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Legge Tatarella

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Legge Tatarella
Titolo estesoLegge n. 43 del 23 febbraio 1995 "Nuove norme per la elezione dei consigli delle regioni a statuto ordinario"
StatoItalia (bandiera) Italia
Tipo leggeLegge ordinaria
LegislaturaXII
ProponenteGiuseppe Tatarella
SchieramentoFI, AN
Promulgazione23 febbraio 1995
A firma diOscar Luigi Scalfaro
Testo
Legge n°43 del 23 febbraio 1995

La legge Tatarella (giornalisticamente chiamata anche Tatarellum) è la legge n. 43 del 23 febbraio 1995, concepita per regolare il sistema elettorale delle regioni italiane a statuto ordinario e in seguito recepita anche da tre regioni a statuto speciale. Prende il nome dal suo primo firmatario, il deputato di Alleanza Nazionale e già ministro Giuseppe Tatarella, e fu ideata per imprimere una svolta in senso maggioritario e presidenziale al sistema di governo regionale in Italia.

Con la concessione alle regioni di adottare la propria legge elettorale regionale (con certe limitazioni), la legge è ormai applicata solamente nei casi residuali.

Il sistema politico italiano conobbe nei primi anni novanta il più grande e rapido sconvolgimento mai visto nell'Europa democratica dopo la fine della seconda guerra mondiale. Il crollo del muro di Berlino, la rapida ascesa delle leghe regionaliste e lo scoppio dello scandalo di Tangentopoli, avevano messo in totale crisi il sistema di potere imperniato da cinquant'anni sulla Democrazia Cristiana, aprendo una stagione di riforme elettorali in senso bipolare. Dopo il cambiamento delle leggi elettorali per i Comuni, le Province ed il Parlamento nel 1993, le Regioni rimanevano l'unico organismo di governo ancora ancorato ad un meccanismo proporzionalistico ed assembleare. Differentemente dal caso degli enti locali, però, a fare da ostacolo a possibili riforme vi era il dettato della Costituzione del 1948, che imponeva la nomina del Presidente della Regione da parte del Consiglio Regionale. In più, le elezioni politiche anticipate del 1994 resero del tutto improbabile l'ipotesi di una riforma costituzionale in tempo per il previsto appuntamento elettorale regionale della primavera del 1995.

Fu così che nel parlamento della XII legislatura maturò un'intesa bipartisan fondata sul comune accordo per non lasciare le Regioni in un contesto elettorale oramai avulso rispetto a quello degli altri livelli governativi. La nuova normativa risentì tuttavia dell'obbligata fretta con cui fu concepita, essendo stata emanata solo esattamente due mesi prima delle elezioni regionali del 1995 e giocoforza non potendo prevedere esplicitamente l'elezione diretta del Presidente regionale, fu strutturata in maniera diversa e disorganica rispetto alla legge elettorale comunale e provinciale approvata due anni prima. La legge così non si presenta come una normativa elaborata ex novo, ma formalmente risulta una modifica della previgente ed originaria legge elettorale proporzionale, la n. 108 del 17 febbraio 1968.

Revisioni costituzionali

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Il quadro disegnato dalla legge in oggetto fu ulteriormente precisato mediante la revisione del dettato costituzionale. La legge costituzionale n. 1 del 1999 modificò il testo della Costituzione prevedendo l'elezione diretta dei presidenti delle Regioni a statuto ordinario in vista della successiva tornata elettorale del 2000. Ogni Regione ha invero la facoltà di ritornare ad un modello parlamentare di governo, ma per farlo deve operare una modifica del proprio Statuto: ad oggi, nessuna Regione ha abbandonato il sistema presidenziale. Il nuovo testo costituzionale impone anche che, qualora il Presidente sia eletto direttamente dai cittadini, il Consiglio regionale possa sì licenziarlo, ma solo tramite una mozione di sfiducia distruttiva e la conseguente convocazione di nuove elezioni anche per l'organo assembleare (simul stabunt, simul cadent).

