integrale del trattato su Wikisource
  47. ^ Attilio Tamaro, Venti anni di storia, Roma, Editrice Tiber, 1953, p. 79: "Mentre si svolgeva l'imponente comizio e Francesco Giunta, segretario del fascio, parlava, uno slavo uccise un fascista, che s'era intromesso per salvare un ufficiale da quello aggredito".
  48. ^ Sergio Siccardi, La falsa verità sul Ten. Luigi Casciana, Trieste, Fondazione Rustia-Traine, 2010, p. 63.
  49. ^ Pavel Strajn, La comunità sommersa – Gli Sloveni in Italia dalla A alla Ž, Trieste, Editoriale Stampa Triestina, 1992
  50. ^ Boris Gombač, Atlante storico dell'Adriatico orientale, op. cit.
  51. ^ Paolo Parovel, L'identità cancellata, Trieste, Eugenio Parovel Editore, 1986
  52. ^ Paolo Parovel, L'identità cancellata, Trieste, Eugenio Parovel Editore, 1985
  53. ^ Alojz Zidar, Il popolo sloveno ricorda e accusa, op. cit.
  54. ^ Fabio Ratto Trabucco, Il regime linguistico e la tutela delle minoranze in Francia (archiviato dall'url originale l'11 febbraio 2009)., su "Il politico (Rivista italiana di scienze politiche)", Anno 2005, Volume 70)
  55. ^ Sull'assimilazione della minoranza tedesca in Slovenia si veda Harald Heppner (a cura di), Slowenen und Deutsche im gemeinsamen Raum: neue Forschungen zu einem komplexen Thema. Tagung der Südostdeutschen Historischen Kommission (Maribor), München, Oldenbourg, settembre 2001 (archiviato dall'url originale il 16 gennaio 2014).. Per la situazione dei tedeschi del Gottschee: Sito sui tedeschi del Gottschee (Slovenia).. Sulle politiche di assimilazione cui furono soggetti gli ungheresi della Vojvodina, si veda, ad esempio: Károly Szilágyi, Good Neighbors or Bad Neighbors? Hungarians and Serbs during the centuries, Budapest, 1999.. Per la situazione della minoranza albanese: Robert Elsie, Kosovo: in the heart of the powder keg, New York, Columbia University Press, 1997.
  56. ^ Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena; Periodo 1918 - 1941. URL consultato il 1º settembre 2010 (archiviato dall'url originale il 1º novembre 2013).
  57. ^ L'atto di resa fu firmato a Belgrado alla presenza del Ministro degli esteri Aleksandar Cincar-Marković e del generale Jankovi�� in rappresentanza della Jugoslavia, del generale Maximilian von Weichs per la Germania e del colonnello Bonfatti per l'Italia. V. Salmaggi e Pallavisini, La seconda guerra mondiale, Mondadori, 1989, p. 119.
  58. ^ Regio decreto-legge del 3 maggio 1941, n. 291 (istituzione della Provincia di Lubiana: "ART. 2- Con decreti reali (...) saranno stabiliti gli ordinamenti della provincia di Lubiana, la quale, avendo una popolazione compattamente slovena, avrà un ordinamento autonomo con riguardo alle caratteristiche etniche della popolazione, alla posizione geografica del territorio e alle speciali esigenze locali"
  59. ^ Diari di guerra: Il diario di Renzo Pagliani, bersagliere nel battaglione "Zara", su digilander.libero.it. URL consultato il 10 novembre 2009.
  60. ^ A. Petacco, L'esodo, Mondadori, 1999.
  61. ^ Angelo del Boca, Italiani, brava gente?, pagina 236, Vicenza 2005, ISBN 88-545-0013-5
  62. ^ Alessandra Kersevan, Un campo di concentramento fascista. Gonars 1942-1943, Udine, Kappa VU, 2003 e Idem, Breve storia del confine orientale nel Novecento, in Giuseppe Aragno (a cura di), Fascismo e foibe. Ideologia e pratica della violenza nei Balcani, Napoli, La Città del Sole, 2008
  63. ^ Si veda Dino Messina Crimini di guerra italiani, il giudice indaga. Le stragi di civili durante l'occupazione dei Balcani. I retroscena dei processi insabbiati. (articolo sul Corriere della Sera, del 7 agosto 2008); Alessandra Kersevan, Lager italiani. Pulizia etnica e campi di concentramento per civili jugoslavi 1941-1943, Nutrimenti editore, 2008, p. 61; Giacomo Scotti "Quando i soldati italiani fucilarono tutti gli abitanti di Podhum" (PDF), su anpi.it (archiviato dall'url originale il 9 novembre 2013).
  64. ^ L'Italia in guerra e il Governatorato di Dalmazia, su arcipelagoadriatico.it, Centro Di Documentazione Della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata, 2007. URL consultato il 10 novembre 2009 (archiviato dall'url originale il 9 marzo 2012).
  65. ^ Fondo Gasparotto presso Fondazione ISEC (Istituto per la Storia dell'Età Contemporanea, Sesto San Giovanni,); War Crimes Commission ONU, Crowcass (Central register of war criminals and security sospects) presso Wiener Library, Londra rintracciato dalla storica Caterina Abbati; BBC, Fascist legacy, Londra, 1990. (video documentario) di Ken Kirby, curato dallo storico Michael Palumbo; Filippo Focardi e Lutz Klinkhammer (a cura di), La questione dei "criminali di guerra" italiani e una Commissione di inchiesta dimenticata, in Contemporanea, a. IV, n.3, luglio 2001, pp. 497-528; Mimmo Franzinelli, Salvate quei generali! Ad ogni costo e La memoria censurata, in Millenovecento n. 3 gennaio 2003, pp. 112-120: Nicola Tranfaglia, Come nasce la repubblica. Documenti CIA e italiani 1943/1947, Milano, Bompiani, 2004. Documenti custoditi nel Fondo Affari Politici del Ministero degli Affari Esteri italiano, in particolare il Telespresso N. 1506 del Ministero degli Affari Esteri, Direzione Generale Affari Politici, VIII, datato Roma, 28 ottobre 1946, indirizzato al Ministero della Guerra, Gabinetto e al Ministero della Giustizia, Gabinetto, Oggetto: Criminali di guerra Italiani richiesti dalla Jugoslavia, firmato da Pietro Nenni, e il Pro Memoria allegato al documento, in cui si legge testualmente: “La Legazione di Jugoslavia ha presentato al Ministero degli Affari Esteri una serie di Note Verbali in data 16,18,27 e 30 dicembre 1947, con le quali, in applicazione all'Art. 45 del Trattato di Pace, richiede la consegni di 27 presunti criminali di guerra italiani, specificando per ciascuno di essi vari capi d'accusa”. Interessante è anche la nota n. 10599.7./15.2 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Gabinetto, datata Roma, 16 febbraio 1948 e firmata dal Sottosegretario di Stato Giulio Andreotti, a cui è acclusa copia conforme della lettera protocollata Segr. Pol. 875, datata Roma, 20 agosto 1949, inviata all'Ammiraglio Franco Zannoni, Capo Gabinetto Ministero della Difesa
  66. ^ Galliano Fogar. Le foibe: Istria, settembre-ottobre 1943, «Patria indipendente», 27 febbraio 2005.
