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Come in uno specchio

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Come in uno specchio
Harriet Andersson
Titolo originaleSåsom i en spegel
Paese di produzioneSvezia
Anno1961
Durata89 min
Dati tecniciB/N
Generedrammatico
RegiaIngmar Bergman
SoggettoIngmar Bergman
SceneggiaturaIngmar Bergman
FotografiaSven Nykvist
MontaggioUlla Ryghe
MusicheJohann Sebastian Bach Erik Nordgren
Interpreti e personaggi
Doppiatori italiani

Come in uno specchio (Såsom i en spegel) è un film del 1961 scritto e diretto da Ingmar Bergman, vincitore dell'Oscar al miglior film straniero.

Il titolo del film è preso da un verso della Prima lettera ai Corinzi, dove Paolo di Tarso dice: «Adesso noi vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; allora vedremo faccia a faccia» (Capitolo 13, Verso 12)[1].

La pellicola inaugura la cosiddetta trilogia "religiosa" di Bergman, dove il regista si addentra in profondità nei meandri del "problema religioso". La trilogia, composta oltre che dal film in oggetto da Luci d'inverno e da Il silenzio, sarà completata nel breve arco di due anni, ma resterà parte fondamentale del "corpus" dell'opera bergmaniana.

Una famiglia è in vacanza sull'isola di Fårö (situata nel Baltico, a nord-est di Gotland): si tratta di due sposi, Martin e Karin, del giovane Minus, fratello di Karin, e del padre dei due, David. La ragazza è appena uscita da un ospedale psichiatrico, e il padre riesce a vedere nella sua malattia soprattutto uno spunto letterario per il suo lavoro di scrittore. Il marito di Karin è un medico dal temperamento razionale, che non si accorge delle attenzioni morbose della moglie verso il giovane Minus, al quale la donna confida le proprie allucinazioni a sfondo mistico-religioso. Ogni personaggio legge nell'animo degli altri ("come in uno specchio") la realtà del disagio, dell'incomprensione e del proprio male di vivere. Con il proseguire della storia, i protagonisti vengono messi a confronto con dilemmi metafisici quali lo scopo della malattia, il ruolo della famiglia, il senso dell'arte, la ricerca dell'infinito e la presenza/assenza di Dio.

Una sera Karin, ridestatasi nel cuore della notte, frugando tra le carte del padre ne trova il diario. Leggendolo, scopre amaramente di essere per il padre un mero oggetto di studio professionale, che ne descrive freddamente e con distacco il progredire della malattia mentale per trasporla in un suo romanzo. La donna sveglia il marito e in lacrime gli confida la scoperta. Martin cerca di rassicurarla dicendole che la ama. David e Martin partono per una gita in barca, mentre Karin, rimasta sola con il fratello, prima lo umilia sequestrandogli una rivista pornografica, poi lo interroga in latino; infine gli racconta le sue allucinazioni e gli rivela di non essere quasi più innamorata del marito. Nel frattempo, in barca, Martin e David hanno una discussione circa lo stato di salute di Karin. Martin rimprovera a David la sua insensibilità verso la figlia, e quest'ultimo ammette di essere ormai così "straniato" da essere stato sull'orlo del suicidio poco tempo prima mentre soggiornava in Svizzera.

All'interno di un relitto sulla spiaggia, Karin abbraccia incestuosamente il fratello, per poi avere un attacco del suo male. Ristabilitasi dalla crisi, Karin dichiara di voler tornare in clinica e di non voler essere curata. Il padre le chiede perdono per l'egoismo mostrato nei suoi confronti e per il tempo sprecato dietro alla sua "cosiddetta arte". Karin prepara le valigie in attesa dell'ambulanza che la riporterà in ospedale, poi sale in solaio, dove si mette a parlare da sola, fino a quando urla di terrore, in preda a una crisi psicotica scatenata da una delle sue visioni: Dio le sarebbe apparso sotto forma di un ragno gigantesco, intenzionato a possederla: "Non è riuscito a penetrare in me, così ha strisciato sul mio petto, sul mio viso e se ne è andato su per la parete. Ho visto Dio". Arrivano infine gli infermieri per portare via Karin. Minus nelle scene finali parla con il padre chiedendogli di aiutarlo a superare i sensi di colpa e di angoscia provati per la sorella. David gli risponde in tono afflitto, indicandogli come sostegno la fede in Dio, unico conforto alla miseria e alla disperazione della condizione umana, un Dio che forse è in realtà soltanto l'amore degli uomini tra di loro. Il padre si allontana per preparare da mangiare, e Minus prende coscienza di aver parlato per la prima volta davvero con lui.