Per quanto riguarda le Regioni autonome, la nuova normativa fu invece introdotta dalla legge costituzionale n. 2 del 2001, che estese in pratica tutte le suddette regole, sia in tema di elezione diretta dei presidenti sia il meccanismo elettorale previsto dal Tatarellum, alla Sicilia, alla Sardegna e al Friuli-Venezia Giulia. Per ciò che concerne invece il Trentino-Alto Adige, la revisione in oggetto ridusse di fatto l'ente ad una confederazione fra le due Province autonome di Trento e Bolzano: il Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige divenne semplicemente l'unione dei due Consigli provinciali, mentre il Presidenti del Trentino-Alto Adige divenne a turno uno dei due Presidenti delle Province autonome. Solo la Provincia di Trento decise di applicare il modello di elezione popolare del presidente già descritto, mentre in Provincia di Bolzano tale possibilità venne solo lasciata come eventualità da decidersi discrezionalmente. Anche per la Valle d'Aosta la decisione su un eventuale passaggio ad un sistema presidenziale fu rimessa alle valutazioni del Consiglio della Valle.

Funzionamento

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La legge Tatarella, integrata dalle suddette revisioni costituzionali, prevede l'elezione diretta e congiunta del Presidente della Regione e del Consiglio regionale. Strutturata su un turno unico di votazioni, pone in essere un sistema elettorale misto che attribuisce l'80% dei seggi consiliari con un meccanismo proporzionale con voto di preferenza, e il 20% con un metodo maggioritario plurinominale.

La scheda elettorale, di colore verde, è unica e comprende sia i candidati alla presidenza sia le liste provinciali (o regionali). Ogni lista deve collegarsi ad un candidato presidente[1], e sono anche possibili coalizioni tra più liste ed un unico candidato presidente. La coalizione assume rilevanza solo per la determinazione del premio di maggioranza; per le minoranze, l'attribuzione dei seggi è effettuata con solo riguardo ai risultati elettorali delle singole liste. L'elettore può esprimere due voti, uno per un candidato presidente ed uno per una lista provinciale, oppure solo un voto per un candidato presidente. Se l'elettore esprime solo un voto per una lista provinciale, un ulteriore voto viene attribuito automaticamente al candidato presidente ad essa collegato. È ammesso il voto disgiunto, il cosiddetto panachage: l'elettore può indicare un candidato alla presidenza ma preferire una lista non a lui collegata.

La componente proporzionale ripete pedissequamente il previgente meccanismo che, nell'originale legge del 1968, disegnava il frazionamento delle intere assisi consiliari, salvo l'introduzione della preferenza unica. Il territorio regionale viene diviso in varie circoscrizioni elettorali corrispondenti alle province[2]. In ogni circoscrizione, la suddivisione dei seggi fra le liste avviene col metodo Hagenbach-Bischoff dei quozienti interi, e i candidati sono dichiarati eletti nell'ordine delle preferenze ricevute. I voti residuati ed i seggi non assegnati passano tutti nel collegio unico regionale, dove vengono ripartiti col metodo Hare dei quozienti interi e dei più alti resti: gli scranni così ottenuti da ogni partito vengono immediatamente riportati a livello provinciale in base ai maggiori resti percentuali di ogni singola lista locale. Questo sistema implica matematicamente la possibile variazione dei seggi originariamente assegnati alle singole circoscrizioni.

La novità introdotta dal Tatarellum sono invece i listini regionali, cui vengono riservati di base un quinto dei seggi consiliari, che vengono allocati in modo maggioritario. Il capolista del listino che ottiene il maggior numero di voti è eletto alla presidenza della Regione mentre, come regola generale, tutti gli altri candidati divengono consiglieri. La legge prevede tuttavia una serie di casi particolari:

  • nel caso in cui la maggioranza vinca le elezioni con un'alta percentuale, scatta un meccanismo di tutela delle minoranze. Se le liste provinciali ottengono già da sole un numero di seggi pari alla metà del totale complessivo dell'assemblea (evento che si verifica, tenuto conto di una certa approssimazione dovuta al gioco dei resti, quando le liste di maggioranza abbiano ottenuto più del 62,5% dei voti), non vi è nessun premio di maggioranza, anzi scatta una specie di correzione minoritaria: gli scranni originariamente riservati alla quota maggioritaria vengono divisi a metà, la prima parte corrispondente ai candidati del listino regionale vincitore meglio iscritti in elenco, e la seconda parte distribuiti proporzionalmente alle minoranze nel collegio unico regionale e quindi, di rimando, nelle relative liste circoscrizionali;
  • nel caso in cui invece la maggioranza abbia goduto di un consenso solo relativo nel corpo elettorale, la legge interviene in modo che si generi comunque una stabile maggioranza assoluta in Consiglio: in particolare, se il listino ha superato i due quinti delle preferenze complessive, alla maggioranza debbono essere garantiti i tre quinti dei seggi consiliari, in caso contrario la soglia si abbassa al 55% degli scranni. A tal fine, vengono creati dei seggi supplementari che innalzano la dotazione originaria del Consiglio fino al conseguimento delle suddette maggioranze; gli scranni così creati sono distribuiti proporzionalmente alle liste vincitrici nel collegio unico regionale e quindi, di rimando, nelle relative liste circoscrizionali.

Le citate revisioni costituzionali del 1999 e del 2001 diedero alle singole Regioni la possibilità di varare una propria normativa elettorale.

La Calabria ha emanato la legge regionale nº1 del 7 febbraio 2005 che, fermo restando il quadro generale del Tatarellum, ha introdotto una soglia di sbarramento unica al 4% per accedere alla ripartizione dei seggi in sede circoscrizionale. Tale disposizione annulla quella originaria della legge del 1995, facilmente aggirabile dalle liste riunendosi in coalizione. Nel 2010 è stata ulteriormente modificata la legge regionale abolendo il listino, sostituendolo con la distribuzione in ambito provinciale dei consiglieri del premio di maggioranza.

La riforma è stata modificata il 3 giugno 2014 quando, in occasione della delibera di riduzione del numero dei seggi, il consiglio ha approvato le seguenti varianti alla legge elettorale: l'abolizione dei collegi provinciali di Crotone e Vibo Valentia aggregati a Catanzaro, la riesumazione di un listino legato al presidente con sei candidati, l'abolizione del voto disgiunto, una soglia di sbarramento unica del 4% per le singole liste. Le modifiche sono state impugnate dal Governo per presunte violazioni della Costituzione. L’accordo è stato trovato con le modifiche dell'11 settembre: introdotta una soglia di sbarramento all'8% per le coalizioni, il premio di maggioranza viene calcolato in un collegio regionale virtuale e quindi distribuito fra le liste interprovinciali.

La Puglia ha emanato la legge regionale nº2 del 9 febbraio 2005 che ha abrogato il listino regionale bloccato, sostituendolo con un premio di maggioranza da calcolarsi solo fra le liste vincitrici e all'interno del collegio unico regionale. Tali scranni sono ripartiti col metodo Hare, non prima però di aver riservato un seggio al presidente eletto; i posti così generati sono riportati poi a livello circoscrizionale con la stessa procedura prevista per il recupero dei resti dalla legge del 1968. La normativa pugliese ha anche disposto l'introduzione di una soglia di sbarramento unica al 4% a partire dalle elezioni regionali del 2010.

Nuovi cambiamenti sono stati introdotti dalla legge regionale nº7 del 10 marzo 2015 la quale, oltre ad un diverso percorso tecnico per l'allocazione dei seggi a livello provinciale, ha innalzato all'8% la soglia di sbarramento per i partiti autonomi, e ha leggermente modificato l'ampiezza del premio di maggioranza a seconda dei voti acquisiti.

La Toscana ha operato una totale revisione della normativa in materia, emanando la legge regionale nº25 del 13 maggio 2004. Tale legge abrogò il Tatarellum e, pur mantenendone le finalità politiche presidenzialiste e maggioritarie, lo sostituì con un testo riscritto ex novo. La legge toscana non prevede più listini, bensì un meccanismo di candidati regionali e provinciali, alza al 45% la soglia di voti necessari per ottenere il 60% dei seggi (nel caso il 45% non sia raggiunto i seggi assegnati sono il 55%), introduce una soglia di garanzia delle minoranze che non possono scendere sotto il 35% degli scranni anche se ricevono meno voti, blocca le liste abolendo il voto di preferenza. I seggi vengono assegnati col metodo D'Hont a livello regionale e poi distribuiti ai vari partiti nei listini provinciali. Per le elezioni del 2005 la legge prevedeva uno sbarramento del 2% per le forze coalizzate e del 4% per le liste che correvano da sole, dalle elezioni del 2010 si applica uno sbarramento al 4% per tutte le liste.