  67. ^ G. La Perna, Pola-Istria-Fiume 1943-1945, Mursia
  68. ^ M. Cattaruzza, L'Italia e il confine orientale, Il Mulino, 2007, p. 244.
    «La maggior parte dei condannati fu scaraventata nelle cavità carsiche (foibe) della zona, profonde diverse centinaia di metri, alcuni mentre erano ancora in vita»
  69. ^ Raoul Pupo, 2007.
  70. ^ Cossetto Sig.ra Norma, su quirinale.it.
  71. ^ Alberto Buvoli, Venezia Giulia 1943-1945 Foibe e deportazioni: per ristabilire la verità storica, Quaderni della Resistenza n. 10, Udine, Grafiche Missio, 1998, p. 52
  72. ^ «Bruno Coceani fu nominato prefetto della provincia di Trieste e capo di tutti i prefetti italiani della regione» cit. di Bogdan C. Novak , Trieste, 1941-1954, la lotta politica, etnica e ideologica, Milano, Mursia, 1973, p. 78 (traduz. italiana da: Bogdan C. Novak, Trieste, 1941-1954. The Ethnic, Political and Ideological Struggle, Chicago-London, The University of Chicago Press, 1970)
  73. ^ I dati si riferiscono all'insieme dei detenuti politici ed ebrei. Cfr. Brunello Mantelli - Nicola Tranfaglia, Il libro dei deportati, vol. 1, tomo 3, Milano, Mursia, 2010, p. 2533. ISBN 978-88-425-4228-5
  74. ^ Anti Fascist Council for the National Liberation of Yugoslavia, in 2024 Encyclopædia Britannica, Inc.. URL consultato il 1º febbraio 2024.
  75. ^ Drugo zasedanje AVNOJa v Jajcu – IZRA Inštitut za zgodovinske raziskave, Ljubljana, in Zgodovina na dlani – IZRA Inštitut za zgodovinske raziskave, Ljubljana. URL consultato il 1º febbraio 2024.
  76. ^ Sul tema, e in particolare sulla morte di Niccolò e Pietro Luxardo, si veda Nicolò Luxardo De Franchi, Dietro gli scogli di Zara, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 1999, ISBN 88-86928-24-6.
  77. ^ La Luxardo e la Romagna, su xoomer.alice.it, La Voce di Rimini, 14 giugno 2004. URL consultato il 16 ottobre 2009.
  78. ^ Padre Flaminio Rocchi, Zara, un sestiere veneziano, su L'esodo dei 350 mila giuliani, fiumani e dalmati. URL consultato il 16 settembre 2009.
  79. ^ Guido Rumici, Infoibati... (op. cit.), pp. 452 e 453
  80. ^ Paolo Mieli, Trieste, la guerra di Tito contro gli antifascisti, Corriere della Sera, 6 aprile 2010, pp. 36-37.
  81. ^ Claudia Cernigoi, Operazione foibe a Trieste (op. cit.), p. 119
  82. ^ La distinzione non è casuale. Nei suoi scritti infatti, la Cernigoi distingue costantemente fra "infoibati" a "scomparsi". Secondo il suo punto di vista vanno conteggiate fra le vittime degli eccidi solo i primi. Tuttavia è ben noto fra gli storici, che coloro che morirono nelle foibe furono una minima parte del totale. Senza entrare nel merito della discussione, risulta ovvio che adottando il punto di vista della Cernigoi, il numero di vittime venga pesantemente ritoccato al ribasso.
  83. ^ Articolo de Il Piccolo (PDF) (archiviato dall'url originale il 9 febbraio 2013).
  84. ^ La Repubblica, 9 marzo 2006 Quei 1048 nomi riemersi dalle foibe (archiviato dall'url originale il 23 giugno 2008). di Paolo Rumiz; I 1.048 deportati da Gorizia. (raccolta di articoli sui deportati goriziani), Altri articoli sul tema: Copia archiviata, su leganazionale.splinder.com. URL consultato il 27 giugno 2008 (archiviato dall'url originale il 13 febbraio 2009).[1][2] Copia archiviata, su cnj.it. URL consultato il 18 aprile 2014 (archiviato dall'url originale il 9 febbraio 2014).
  85. ^ Pupo, Spazzali, p. 219.
  86. ^ Boris Gombač, Atlante storico..., op. cit. p. 361
  87. ^ Pupo 1996.
  88. ^ Società di Studi Fiumani-Roma, Hrvatski Institut za Povijest-Zagreb, Le vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni (1939-1947) Copia archiviata (PDF), su archivi.beniculturali.it. URL consultato il 5 maggio 2012 (archiviato dall'url originale il 31 ottobre 2008)., Ministero per i beni e le attività culturali - Direzione Generale per gli Archivi, Roma 2002. ISBN 88-7125-239-X. Nello studio per ogni vittima individuata nominativamente, sono stati indicati tutti i dati personali conosciuti (nome, cognome, data di nascita, ultimo indirizzo conosciuto ecc.), la data e la causa di morte. Lo studio è ritenuto non esaustivo dagli stessi autori che affermano che lo stesso è da considerarsi «una buona base di partenza per quanti in futuro vorranno cimentarsi in questa difficile problematica», dato che «nessuna ricerca storica di carattere complesso come questa ha mai dato finora una risposta chiara e definitiva» (p. 149). Le tabelle riassuntive sono alla pag. 206.
  89. ^ Legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1
  90. ^ Antonio Ciarrapico, L'impossibile revisione del trattato di pace con l'Italia, in Nuova Storia Contemporanea nº8, Anno XIV, Settembre-ottobre 2010, p. 125
  91. ^ La Foiba di Basovizza - Monumento Nazionale (op. cit.)
  92. ^ Jože Pirjevec, Foibe (op. cit.): «sul territorio dell'attuale provincia di Trieste [...] metà delle donne, nove, erano slovene... Tra i maschi, almeno per 26 si può affermare con certezza, che non erano di nazionalità italiana: ventitré sloveni, un croato un russo e un tedesco.»;
  93. ^ Boris Gombač, Atlante storico dell'Adriatico orientale (op. cit.)
