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Storia di Napoli

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Napoli, Ipogeo dei Cristallini, una rara testimonianza integra di arte e architettura di epoca ellenistica

La storia di Napoli si estende per circa tre millenni[1]: dalla fondazione sino ad oggi.

Il sito esatto in cui si è sviluppata la città, ovvero la collina di Pizzofalcone e le aree limitrofe, risulta frequentato e occupato quasi ininterrottamente sin dal Neolitico avanzato[2]. Napoli nel tempo si è espansa fino a divenire una delle megalopoli[3] più popolose del mondo nel XVII secolo[4] e ha esercitato una profonda influenza sull'Europa sin dall'Evo Antico[5]. La sua storia si presenta come un microcosmo di storia europea fatta di diverse civiltà, popoli e culture che hanno lasciato tracce anche nel suo patrimonio artistico e monumentale di valore universale senza eguali[5]. Per oltre mezzo millennio capitale dell'Italia meridionale[6], ha subìto attacchi, invasioni e distruzioni, facendo fronte inoltre a numerose catastrofi naturali come eruzioni vulcaniche, terremoti, maremoti, incendi, lahar e pestilenze.

«Napoli è una città dove la storia gronda dai tetti e cammina per le strade, abbracciando uno spazio temporale che va dall’antichità più remota a epoche recenti. E questo contribuisce a rendere Napoli speciale.»

Le età preistoriche

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Lo stesso argomento in dettaglio: Opicia.
Vaso della civiltà del Gaudo

Le più antiche tracce di frequentazione e occupazione all'interno del territorio comunale di Napoli risalgono, secondo i dati fino a oggi raccolti, al Neolitico Medio, testimoniate da reperti tipici della cultura di Serra d'Alto ritrovati innanzi alla basilica di Santa Maria degli Angeli a Pizzofalcone (ossia tra l'acropoli e la necropoli di Partenope, alle spalle della collina di Pizzofalcone[8]). Nella stessa area sono stati ritrovati, inoltre, un importante strato archeologico risalente all'Eneolitico Antico e uno all'antica/media Età del bronzo[8]. L'Enolitico Medio, tipo Gaudo, è noto più all'interno di Partenope dai vecchi ritrovamenti di Materdei, mentre il Bronzo Antico o meglio Medio iniziale è presente a piazzale Tecchio, che si può considerare l'inizio dell'area flegrea[9] (e anche in altri siti meno importanti)[8][10]. Infine, a valle della collina di Pizzofalcone, nell'area costiera del porto di Napoli, soprattutto abbondanti rinvenimenti ceramici (perlopiù forme chiuse come olle ovoidi e cilindro ovoidi), databili tra il Bronzo Finale e l'inizio del Ferro, documentano l'esistenza di un sito forse a carattere produttivo deputato allo svolgimento di attività costiere[8]. Per le popolazioni dell'Età del bronzo e poi del Ferro presenti in quest'area del golfo di Napoli, le fonti greche usano i nomi di Ausoni e Opici.

Fondazione di Partenope

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Lo stesso argomento in dettaglio: Magna Grecia, Partenope (città antica) e Partenope (sirena).
Monte Echia, il luogo di fondazione di Partenope

Partenope venne fondata dai Cumani[11] alla fine dell'VIII secolo a.C.[12] (anche se la più antica documentazione archeologica è datata nel III quarto dell'VIII secolo, ossia tra il 750 e il 720 a.C.)[13] e prendeva il nome dalla Sirena eponima, la cui tomba, secondo la tradizione mitica, era situata tra le altre ipotesi nei pressi della foce di uno degli affluenti del fiume Sebeto[14].

L'insediamento, sorto in posizione particolarmente favorevole su di uno sperone roccioso circondato su tre lati dal mare, nacque come scalo marittimo (epineion) subalterno al centro principale, che il metodo storico-critico convenzionalmente gli attribuisce in relazione alla colonia euboica.