Tale normativa fu lo spunto su cui venne congegnata poi la Legge Calderoli che normò le elezioni nazionali a partire dal 2006:[3] cancellata quest'ultima a livello nazionale, la maggioranza di centro-sinistra alla guida della Regione si trovò per coerenza nella necessità di cambiare anche la legge elettorale locale. La legge regionale nº51 del 26 settembre 2014 ha introdotto, caso unico in Italia, l'eventualità del ballottaggio qualora nessun candidato alla presidenza raggiunga i due quinti dei suffragi. Viene reintrodotto il voto di preferenza, con doppia scelta di genere, salvo la possibilità per ogni coalizione di indicare tre candidati regionali comunque eletti. La soglia di sbarramento è stata portata al 3% per i partiti coalizzati e al 5% per quelli autonomi. Il premio di maggioranza è di 24 seggi per chi superi i nove ventesimi dei voti, o di 23 seggi negli altri casi. Per il Presidente è stato creato un seggio aggiuntivo.

La legge costituzionale nº2 del 2001 dispose l'uso del Tatarellum in Sicilia in via transitoria e solo per le elezioni dello stesso anno, sospendendo la locale normativa datata 1951.

L'Assemblea Regionale Siciliana intervenne comunque con propria legge (l.r. nº7 del 3 giugno 2005)[4], che operò sul resuscitato quadro proporzionalista del 1951, avvicinandolo al modello nazionale ma discostandosene sostanzialmente in più punti. Sono ora solo 80 su 90 i seggi regolamentati dalla vecchia normativa proporzionale, che aveva la particolarità di operare solamente nei collegi a livello provinciale, anche per il recupero dei resti generati dal metodo Hare, mentre la significativa novità è l'introduzione di uno sbarramento unico settato al 5% a partire dalle elezioni del 2006. Riservato uno scranno per il capo dell'opposizione (il candidato a presidente non eletto più votato), il listino regionale copre un decimo dei seggi assembleari, e viene utilizzato solo se non raggiunge il 54% dei voti, e fino alla concorrenza di una maggioranza parlamentare pari ai tre quinti degli eletti, in quel caso distribuendo il resto alle opposizioni. Si noti come, stante il vincolo statutario sull'ampiezza dell'assemblea, non è garantita al presidente eletto la formazione di una propria stabile maggioranza: se i seggi proporzionali e maggioritari conseguiti dalle sue forze politiche non bastano, deve rassegnarsi a guidare un governo di minoranza. L'intero impianto fu sottoposto a un referendum che diede esito positivo.

Friuli-Venezia Giulia

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Essendo il Friuli-Venezia Giulia una regione a statuto speciale, il Consiglio regionale, dopo l'entrata in vigore della legge costituzionale del 2001, votò l'11 marzo 2002 una legge regionale elettorale che manteneva l'elezione indiretta del Presidente della Regione, ma la legge venne bocciata da referendum popolare e perciò non entrò mai in vigore. Pertanto le elezioni del 2003 si tennero in base alla norma transitoria contenuta nella legge costituzionale del 2001. La legge regionale elettorale definitiva è giunta nel 2007, che adottò l'elezione diretta del Presidente e un sistema di tipo maggioritario per il Consiglio con un premio di maggioranza a favore delle liste che prima delle elezioni dichiarano di appoggiare il Presidente eletto.

Dopo quasi vent'anni di applicazione integrale della normativa nazionale, la Lombardia è intervenuta con la propria legge regionale nº17 del 31 ottobre 2012[5] in funzione del voto anticipato resosi necessario per il 2013. La normativa posta in essere ha carattere prioritario: le disposizioni della legislazione nazionale restano in vigore solo in quanto non incompatibili con quelle regionali. L'esplicita finalità della riforma è stata quella di assegnare il premio di maggioranza tramite un percorso diverso dal listino regionale bloccato, riportando nelle mani degli elettori, tramite il voto di preferenza, l'individuazione di tutti i consiglieri eletti: il risultato è stato un meccanismo molto simile a quello che regola la ripartizione dei seggi nelle elezioni comunali e provinciali.