  94. ^ Marco valle, Porzus, quando i comunisti ammazzavano gli antifascisti, su Destra.it, 13 marzo 2012.: «E furono anche uccisi un bel po' di slavi non comunisti: Ivo Bric, antifascista cattolico; Vera Lesten, poetessa e antifascista cattolica; i quattro membri della famiglia Brecelj; i sacerdoti don Alojzij Obit, don Lado Piscanc, don Ludvik Sluga, don Anton Pisk, don Filip Tercelj, don Izidor Zavadlav di Vertoiba… Andrej Ursic era stato addirittura un membro del Tigr: gruppo armato che dagli anni '20 aveva iniziato una lotta terrorista contro le autorità italiane, contro l'annessione all'Italia di Trieste, Istria, Gorizia e Fiume (le cui iniziali in lingua slava costituivano l'acronimo del nome della belva richiamata nel nome). Ma fu sequestrato dalla polizia segreta jugoslava il 31 agosto del 1947, sottoposto a sevizie, probabilmente ucciso nell'autunno del 1948, e il suo cadavere gettato in una delle foibe della Selva di Tarnova.»
  95. ^ Raoul Pupo (op. cit.)
  96. ^ Secondo stime più attendibili «Per le stragi del 1943 l’ordine di grandezza è delle centinaia (le stime variano da 500 a 700)» – Citazione da: Vademecum per il Giorno del ricordo, Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia (op.cit. - v. Bibliografia), p. 30
  97. ^ Boris Gombač, Atlante storico dell'Adriatico orientale (op.cit. - v. bibliografia), p. 334
  98. ^ Dispensa di Storia Giuliano Dalmata – Edizione 2020, su google.com. URL consultato il 9 marzo 2024.
  99. ^ Maserati. L'occupazione jugoslava di Trieste, 1966
  100. ^ Boris Gombač, Atlante storico dell'Adriatico orientale (op.cit. - v. bibliografia), p. 364. Le stime indicate da Boris Gombač, risalgono al 1966 e non sono tra le più aggiornate, tuttavia esse espongono il numero degli uccisi con riferimento ai territori delle singole provincie di Gorizia, Trieste, Istria (Pola) e Fiume.
  101. ^ (ANSA), DF/SM 09/03/2006 19:59
  102. ^ Arrigo Petacco, L'Esodo, Mondadori, 1999, p. 171; Nazareno Mollicone, "Foibe: la storia rivendica i suoi diritti", in Il Secolo d'Italia, 22 agosto 1996; Fassino: Foibe, apriamo tutti gli archivi, su archiviostorico.corriere.it. URL consultato il 13-10-2010. dove l'esponente politico parla di tutti gli archivi di Stato e dei diversi movimenti politici italiani. La presenza di documentazione nei diversi archivi italiani è contestata dall'ANPI, che sostiene che gli archivi "siano stati scandagliati da tempo". Dossier: Foibe: una pagina di storia nazionale, su storiaxxisecolo.it. URL consultato il 13-10-2010. di Giannantonio Paladini
  103. ^ Lo storico Mario Pacor afferma che nelle foibe istriane finirono dopo l'armistizio 400-500 persone, nonché 4 000 italiani furono deportati, dei quali molti furono uccisi dopo procedimenti sommari quindi forse infoibati successivamente. Questi dati fanno riferimento ai documenti dei vigili del fuoco di Pola. La Commissione storica italo-slovena, instaurata dai ministeri degli esteri dei due rispettivi paesi e composta sia da storici sloveni sia italiani, ha esaminato i rapporti tra i due Paesi tra il 1880 e il 1956. Il rapporto non approfondisce l'argomento delle foibe, ma indica il numero delle sole esecuzioni sommarie in "centinaia". Questo rapporto non tratta però delle foibe in territorio croato.
  104. ^ ’’Si parla di foibe e di pulizia etnica, ma il Giorno del Ricordo agisce su un lutto non elaborato su cui si è inserito un uso prepotentemente ’’, conversazione con Raoul Pupo, su ildolomiti.it, 8 febbraio 2020. URL consultato il 12 febbraio 2020.
  105. ^ Giampaolo Pansa, Il sangue dei vinti: quello che accadde in Italia dopo il 25 aprile. sedicesima edizione. p.371, Sperling & Kupfer, 2003, ISBN 978-88-200-3566-2.
  106. ^ Foibe, l'Italia rende omaggio alle vittime. Bersani: "un orrore troppo a lungo negato"., la Repubblica, 10 febbraio 2013
  107. ^ Foiba di Basovizza, su foibadibasovizza.it (archiviato dall'url originale il 13 marzo 2013).
  108. ^ (EN) Gaetano Dato, Foiba of Basovizza: the Pit, the Monument, the Memory, and the Unknown Victim. 1945-1965., in Časopis za povijest Zapadne Hrvatske, vol. 8, -, 2013, pp. 35–62. URL consultato il 7 febbraio 2020.
  109. ^ Pirjevec, Jǒze. e Mondadori, Cles, tipografo trentino., Foibe : una storia d'Italia, Einaudi, 2009, ISBN 978-88-06-19804-6, OCLC 800485926. URL consultato il 7 febbraio 2020.
  110. ^ Slovenia, 100 mila le vittime gettate in 581 foibe dai titini. Inizia il lavoro di identificazione dei morti, su Il Piccolo, 17 ottobre 2020. URL consultato il 28 agosto 2021 (archiviato dall'url originale il 28 novembre 2021).
  111. ^ Raoul Pupo e Roberto Spazzali, Foibe, Bruno Mondadori, 2003, ISBN 88-424-9015-6
  112. ^ Cosa vuol dire "infoibare", su foibadibasovizza.it, consultato il 11 gennaio 2009 (archiviato dall'url originale l'11 febbraio 2009). «In taluni casi le vittime furono allineate in fila lungo l'orlo della foiba, legati l'un con l'altro con filo di ferro: dopo essere stato ucciso con un colpo alla nuca il capofila precipitava trascinando il resto del gruppo.»
  113. ^ Gaetano La Perna, Pola-Istria-Fiume 1943-1945, Mursia, nonché La via dell'esilio, supplemento a Storia illustrata nº 10, 1997
  114. ^ Giovanni Minoli, La testimonianza di Graziano Udovisi, l'unico superstite - Storia delle Foibe, in Mixer, 1991. URL consultato il 17 febbraio 2015 (archiviato dall'url originale il 17 febbraio 2015).
  115. ^ Guido Rumici riporta le testimonianze dei tre citati in Infoibati, op. cit., pp. 250-251
  116. ^ Pupo, Spazzali, p. 98, sezione Un superstite.
  117. ^ CLN Istriano,Foibe, la tragedia dell'Istria, data di stampa e tipografia non indicata
  118. ^ Giuseppe Bedeschi, Fronte italiano: c'ero anch'io, Mursia, Milano 1987. In quel caso, la testimonianza venne firmata unicamente con le iniziali G.U.
  119. ^ Pupo, Spazzali.
  120. ^ L'ideologia del mercato caritatevole, su Sottolebandieredelmarxismo, 9 settembre 2009. URL consultato il 12 dicembre 2011 (archiviato dall'url originale il 26 luglio 2012)..