Le indagini hanno permesso di individuare il porto, che fu anche quello di Neapolis, nell'attuale piazza del Municipio (all'epoca un bacino chiuso e riparato che a sua volta faceva parte di un'ampia insenatura localizzata fra castel Nuovo e la chiesa di Santa Maria di Portosalvo).[12]

Poiché per l'ubertà e l'amenità dei luoghi la colonia cominciò ad essere maggiormente frequentata, i Cumani, preoccupati che la propria città venisse disertata, decisero di «distruggerla».[15]

Fine VI secolo a.C.: La rifondazione come Neapolis

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La fondazione di Neapolis si colloca in quel clima di stasis (discordia tra fazioni) vigente a Cuma per tutta la parabola di Aristodemo.[16] Il momento decisivo corrisponde all'instaurazione della tirannide di Aristodemo, dopo la battaglia di Aricia del 507 a.C..[16] La tradizione ricorda dell'espulsione forzata degli oligarchi che trovarono rifugio a Capua. È probabile che in questa circostanza essi abbiano deciso di dare spazio alla Nea Polis (Nuova Città).[16] Ad ogni modo è certo che la fondazione della città sia avvenuta per mano di oligarchi[16] mossi dalla volontà di dar vita ad una "seconda Cuma", del tutto somigliante alla città che li aveva mandati via; lo provano a sufficienza ad esempio il prosieguo di culti come quello di Demetra e la fedele ripresa dell'organizzazione in fratrie.[16] Tale livello cronologico è confermato da rinvenimenti ceramici in un tratto delle mura e in vari punti della città.[17]

Neapolis sorse nel pianoro compreso tra le attuali chiese di Sant'Aniello a Caponapoli (p.zza Cavour), dei SS. Apostoli (San Lorenzo) e di Santa Maria Egiziaca (Forcella), pari ad un'area di circa 72 ettari.[18] Una città non molto estesa, dunque (Metaponto ad esempio misura il doppio, 144 ha.).[19]

L'insediamento venne edificato secondo i criteri greco classici: acropoli (individuata nell'attuale area di Sant'Aniello a Caponapoli),[20] agorà (corrispondente all'odierna piazza San Gaetano) e necropoli (individuate sulla collina di Santa Teresa, ai Santi Apostoli, a San Giovanni a Carbonara e nei pressi di Castel Capuano. In quest'ultima in particolare, i vasi portati alla luce durante gli scavi sono di fattura cumana e testimoniano l'assenza, a Neapolis, di una scuola artistica originale).

L'impianto urbano si fondava su tre strade maggiori e più larghe (in greco antico: πλατεῖαι?, platêiai) che erano incrociate ortogonalmente con l'intreccio di strade più strette (in greco antico: στενωποί?, stenōpói). Il caso di studio neapolitano rimanda a modelli tardo arcaici, quali quelli, più antichi, di Poseidonia e Agrigento, e quelli più recenti di Naxos e Himera.[21] Tale sistema è compatibile con la cronologia della nascita di Neapolis, cui rimandano i ritrovamenti sopracitati.

Lo stesso argomento in dettaglio: Decumani di Napoli.

La nuova città, come si è visto, non nacque inglobando e di conseguenza sviluppando la città vecchia[11] come avvenne ad esempio nel caso di Costantinopoli, bensì sorse giustapposta a quest'ultima per motivi commerciali: Neapolis nacque infatti tutta proiettata verso la valle del Sarno.[11] Partenope sopravvisse dopo la fondazione della "Città Nuova" come un secondo polo periferico della polis (la Palepolis)[22][23].

Ricostruzione verosimile in 3D di Neapolis greca

Con l'arrivo del navarca ateniese Diotimo[24], Neapolis inaugurerà il suo ruolo sempre più egemone su tutto il litorale campano[25] ed "internazionale" nel Mediterraneo.[26][27]

L'influenza ateniese e siracusana

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La "Nuova Città", che è tale in riferimento all'aggiunta di nuovi coloni e non per aver soppiantato la "Città Vecchia"[11], seppe già a partire dalla prima metà del V secolo a.C. sia ereditare da Cuma il ruolo egemone sul mare (anche per quanto riguarda la lotta contro gli Etruschi: Neapolis, infatti, fu alleata di Siracusa nella celebre vittoria nelle acque del golfo di Napoli contro gli Etruschi nel 474 a.C.)[12][28][29], sia assumere il controllo sullo specchio di mare che da golfo Cumano divenne golfo Neapolitano[30]. Il suo successo in campo commerciale fu reso possibile grazie al declino della tirannide[24] dei Dinomenidi a Siracusa (466 a.C.) e all'abbandono di Pithecusa da parte del presidio siracusano, a causa di un violento terremoto (o più probabilmente un'eruzione vulcanica del Monte Epomeo)[31]. All'influenza siracusana seguì il rapporto privilegiato con Atene.[32]

Pericle, avvertendo prematuramente il grande valore del medio Tirreno, stabilì molto presto in quel mare forti e radicati rapporti, sul piano commerciale, politico e culturale[12][24].