Tutti i principali esiti del voto sortiscono ora dal collegio unico regionale, che diviene l'ambito in cui integralmente si determina l'esito politico del voto, mentre alle circoscrizioni provinciali è attribuita solamente la funzione di scegliere i candidati vincenti all'interno di ciascun partito. Rispettando i premi di maggioranza del Tatarellum, ma tenendo conto della natura aggiuntiva ora assunta dal seggio coperto dal Presidente della Regione, la coalizione vincente consegue automaticamente 45 seggi complessivi[6] se il Presidente vince con meno del 40% dei voti, o almeno 49 seggi se il Presidente supera tale soglia,[7] mai però andando oltre i 57 seggi, oltre i quali scatta una clausola di salvaguardia delle minoranze.[8] Rispettando i paletti appena esposti, e ricordando le piccole soglie di sbarramento del Tatarellum,[9] i seggi fra le liste sono suddivisi col metodo D'Hondt delle migliori medie, tenendo presente che i partiti di maggioranza sono qui considerati come un blocco unico, mentre quelli di minoranza sono presi singolarmente; la ripartitizione fra le forze vincenti avviene solo successivamente, utilizzando invece il metodo dei più alti resti con quoziente Droop. Essendosi quindi già deciso l'esito delle elezioni, si distribuiscono ora i seggi vinti da ciascun partito all'interno delle circoscrizioni provinciali secondo i principi che nel Tatarellum regolavano l'assegnazione dei resti, tenendo presente che nessuna provincia può rimanere senza rappresentanza, e che al candidato giunto secondo nella corsa alla presidenza è attribuito il peggior seggio della sua coalizione.[10]

L'8 luglio 2023, dopo ripetuti tentativi nel corso degli anni, il Piemonte ha approvato la propria legge elettorale regionale.[11] La legge mantiene il presidenzialismo e adotta un sistema elettorale misto (40 seggi proporzionali e 10 con listino maggioritario del presidente), che tuttavia prevede dei correttivi che garantiscono al presidente eletto di disporre sempre della maggioranza in consiglio regionale, e garantisce un minimo di seggi all'opposizione. In particolare prevede:

  • Che alle liste collegate al Presidente che abbia raccolto meno del 45% dei voti siano garantiti almeno il 55% dei seggi;
  • Che alle liste collegate al Presidente che abbia raccolto tra il 45% e il 60% dei voti siano garantiti almeno il 60% dei seggi;
  • Che alle liste collegate al Presidente che abbia raccolto più del 60% dei voti siano garantiti almeno il 64% dei seggi;
  • Che almeno il 40% dei seggi siano garantiti alle liste di minoranza se il presidente è stato eletto con meno del 60% dei voti;
  • Che almeno il 36% dei seggi siano garantiti alle liste di minoranza se il presidente è stato eletto con più del 60% dei voti.
  • Che il numero di seggi trasferiti dalla maggioranza all'opposizione non possano mai essere più di 5.

La legge stabilisce inoltre un meccanismo di consiglieri "panchinari", che prendono il posto dei consiglieri che diventano assessori (i quali vengono sospesi dal consiglio).

Una legge regionale emanata nel 2013 ha inserito nello Statuto della regione Abruzzo le seguenti modifiche al Tatarellum: abolizione del listino, sbarramento al 4% sia per le liste non coalizzate che per le coalizioni, divieto di voto disgiunto, rappresentanza per sesso non inferiore al 40% all'interno delle liste. I 31 consiglieri sono così suddivisi: il presidente della Giunta, il primo dei candidati presidente non eletto, 8 consiglieri per la provincia di Chieti e 7 ciascuno per le province di L'Aquila, Pescara, Teramo.

Emilia-Romagna

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In Emilia-Romagna una nuova legge elettorale, la L.R. nº21/2014, è stata approvata dall'Assemblea legislativa nel luglio 2014, abolendo il listino bloccato[12][13]. Le prime elezioni regolate da questa legge sono state le elezioni regionali del 2014.