  121. ^ Comune di Vicenza - Servizio Elettorale, Elezioni provinciali 1997, il candidato di Rifondazione Comunista Paolo Consolaro prende 577 voti. (PDF).
  122. ^ Pol Vice, Scampati o no. I racconti di chi "uscì vivo" dalla foiba, Udine, Edizioni Kappa Vu, 2005. Il libro è stato scritto in collaborazione con Claudia Cernigoi.
  123. ^ C. Cernigoi, Operazione foibe fra storia e mito, Udine, KappaVu, 2005.
  124. ^ D. Antoni (cur.), Foibe. Revisionismo di stato e amnesie della repubblica, Udine, KappaVu, 2008. Il libro riporta gli atti del convegno "Foibe: la verità. Contro il revisionismo storico", organizzato dalle associazioni "L'altra Lombardia - Su la testa" di Milano, "Društvo Promemoria per la difesa dei valori dell'antifascismo e dell'antinazismo/zavarovanje vrednot protifašizma in protinacizma" di Trieste, "Centro popolare La Fucina" di Sesto San Giovanni, "Collettivo Comunista Antonio Gramsci" di Trento; "Comitati contro la guerra" di Milano; "Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia", "Lotta e Unità per l'organizzazione proletaria" e "Resistenza storica" di Udine e tenutosi presso la Biblioteca Comunale di Sesto San Giovanni (MI) il 9 febbraio 2008. Le relazioni vennero tenute da Matteo Dominioni, Alessandra Kersevan, Luka Bogdanić, Sandi Volk, Claudia Cernigoi e Paolo Consolaro (Pol Vice).
  125. ^ A titolo d'esempio si veda Maria Vittoria Cascino, E a La Spezia parla la prof «negazionista», in Il Giornale, 7 febbraio 2007..
  126. ^ Pol Vice, op. cit., presentazione dell'editore, senza numero di pagina.
  127. ^ Pol Vice, op. cit., p. 3.
  128. ^ Campo sportivo "Martiri delle foibe"? «No, furono un prodotto del fascismo», da il Gazzettino del 31/01/2013, su ilgazzettino.it. URL consultato il 31 gennaio 2013 (archiviato dall'url originale il 14 luglio 2014).
  129. ^ Fascismo e resa dei conti (PDF) [collegamento interrotto], su casamemoriavinchio.it.
  130. ^ Raoul Pupo, Le stragi del secondo dopoguerra nei territori amministrati dall'esercito partigiano jugoslavo (PDF), su italia-liberazione.it. URL consultato l'11 gennaio 2009. «Quella combattuta sui campi di battaglia della Jugoslavia non è stata soltanto una guerra di liberazione, ma anche una terribile guerra civile, in cui – dalle prime stragi ustaša del 1941 in poi – determinazione e orrore hanno sostituito la pietà. Per i prigionieri slavi quindi non c'è scampo: quelli caduti nelle mani dei partigiani vengono fucilati, ma anche quelli che sono riusciti a consegnarsi agli alleati, non per questo hanno trovato la salvezza.»
  131. ^ Guido Crainz, L'ombra della guerra. Il 1945, l'Italia, Bologna, Donzelli, 2007, ISBN 88-6036-160-5
  132. ^ Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena, Relazioni italo-slovene 1880-1956, "Periodo 1941-1945" (archiviato dall'url originale il 16 gennaio 2009)., Capodistria, 2000
  133. ^ Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena; Periodo 1941 - 1945, su kozina.com, consultato il 11 gennaio 2009. URL consultato l'11 gennaio 2009 (archiviato dall'url originale il 16 gennaio 2009). «Influì anche negativamente l'eco degli eccidi di italiani dell'autunno del 1943 (le cosiddette "foibe istriane") nei territori istriani ove era attivo il Movimento di liberazione croato, eccidi perpetrati non solo per motivi etnici e sociali, ma anche per colpire in primo luogo la locale classe dirigente, e che spinsero gran parte degli italiani della regione a temere per la loro sopravvivenza nazionale e per la loro stessa incolumità.»
  134. ^ Le rivendicazioni di Tito, tuttavia, includevano anche la maggior parte del Friuli, volendo portare il confine al Tagliamento. Cfr. I testimoni muti: le foibe, l'esodo, i pregiudizi di Diego Zandel, Ugo Mursia Editore, 2011, p. 73; Giuseppe Rossini, Democrazia cristiana e Costituente nella società del dopoguerra: Società civile e società politica, Cinque lune, 1980, p. 1201 (a proposito dei colloqui Churchill-Tito e della definizione delle pretese jugoslave); Vojtech Mastny, Italy and East-Central Europe: dimensions of the regional relationship , Westview Press, 1995, p. 21
  135. ^ T. Taylor, Rapporto generale sugli arresti e sulle esecuzioni perpetrate dagli jugoslavi nel maggio - giugno 1945, 3 agosto 1945 (citato da S. Ferretto Clementi, Dossier Foibe ed Esodo e in Lega Nazionale, Le Foibe e i campi di concentramento jugoslavi.), secondo cui «a Gorizia vennero arrestati circa quattromila italiani (…), in provincia di Trieste tra il primo maggio e il 12 giugno del 1945 furono arrestate diciassettemila persone, delle quali ottomila furono successivamente rilasciate, tremila furono uccise e seimila sono ancora internate (tremila nel campo di Borovnica).»
  136. ^ L'elenco dei mille italiani deportati da Gorizia in Slovenia, marzo 2006, Lega Nazionale (PDF), su leganazionale.it.
  137. ^ Paolo Sardos Albertini (2002-05-08). "Terrore" comunista e le foibe - Il Piccolo (archiviato dall'url originale l'11 marzo 2008).
  138. ^ Boris Gombač, Atlante storico…, op. cit., p. 368.
  139. ^ La Commissione storico-culturale italo-slovena, composta da affermati studiosi italiani e sloveni, è stata istituita nell’ottobre 1993 su iniziativa dei Ministri degli Esteri di Italia e Slovenia allo scopo di ottenere un'esposizione condivisa sugli avvenimenti più rilevanti nella storia delle relazioni politiche e culturali tra i due Stati e, in senso più generale, tra le popolazioni italofone e slavofone dell’Alto Adriatico. Dopo 7 anni di lavoro e ripetuti incontri la relazione conclusiva della Commissione fu approvata all’unanimità dai suoi 14 componenti il 25 luglio 2000 e consegnata ai rispettivi Ministeri degli esteri.| Commissione storico-culturale italo-slovena, Rapporti italo-sloveni 1880-1956, in Qualestoria, dicembre 2000. URL consultato il 6 gennaio 2024.
  140. ^ La pubblicazione della relazione è stata salutata con soddisfazione dal Governo sloveno. In Italia, invece, il documento “non fu mai accolto dai canali ufficiali né diffuso come concordato”| Gino Candreva, Una frontiera troppo contesa, in Blog degli storici del Friuli occidentale, Febbraio 2023. URL consultato il 30 aprile 2024.