Ingmar Bergman e Sven Nykvist, direttore della fotografia svedese, durante la lavorazione di Come in uno specchio.

Alla fine del 1960 Bergman venne chiamato a lavorare nel Kungliga Dramatiska Teater di Stoccolma, diventandone ben presto il direttore. Circa in quel periodo iniziò a pensare ad un film che nelle sue idee avrebbe dovuto essere "un'opera da camera per il cinema"[2] strutturata alla maniera di un'opera teatrale strindberghiana. Bergman voleva ambientare il film su un'isola e, quando qualcuno gli segnalò la piccola isola di Fårö nel Mar Baltico, andò a visitarla, trovandola perfetta per le riprese, a tal punto che in seguito la scelse come proprio rifugio.[3]

Utilizzando in larga parte immagini nere e grigie "alla Dreyer", Bergman accantona ogni effetto che potrebbe distrarre l'attenzione dello spettatore dall'universo interiore dei personaggi che egli vuole illustrare. La drammaticità della situazione emerge dall'interno dei personaggi e non da quanto li circonda. Gli elementi scenografici sono ridotti al minimo, sono eliminati classici espedienti cinematografici come i flashback; il regista ci racconta i sogni e le fantasie dei protagonisti per mezzo delle parole piuttosto che per mezzo delle immagini. Il dialogo assume un'importanza fondamentale nell'economia del racconto. Il realismo rasenta il simbolismo.

Particolare riflessione merita il finale del film, definito da alcuni critici "verboso, didascalico ed enfatico";[4] dove il personaggio di David, esprimendo il proprio concetto di Dio=Amore, illustra il punto di vista del regista in prima persona. Ma non è un punto di vista "assoluto", in quanto Bergman non vuol convincere o convertire nessuno. Vuole semplicemente portare il pubblico a riflettere.[5] Quella suggerita dal regista è una soluzione "personale" al problema esistenziale, ma non è l'unica né tantomeno quella definitiva o veritiera. In ogni caso il film è stato anche interpretato rispetto alla visione bergmaniana sui limiti dell'arte: David vede "oscuramente", cioè come in uno specchio, la tragedia della figlia Karin perché forse la "filtra" esteticamente, senza comprenderne così la pienezza.[6]

«Bergman trasporta gli spettatori in un'atmosfera arcana, fatta d'immagini essenziali di estrema espressività, grazie a una scenografia vivida, a una regia che chiede alla luce, ai silenzi, di restituire le presenze soprannaturali e il tormento delle anime, alla recitazione superba di Harriet Andersson di rappresentare la mutevolezza di una donna malata che alterna l'orrore alla felicità di non essere costretta a vivere una sola realtà.»

Riconoscimenti

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  1. ^ 1 Corinzi, su www.laparola.net. URL consultato il 15 luglio 2023.
  2. ^ Trasatti, Sergio. Ingmar Bergman, Il castoro cinema seconda serie, L'Unità, 1995, pag. 60
  3. ^ Adamo Dagradi, Fårö, ultimo rifugio di Bergman acquistato da un benefattore, Il Giornale di Vicenza, 2 novembre 2009
  4. ^ Trasatti, Sergio. Ingmar Bergman, Il castoro cinema seconda serie, L'Unità, 1995, pag. 65
  5. ^ Trasatti, Sergio. Ingmar Bergman, Il castoro cinema seconda serie, L'Unità, 1995, pag. 66
  6. ^ Guido Aristarco, Teresa Aristarco, Il Cinema: verso il centenario, ed.Dedalo 1992, p.245
  7. ^ Come in uno specchio, Corriere della Sera, 20 giugno 1962
  • Sergio Trasatti, Ingmar Bergman, Il Castoro cinema, 2005, ISBN 978-88-8033-010-3.
  • Jacques Mandelbaum, Ingmar Bergman, Cahiers du Cinéma, 2011, ISBN 978-2-86642-706-1.
  • Ingmar Bergman, Sei film: Luci d'inverno, Come in uno specchio, Il silenzio, Il rito, Sussurri e grida, Persona, Traduzione di Giacomo Oreglia, Einaudi, 1979.
  • Salvatore M. Ruggiero, Come in uno specchio-Un capolavoro di Ingmar Bergman, Lulu.com, ISBN 9781291389258.

Altri progetti

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Collegamenti esterni

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