L'elettore può esprimere uno o due voti di preferenza per i candidati della lista prescelta; nel caso dell'espressione di due preferenze, queste devono riguardare candidati di sesso distinto secondo la "preferenza di genere" (pena l'annullamento della seconda preferenza). Per quanto riguarda l'elezione dei consiglieri, la legge garantisce in ogni caso almeno 27 seggi alle liste che sostengono il presidente eletto (premio di maggioranza), ottenendo effetti del tutto simili a quelli del listino ma agendo sulle liste provinciali. I primi 40 seggi vengono distribuiti con metodo proporzionale. Un seggio è poi attribuito al candidato presidente arrivato secondo. I restanti 9 seggi sono assegnati tramite metodo maggioritario alle liste che appoggiano il presidente eletto nel caso queste liste abbiano ottenuto meno di 25 seggi con la procedura precedente, altrimenti il "premio" sarà di soli 4 seggi. Se, al termine di queste assegnazioni, le liste di maggioranza non avessero ottenuto almeno 27 seggi, questi verranno garantiti togliendo alcuni fra i seggi già attribuiti alle liste di opposizione.[14]

L'Umbria è intervenuta in materia tramite la legge regionale 23 febbraio 2015 nº4, tramite la quale è stato abolito il listino, stabilendo la percentuale fissa del 60% dei seggi per la coalizione di maggioranza. La riforma ha anche introdotto la doppia preferenza di genere ed il collegio unico regionale, e abolito il voto disgiunto.[15]

Dopo un primo intervento nel 2009 ad introdurre la doppia preferenza di genere, la legge regionale è stata modificata in vista delle elezioni del 2015 abolendo il listino e stabilendo al suo posto una percentuale fissa del 60% dei seggi per la coalizione di maggioranza.[16]

Il Veneto ha emanato la legge regionale 16 gennaio 2012 nº5, che ha abolito il listino a favore di una premio di maggioranza variabile alle liste provinciali vincitrici, che ottengono da un minimo dei 55% ad un massimo del 60% dei seggi a seconda dei voti ricevuti.

La legge regionale nº5 del 20 febbraio 2015 ha abolito il listino, sostituendolo con un premio di maggioranza alle liste che è tuttavia concepito in natura decrescente: per ottenere il massimo dei tre quinti dell'assise è necessario superare i due quinti dei suffragi, mentre al di sotto del 34% dei voti non esiste addirittura più premio, non garantendo quindi più la governabilità della Regione. Il voto disgiunto è stato abolito.

La Liguria costituisce l'unico caso di variazione implicita della legge elettorale, insieme alla Basilicata. Pur non avendo infatti formalmente modificato il Tatarellum, in occasione delle elezioni del 2015 la ridefinizione per diminuzione del numero dei seggi ha comportato il blocco della norma che garantiva in ogni caso la maggioranza al Presidente mediante l'eventuale crescita della numerosità dell'assise.

La legge regionale 20/17 ha così modificato il Tatarellum: collegio unico regionale per l'elezione dei 21 consiglieri (tra cui il presidente e il primo candidato presidente perdente), abolizione del voto disgiunto, sbarramento al 3% per le liste all'interno di una coalizione e al 10% per le liste non coalizzate, premio di maggioranza tra 12 e 14 consiglieri alla coalizione più votata, presenza massima nelle liste del 60% di un sesso rispetto all'altro, con possibilità della doppia preferenza di genere.

La legge regionale nº10 del 2017 ha abolito il listino, stabilendo che il premio di maggioranza di un quinto dei seggi sia assegnato in una seconda suddivisione proporzionale limitata tuttavia ai soli partiti collegati al presidente eletto. Il premio può portare tuttavia la maggioranza solo fino a 30 seggi complessivi, oltre i quali si distribuiscono i restanti scranni alle minoranze. Non essendo più previsti seggi supplementari, al presidente non è più garantita la maggioranza in caso di elezione con un basso numero di voti. Sono state introdotte le quote rosa e la rappresentanza obbligatoria di tutte le province. Viene sancita l'ineleggibilità dei sindaci delle città e dei presidenti delle province, oltre al limite di due mandati presidenziali.[17]

La legge statutaria nº1 del 2013 ha raccolto le finalità del Tatarellum. I partiti si riuniscono in coalizioni collegate ad un candidato presidente. Il premio di maggioranza è del 55% se la vittoria è inferiore ai due quinti dei votanti, e del 60% se maggiore. Nessun premio di maggioranza viene però assegnato se il presidente è eletto con meno del 25%. La soglia di sbarramento è al 10% per le coalizioni, e al 5% per i partiti che non raggiungono la precedente condizione. La suddivisione fra i partiti avviene col metodo Hare, preservando un seggio per il presidente e uno per il suo principale sfidante. Ci sono norme per la rappresentanza di genere.