  141. ^ Il Governo italiano, nel 2007, rispondendo a un'interrogazione parlamentare del deputato Cardano, ha precisato che, godendo già la Relazione della Commissione bilaterale dello status di ufficialità ed essendo passati ormai ben 7 anni dalla sua prima pubblicazione sulla stampa e dal riconoscimento ufficiale del Governo sloveno, non riteneva necessario pubblicarla in quanto essa godeva già dello status di ufficialità e, confermando la sua veridicità, ne ha auspicato la diffusione nel mondo della cultura e della scuola Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, Seduta dell'8/2/2007, su aic.camera.it, consultato il 2 maggio 2024.
  142. ^ Gianni Oliva, La resa dei conti - aprile-maggio 1945: foibe, piazzale Loreto e giustizia partigiana, Mondadori, p. 16 ISBN 88-04-45696-5: «È il prezzo estremo pagato dal paese al regime e alla sua avventura bellica»
  143. ^ Maurizio Tremul, Discorso del presidente della Giunta esecutiva dell'Unione Italiana (archiviato dall'url originale il 6 febbraio 2009). alla presentazione del manuale “Istria nel tempo. Storia regionale dell'Istria con riferimenti alla città di Fiume”, Collana degli Atti N° 26 del CRS di Rovigno. cit.: «La nostra è la cronaca di una storia negata annunciata: l'identificazione tout court con il nemico secondo la tragica equazione italiano uguale fascista...»
  144. ^ Fonte: Claudia Cernigoi, Operazione "Foibe" tra storia e mito, Udine, Edizioni Kappa Vu, 2005, p. 115
  145. ^ «Cadono nella rete della ghepeù slava, come ora la chiamano, centinaia di cittadini del gruppo etnico italiano: gerarchi locali, podestà, segretari, ma anche messi comunali, guardie civiche, levatrici, ufficiali di posta, insegnanti, bidelli, proprietari terrieri, impiegati, sorveglianti, carabinieri e guardie forestali. Nella maggioranza dei casi, se a costoro possono essere mosse delle accuse queste derivano dall'appartenenza a una classe sociale che definiremmo borghese o di avere nutrito idee politiche diverse da quelle degli occupanti. Da notare che, in epoca fascista l'ottenimento di un posto di lavoro di qualunque livello nel pubblico impiego implicava l'iscrizione al PNF, almeno formalmente e indipendentemente dal loro pensiero, i dipendenti pubblici potevano tutti essere classificati come "fascisti". Su tutti, comunque, pesava la grave colpa di essere italiani.» (da Arrigo Petacco, L'esodo - La tragedia negata degli italiani d'Istria, Dalmazia e Venezia Giulia, op. cit., pp. 57-58)
  146. ^ a b c Pupo, Spazzali, p. 110: par. "Le tesi militanti"
  147. ^ Si veda in merito Patrick Karlsen, Il PCI , il confine orientale italiano e il contesto internazionale 1941-1955, Tesi di dottorato, Università degli studi di Trieste, 2009., tesi di dottorato in seguito pubblicata: Patrick Karlsen, Frontiera rossa. Il Pci, il confine orientale e il contesto internazionale 1941-1955, Gorizia, LEG, 2010, ISBN 88-6102-475-0.. Il saggio è stato definito da Marina Cattaruzza " lo studio più documentato ed esaustivo sulla politica del Partito comunista italiano nei confronti delle rivendicazioni jugoslave sui territori passati all'Italia con il Trattato di Rapallo.".
  148. ^ Istituto friulano per la storia del Movimento di liberazione, Resistenza e questione nazionale: atti del Convegno "Problemi di storia della resistenza in Friuli", Udine, 5/6/7 novembre 1981, Volume 1, Del Bianco, 1984 cit.: «Per tutte queste ragioni il PCI invita i comunisti della Venezia G. e delle regioni che entreranno nel campo delle prossime operazioni militari di Tito, a far appello, a tutte le forze sinceramente democratiche e antifasciste delle loro località perché appoggino con la più grande fiducia ed il più grande entusiasmo tutte le iniziative, tutte le azioni sia politiche che militari che l'OF intenderà intraprendere per la liberazione dei territori da loro abitati. (...) Anche su questo punto delle direttive del compagno E., concordate con Birk e gli altri due compagni dirigenti jugoslavi, ci permettiamo di ricordare il nostro perfetto accordo già manifestato nel "Saluto ai nostri amici ed alleati jugoslavi"».
  149. ^ Raoul Pupo, Fulvio Anzellotti, Venezia Giulia: immagini e problemi 1945, Editrice Goriziana, 1992, p.58 cit.: «Ciò che invece sembra ormai assodato, è che la decisione del PCI di favorire l'occupazione jugoslava dell'intera Venezia Giulia, quale viene espressa ad esempio nel Saluto ai nostri amici e alleati jugoslavi pubblicato nell'ottobre 1944 su "La nostra lotta"»
  150. ^ Pier Paolo Pasolini sull'Eccidio di Porzûs. URL consultato l'11 ottobre 2017 (archiviato dall'url originale il 6 febbraio 2009).
  151. ^ Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia, Istituto Gramsci, Le Brigate Garibaldi nella Resistenza. Documenti, vol. I, a cura di Giampiero Carocci e Gaetano Grassi, Milano, Feltrinelli, 1979, doc. n. 41, dicembre 1943. Cfr. Omezzoli 2019, p. 143 e n.
  152. ^ Notizia sul Partito Comunista della Venezia Giulia in Cristiana Colummi, Liliana Ferrari, Gianna Nassisi, Germano Trani, Storia di un esodo. Istria 1945-1956, Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione del Friuli-Venezia Giulia, Trieste, 1980, pp. 252 ss.
  153. ^ Arrigo Petacco, Foibe e torture. I quaranta giorni dell'orrore rosso.., Corriere della Sera (24 ottobre 2004). Cit.: «Per rendere completamente jugoslava l'occupazione di Trieste, avevano anche fatto trasferire in Slovenia le brigate partigiane italiane "Natisone", "Fontanot" e "Trieste", impegnate nel territorio italiano. (...) Tutti i membri del CLN (dal quale erano usciti i rappresentanti del PCI) finirono in carcere o costretti a tornare nella clandestinità e così molti partigiani italiani che non avevano accettato il nuovo corso.»