Riferimenti normativi

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  1. ^ La legge n. 43 del 1995 "prescriveva la mera indicazione sulla scheda del capolista (articolo 2 comma 1 secondo periodo: Alla destra di tale rettangolo è riportato il nome e cognome del capolista della lista regionale collegata, affiancato dal contrassegno o dai contrassegni della medesima lista regionale). Si trattava di fatto dell'indicazione del candidato Presidente della Giunta": Giampiero Buonomo, Titolo V e "forme di governo": il caso Abruzzo (dopo la Calabria), in Diritto e Giustizia on-line: 25/9/2003.
  2. ^ Eccetto il Friuli-Venezia Giulia, dove fin dalle prime elezioni regionali fu prevista una circoscrizione separata per la Carnia, e in generale non c'era perfetta corrispondenza fra i confini circoscrizionali e quelli provinciali.
  3. ^ Calderoli: «C'è accordo sulla legge elettorale», in Corriere della Sera, 27 settembre 2005.
  4. ^ [1]
  5. ^ Consiglio Regionale della Lombardia, su consiglionline.lombardia.it. URL consultato il 6 febbraio 2013 (archiviato dall'url originale il 14 gennaio 2013).
  6. ^ Rispettando il premio del 55% previsto in tal caso dal Tatarellum, ma partendo solo dai 79 seggi attribuiti ai partiti e arrotondando il tutto per eccesso, si ottengono 44 seggi ai partiti vincenti più 1 al presidente.
  7. ^ In tal caso si rispetta la soglia del 60% dei seggi prevista dal Mattarellum, fermi restanti i principi di cui sopra.
  8. ^ Questa regola che pone ai vincitori un tetto del 70% dei seggi, sempre calcolati sui principi di cui sopra, non è prevista dal Tatarellum, ma è ripresa da altre normative locali, come quella per l'elezione del Consiglio Provinciale del Trentino.
  9. ^ Soglie pari al 5% dei voti per le coalizioni, fermo restando che tutti i partiti con più del 3% accedono comunque al riparto.
  10. ^ Il principio è uguale a quello che nella legislazione comunale attribuisce un seggio della propria coalizione al candidato sindaco perdente.
  11. ^ Piemonte, approvata la nuova legge elettorale - Consiglio Regionale - Ansa.it, su Agenzia ANSA, 7 luglio 2023. URL consultato l'8 giugno 2024.
  12. ^ Approvata la nuova legge elettorale dell'Emilia-Romagna. Fonte: portale istituzionale E-R. Archiviato il 16 ottobre 2014 in Internet Archive.
  13. ^ LEGGE REGIONALE 23 luglio 2014, n. 21 sul sito della Regione Emilia-Romagna
  14. ^ Tali seggi aggiuntivi vengono tolti alle liste circoscrizionali non collegate al candidato alla carica di Presidente eletto, LEGGE REGIONALE 23 luglio 2014, n. 21, Art. 13, Comma 2, lettera f.
  15. ^ Copia archiviata, su consiglio.regione.umbria.it. URL consultato il 3 giugno 2015 (archiviato dall'url originale il 19 aprile 2015).
  16. ^ Copia archiviata, su consiglio.regione.campania.it. URL consultato il 4 giugno 2015 (archiviato dall'url originale il 14 giugno 2015).
  17. ^ Consiglio del Lazio

Collegamenti esterni

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  • Testo integrale della Legge 43/1995 [collegamento interrotto], su guide.dada.net.
  • Testo integrale della Legge Costituzionale 1/1999 [collegamento interrotto], su guide.dada.net.
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