  154. ^ I 40 giorni del terrore (PDF) (archiviato dall'url originale il 26 febbraio 2007). (a cura della Lega Nazionale di Trieste) in Riccardo Basile, L'occupazione jugoslava di Trieste, cit: «Tra le migliaia d'insorti troviamo i rappresentanti dei risorgenti partiti politici italiani e molti Militari dei Carabinieri, della Guardie di Finanza, e della Guardia Civica. Fra loro non ci sono comunisti. (...) Il 1º maggio, fra lo stupore, che poi diviene costernazione, i "liberatori" che arrivano in città sono i partigiani jugoslavi. (...) Disconoscono i "Volontari della Libertà" e, costringono i partigiani del CLN a rientrare nella clandestinità. Per la parola "Italia", per la Bandiera nazionale e per la Libertà "vera" ci sono soltanto porte chiuse. Per contro "stelle rosse", bandiere rosse con falce e martello e Tricolore con stella rossa al centro vengono imposti ovunque. (...) Dispongono il passaggio all'ora legale per uniformare la Città al "resto della Jugoslavia"! Fanno uno smaccato uso dello slogan Smrt Fazismu - Svoboda Narodu, "Morte al Fascismo - Libertà ai popoli", per giustificare la licenza di uccidere chi si suppone possa opporsi alle mire annessionistiche di Tito. (...) L'otto maggio proclamano Trieste "città autonoma" nella "Settima Repubblica Federativa di Jugoslavia. Sugli edifici pubblici fanno sventolare la bandiera Jugoslava affiancata dal Tricolore profanato dalla stella rossa. L'unico quotidiano è "Il nostro Avvenire", schierato in funzione anti italiana.
  155. ^ Guido Rumici, Fratelli d'Istria. 1945-2000: italiani divisi, Mursia, 2001.
  156. ^ Arrigo Petacco; "L'esodo. La tragedia negata degli italiani d'Istria, Dalmazia e Venezia Giulia"; Mondadori, Milano, 1999
  157. ^ Per un'ampia trattazione dell'argomento si veda Patrick Karlsen, Il PCI , il confine orientale italiano e il contesto internazionale 1941-1955, Tesi di dottorato, Università degli studi di Trieste, 2009.
  158. ^ Dossier Foibe ed Esodo, curato da Silvia Ferretto Clementi, Consigliere Regionale AN-UDC della Lombardia..
  159. ^ Documento video sul "Treno della Vergogna".
  160. ^ Lega Nazionale. Rassegna di articoli apparsi sulla stampa nazionale nell'immediato dopoguerra (archiviato dall'url originale il 7 febbraio 2009).
  161. ^ PMLI Bertinotti attacca le foibe come i fascisti.
  162. ^ Copia archiviata, su anpitreviso.it. URL consultato il 28 settembre 2010 (archiviato dall'url originale il 19 febbraio 2018).
  163. ^ Foibe: il contributo di Adriano Moratto : Anpi Brescia, su anpibrescia.myblog.it. URL consultato il 14 agosto 2023 (archiviato dall'url originale il 17 luglio 2010).
  164. ^ CNJ / "Foibe", "esodo", e neoirredentismo italiano.
  165. ^ Centro studi della Resistenza: saggio sulle foibe.
  166. ^ " Foibe.", in "Enciclopedia Italiana", di Raoul Pupo, (VII Appendice, 2007).
  167. ^ Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell'Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia (IRSREC FVG), Raoul Pupo, Anna Vinci, Gloria Nemec, Vademecum per il Giorno del ricordo (PDF), 2020, ISBN 9788898796199. URL consultato il 27 febbraio 2023.
  168. ^ a b cfr. Pupo/Spazzali, "Foibe", p. 110
  169. ^ a b Pupo, Spazzali, Op. cit., p. 162
  170. ^ Vedere il sopra citato "Rapporto della commissione mista italo slovena"; paragrafo 11.
  171. ^ a b Raoul Pupo; Le stragi del secondo dopoguerra nei territori amministrati dall'esercito partigiano jugoslavo (PDF).
  172. ^ Commissione storico-culturale italo-slovena, Relazioni italo - slovene 1880-1956, su openstarts.units.it. URL consultato il 6 gennaio 2024.
  173. ^ Pupo, Spazzali, p.: « [...] l'eco delle stragi del 1943 e del 1945 fu assai forte presso l'opinione pubblica italiana: da ciò un'immediata esigenza di spiegare l'accaduto, che non poteva non inserirsi nel clima di violente contrapposizioni nazionali e politiche del momento. Così, quasi subito, presero corpo due opposte versioni dei fatti e due letture antagoniste del loro significato, l'una italiana e l'altra jugoslava. Il perdurare delle tensioni italo-jugoslave fino alla seconda metà degli anni cinquanta (la "questione di Trieste" venne risolta nel 1954 e l'esodo degli italiani dall'Istria si concluse non prima del 1956) fece sì che tali interpretazioni "militanti", finalizzate cioè a mettere polemicamente in crisi l'avversario, si consolidassero presso le forze politiche e la pubblica opinione. A tutt'oggi, nonostante esse abbiano dimostrato tutta la loro fragilità sul piano scientifico, continuano a essere largamente diffuse, non solo perché ben radicate nella memoria locale, ma anche perché si prestano a un uso politico che non è mai venuto meno, mentre le semplificazioni, spesso assai grevi, di cui sono intessute, ne favoriscono l'utilizzo da parte dei mezzi di comunicazione.»
  174. ^ Francesco Alberti, Le stragi delle foibe furono violenza di Stato, Corriere della sera, 4 aprile 2001 (archiviato dall'url originale il 6 febbraio 2009).
  175. ^ La Nuova Albarda., In merito al film "Il cuore nel pozzo” ....
  176. ^ il manifesto del 10 febbraio 2009, Articolo (archiviato dall'url originale il 14 febbraio 2010). di Gabriele Poli
  177. ^ il manifesto dell'11 febbraio 2005, " Alle radici dell'odio tragedie incomparabili sull'orlo di una foiba Alle radici dell'odio tragedie incomparabili sull'orlo di una foiba (PDF)." di Enzo Collotti
  178. ^ Fabio Andriola, La Casta e la Storia, in Storia in rete nº 30 dell'aprile 2008 e lefoibe.it
  179. ^ Si veda per esempio il manifesto di Rifondazione Comunista sulla "Memoria delle Foibe" in cui si afferma che le foibe furono solo «l'eliminazione di decine di fascisti e collaborazionisti» assieme ad alcuni «eccessi e vendette personali».

    «Fate pulizia per due, tre giorni, ma al terzo giorno non voglio più vedere morti per le strade»

    Secondo la storica Alessandra Kersevan (cfr. intervista sul periodico TrentaGiorni, febbraio 2007) «Nelle foibe non sono finite donne e bambini, i profili di coloro che risultano infoibati sono quasi tutti di adulti compromessi con il fascismo, per quanto riguarda le foibe istriane del '43, e con l'occupatore tedesco per quanto riguarda il '45. I casi di alcune donne infoibate sono legati a fatti particolari, vendette personali, che non possono essere attribuiti al Movimento di liberazione. Va detto inoltre che i numeri non sono assolutamente quelli della propaganda di questi anni: è ormai assodato che in Istria nel '43 le persone uccise nel corso dell'insurrezione successiva all'8 settembre sono fra le 250 e le 500, la gran parte uccise al momento della rioccupazione del territorio da parte dei nazifascisti; nel '45 le persone scomparse, sono meno di 500 a Trieste e meno di 1000 a Gorizia, alcuni fucilati ma la gran parte morti di malattia in campo di concentramento in Jugoslavia. Uso il termine "scomparsi", ma purtroppo è invalso l'uso di definire infoibati tutti i morti per mano partigiana. In realtà nel '45 le persone "infoibate" furono alcune decine, e per queste morti ci furono nei mesi successivi dei processi e delle condanne, da cui risultava che si era trattato in genere di vendette personali nei confronti di spie o ritenute tali. Insomma se si va ad analizzare la documentazione esistente si vede che si tratta di una casistica varia che non può corrispondere ad un progetto di "pulizia etnica" da parte degli jugoslavi come si è detto molto spesso in questi anni».

  180. ^ Campo sportivo "Martiri delle foibe"? «No, furono un prodotto del fascismo», da il Gazzettino del 31/01/2013, su ilgazzettino.it. URL consultato il 31 gennaio 2013 (archiviato dall'url originale il 14 luglio 2014).
  181. ^ Il titolo completo del libro è infatti: Operazione foibe a Trieste. Come si crea una mistificazione storica: dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo, Udine, Kappavu, 1997. Il libro è pubblicato anche on-line (archiviato dall'url originale il 18 giugno 2008)..
  182. ^ C.Cernigoi, op.cit., Introduzione (archiviato dall'url originale il 12 aprile 2011)..
  183. ^ Anche l'elenco nominativo di questi morti appare on-line (archiviato dall'url originale il 21 marzo 2011)..
  184. ^ L'affermazione è contenuta all'interno delle conclusioni (archiviato dall'url originale il 12 aprile 2011). del II capitolo.
  185. ^ Ivi.
  186. ^ G. Rustia, Contro Operazione foibe a Trieste (PDF)., Trieste, 2000.
  187. ^ G. Rustia, op. cit, pp. 205 ss.
  188. ^ Si possono citare come esempio i casi di Vittorio Cima, Luciano Manzin e Mauro Mauri, che vennero ammazzati e infoibati dopo un processo sommario: per Cernigoi (op. cit, p. 130) i tre erano «tre ferrovieri che avevano rubato generi alimentari nel paese di Opicina» (...) che erano caduti vittime di «vendette personali contro crimini comuni (comunque molto gravi, dato il periodo di ristrettezze generali)»; Rustia (op. cit., p. 34) riportò che i tre - membri della Milizia Ferroviaria - erano stati uccisi con una pistolettata alla nuca e gettati nella foiba di Monrupino essendo stati riconosciuti colpevoli del furto di un maialetto, ma nel gennaio del 1948 la Corte d'Assise di Trieste aveva stabilito che nel processo popolare da essi subito «nessuna prova esisteva al momento di cui si occupa (quello dell'arresto) che valesse a stabilire che autori di questi reati fossero stati i più nominati tre militi. Tutti i derubati hanno affermato di aver subito le rapine ad opera di militi fascisti, ma nessuno ha riconosciuto questi nei tre (...)».
  189. ^ Pupo, Spazzali, pp. 126-127.
  190. ^ Comunicato del direttore in merito al libro "Foibe" di Pupo e Spazzali..
  191. ^ Negazionista!..
  192. ^ Claudia Cernigoi, Emergenza negazionismo a Trieste, in La Nuova Alabarda, marzo 2010..
  193. ^ Rolf Wörsdörfer, Krisenherd Adria 1915-1955, Paderborn, Ferdinand Schöning, 2004, p. 479.. Il testo è stato pubblicato in italiano dalla casa editrice Il Mulino nel 2009, col titolo Il confine orientale. Italia e Jugoslavia dal 1915 al 1955.
  194. ^ Operazione ?Foibe?. Tra storia e mito, su sissco.it.
  195. ^ Stefano Lusa, Foibe. Una storia d'Italia, su balcanicaucaso.org, Osservatorio Balcani e Caucaso, 23 novembre 2009.
  196. ^ P.Mieli, Trieste, la guerra di Tito contro gli antifascisti, in Corriere della Sera, 6 aprile 2010..
  197. ^ R.Spazzali, Pirjevec: le foibe solo propaganda, in Il Piccolo, 13 ottobre 2009.
  198. ^ Il libro dello scandalo che «occulta» le foibe, su nuovarivistastorica.it.
  199. ^ Il riduzionismo di Pirjevec. Foibe, l’orrore non può essere giustificato, su centrorsi.it.
  200. ^ G. Parlato, Dalla Slovenia (via Einaudi) un altro falso storico sulle foibe, in Libero, 13 ottobre 2009. URL consultato il 12 febbraio 2020 (archiviato dall'url originale il 25 febbraio 2020). Ospitato su anvgd.it.
  201. ^ Canto popolare istriano, su ierimodelfilzi.it.
  202. ^ Il brano, più precisamente, diceva: «Se Muja gà dei squeri, Albona gà el carbon, Che per brusar le birbe El pol venir in bon. A Pola xé la rena, La foiba gà Pisin, Per butar zò in quel fondo Chi gà zerto morbin» ...
  203. ^ Cobol italianizzò successivamente il proprio cognome in "Cobolli", aggiungendovi "Gigli", lo pseudonimo che utilizzò dopo il suo arruolamento nel Regio Esercito Italiano.
  204. ^ Pupo, Spazzali, p. 366: «Anche il quotidiano sloveno 'Promorsky Dnevik' se ne occuperà, ma non direttamente almeno in questa fase, limitandosi a commentare gli esiti del dibattito tenuto negli studi di Radio Opcine e a riportare alcune affermazioni degli intervenuti, in modo particolare quella atta a dimostrare l'estraneità da sempre dalla cultura slovena e croata del termine 'foibe'; termine, secondo i conduttori della trasmissione, introdotto a pieno titolo dalla cultura fascista, se risulta vera, come appare, la citazione di uno scritto risalente al 1932 di Giuseppe Cobol-Cobolli sulla storia della 'Foiba' di Pisino, 'degno posto di sepoltura (...), e ciò riferito agli equilibri tra i centri urbani e le campagne croate.» (si veda 'Primosky Devik', Kdo se Koga in Kdaj (Chi, a chi e quando), di Stanilav Renko, 30 aprile 1987)
  205. ^ Giulio Italico (Giuseppe Cobol), Guida descrittiva di Trieste (la Fedele di Roma) e l'Istria (Nobilisima)., Torino, 1919 (riedita a Trieste nel 1923), pp. 199-200
  206. ^ Su "Gerarchia", IX, 1927
  207. ^ Da osservare, di nuovo, che Cobolli si riferisce all'abisso noto come "Foiba di Pisino" e non alle "foibe" in generale.
  208. ^ Elio Apih, Le foibe giuliane, Libreria Editrice Goriziana, 2010, p. 15 ISBN 978-88-6102-078-8: «[...] ripetutamente è stata ricordata una canzonetta istriana, di Pisino, dove appunto scorre il torrente "Foiba", quale primo incitamento a "infoibare" [...] Si tratta di una canzonetta presentata, all'inizio del secolo, ad un concorso della Lega Nazionale [...], testimonianza letteraria di un sentimento di ostilità, espresso scherzosamente, ma con un sentimento meno scherzoso (?), benché ciò si dica in retroprospettiva, prima mai. Cattiva letteratura, anche se popolare, certo; ma naturalmente non è nella letteratura la matrice dei fatti di "infoibamento"»; p. 21: « [...] la documentazione letteraria - se tale vogliamo considerare la canzonetta - non rappresenta un precedente, era solo un vago richiamo psicologico.»
  209. ^ Intervento al convegno "La guerra è orrore - Le foibe tra fascismo, guerra e resistenza", Venezia, 13 dicembre 2003 (convegno organizzato da Rifondazione Comunista)[3][4][5]
  210. ^ Articolo, su anpipianoro.it (archiviato dall'url originale il 6 febbraio 2009). di Giacomo Scotti su il manifesto di venerdì 4 febbraio 2005 (contiene le medesime tesi esposte al convegno "La guerra è orrore...). Lo Scotti afferma precisamente: «La canzoncina di Sua Eccellenza (testo dialettale e traduzione italiana a fronte) diceva: "A Pola xe u'Arena/ la Foiba xe a Pisin:/ che i buta zo' in quel fondo/ chi gà certo morbin". (A Pola c'è l'Arena,/ a Pisino c'è la Foiba:/ in quell'abisso vien gettato/ chi ha certi pruriti). Dal che si vede che il brevetto degli infoibamenti spetta ai fascisti e risale agli inizi degli anni Venti del XX secolo. Purtroppo essi non rimasero allo stato di progetto e di canzoncine. Riportiamo qui, dal quotidiano triestino Il Piccolo del 5 novembre 2001, la testimonianza di Raffaello Camerini, ebreo, classe 1924...»
  211. ^ it.cultura.storia.narkive.com, https://it.cultura.storia.narkive.com/4c6D5nMB/la-testimonianza-di-un-ebreo-istriano.
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  216. ^ vedi Federico Vincenti, Quando si cominciò a parlare di Foibe? (PDF), in Patria indipendente, 19 settembre 2004. URL consultato il 12 dicembre 2011 (archiviato dall'url originale il 19 ottobre 2007). che rilancia l'ipotesi di Scotti
  217. ^ J. Pirjevec, Op. cit., p.34.
  218. ^ Si veda, Elio Apih, Op. cit, pp. 26-30, 58-60, dove l'autore fa una descrizione dei possibili precursori delle foibe senza mai menzionare gli episodi descritti dal Camerini; in particolare a p. 36: « [...] come e dove avviene l'infoibamento nella Venezia Giulia? C'è qualche antecedente rispetto all'8 settembre 1943 [...] (N.d.R: si cita quindi l'eccidio di Podhum, del 23 maggio 1943, dove si utilizzarono foibe come fossa comune, quindi un eccidio di zingari, in data e luogo incerti, ad opera di Ustascia croati; entrambi i fatti avvennero in Croazia.» Di nuovo nessun riferimento alla testimonianze del Camerini).
  219. ^ Elio Apih, Op. cit., p. 23, «Ma c'è un altro aspetto, del tutto pratico, che spiega le "foibe" [...]. { la loro potenziale funzione di "discarica mortuaria" che ha altro significato del termine "camera mortuaria" [...] utili sia per esigenze di occultazione dei cadaveri, che per esigenze di liberarsi dai... prodotti di un eccidio. Da tenere presente la particolare natura del terreno istriano e carsico, sassoso e con poco manto, che rende laborioso e difficile scavare fosse comuni [...]. Le "foibe" come soluzione pratica come soluzione pratica per liberarsi dei cadaveri senza scavare fosse.»
  220. ^ Raoul Pupo, La tragica scelta tra foibe ed esilio, in Il Giornale, 17 maggio 2005. URL consultato il 12 dicembre 2011.: «Episodicamente, le foibe furono usate come barbare sepolture anche in altri casi: forse dai fascisti nel '42 e nel '43, sicuramente dai partigiani jugoslavi negli ultimi anni di guerra. Ma il punto non sta in una tecnica di omicidio diffusa in tutta l'area jugoslava: il punto sta nella strage di fasce di popolazione inerme, nell'inserirsi della violenza politica programmata sul terreno di odi nazionali, contrapposizioni ideologiche e rancori personali creatosi nei precedenti decenni.»
  221. ^ Fisicamente.net - 16-02-2005 L'ispettorato speciale di pubblica sicurezza (archiviato dall'url originale il 23 luglio 2011).
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  235. ^ Tale amnistia promulgata con il D.P.R. 22 giugno 1946, n. 4, il cui testo è disponibile sul sito della Corte suprema di cassazione all'indirizzo: Copia archiviata, su italgiure.giustizia.it. URL consultato il 9 settembre 2007 (archiviato dall'url originale il 30 settembre 2007)., comprendeva i reati comuni e politici, compresi quelli di collaborazionismo con il nemico e reati annessi ivi compreso il concorso in omicidio, pene allora punibili fino a un massimo di cinque anni. I reati commessi al Sud dopo l'8 settembre 1943 e l'inizio dell'occupazione militare alleata al Centro e al Nord. Anno 1946-1947, su fondazionecipriani.it (archiviato dall'url originale il 4 settembre 2007).
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  238. ^ A tal proposito sono stati scritti libri di denuncia, come Italiani senza onore. I crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951) a cura di C. Di Sante.
  239. ^ Art. 45 del Trattato di pace fra l'Italia e le Potenze Alleate ed Associate - Parigi, 10 febbraio 1947
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  246. ^ Nel 1946 la Venezia Giulia non faceva ancora parte dell'Italia, poiché inserita nell'area di occupazione militare alleata, costituita dalla Zona A e nella Zona B, stabilite dagli accordi di Belgrado del 9-12 giugno 1945 e separate dalla Linea Morgan.
  247. ^ Nazario Sauro Onofri, Il triangolo rosso, su storiaememoriadibologna.it, marzo 2007. URL consultato il 17 giugno 2023. — Tra gli allegati del saggio storico di Nazario Sauro Onofri vi è anche la copia del documento del Ministero degli Interni, del 1946, indicante il numero delle persone che risultavano uccise o scomparse in varie province d’Italia poiché politicamente compromesse con il regime fascista
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