L'interesse ateniese per la Campania, ma anche per la Sicilia e l'Adriatico, fu dovuto al bisogno di derrate alimentari (soprattutto per quanto riguarda il commercio cerealicolo) per soddisfare il fabbisogno di una popolazione in costante aumento. I traffici erano dunque orientati verso quelle zone particolarmente ricche di cereali ma erano indirizzati specialmente verso il completo controllo dei mercati granari.

Le ripercussioni della presenza attica nella città furono numerose: il grande sviluppo in ambito portuale; i legami ancora più stretti con centri siti in territori pianeggianti atti alla coltivazione del grano (Allifae, Capua, Nola, Cuma, Dicearchia); l'introdursi nell'area - assieme probabilmente alla città di Elea[24] - della nascente comunità italiota non solo da un punto di vista economico, ma anche cultuale[24], il potenziamento, come documentato dalla tradizione storica stessa[24], del corpo civico e militare attraverso l'arrivo nel golfo del celebre ammiraglio ateniese Diotimo (è alquanto dibattuta la data esatta dell'arrivo: dopo la fondazione di Thurii, nel pieno degli anni trenta, ecc.)[26][33]; il potenziamento, sempre tramite quest'ultimo, del culto della sirena Partenope in funzione antisiracusana[34], con l'istituzione di una lampadedromia destinata a diventare celebre in tutto il mondo antico[26][35].

Soltanto un ostacolo si interpose tra Atene e il fiorente mercato campano, ovvero i tentativi siracusani di conservare, anche in seguito al crollo della tirannide, una posizione primaria nel Tirreno[24]. Un fattore che alla lunga avrebbe portato allo scontro con la città siciliana. Nel 415 a.C. la spedizione ateniese contro Siracusa finì in un vero e proprio disastro. I rapporti tra Neapolis e Atene subirono un'attenuazione solo con le vicende inerenti alla guerra archidamica e alla peste, che minarono sostanzialmente l'economia dell'Attica[24].

Alla fine del V secolo a.C. il popolo osco dei Campani prese il sopravvento nella città, anche se non si trattò di una conquista militare[11]. È un processo che è possibile riscontrare in altre località (ad esempio nella non distante Paestum), dove vi fu una lenta, graduale, ma costante infiltrazione dell'elemento italico, dapprima richiamato dagli stessi Greci per i lavori più umili e servili, per poi divenir parte della compagine sociale mediante il commercio e la partecipazione alla vita cittadina, fino a prevalere e a sostituirsi nel potere politico della città.

Nel 423 a.C. venne conquistata Capua, la grande roccaforte-granaio etrusca[36], e nel 421 a.C. Cuma, la quale dovette capitolare dopo un pesante e cruento assedio. Una parte dei suoi abitanti in fuga trovò rifugio proprio all'interno delle mura di Neapolis che in tal modo pagò il suo debito di riconoscenza.[11] Neapolis riuscì invece a salvaguardare la propria incolumità e sovranità politiche solo ammettendo con grande anticipo le élite osche alle principali cariche pubbliche della polis[11]. Tuttavia, a causa di questo comportamento, Neapolis minò profondamente le sue relazioni con la metropolis, Cuma.[11]

Nel 326 a.C., avendo commesso, come è attestato nel racconto potenzialmente parziale dello storico romano Tito Livio, atti ostili nei confronti dei Romani residenti in Campania e avendo rifiutato la richiesta di risarcimento di Roma[43], i Partenopei videro l'esercito capitolino, guidato dal console Publilio Filone[11], marciare sulla città e cingerla d'assedio. Nel frattempo erano giunti circa quattromila soldati Sanniti e circa duemila soldati Nolani per rinfozare le difese di Neapolis. I Neapolitani si arresero ai Romani dopo un anno di resistenza, anche grazie ad uno stratagemma con il quale i Greci allontanarono i Sanniti dalla città, e a Quinto Publilio fu decretato il trionfo (per approfondire questo episodio storico, vedi Partenope).

«Stanca delle angherie dei Sanniti, la componente greca della città decide di giocare d'astuzia. Due esponenti dell'aristocrazia cittadina, Carilao e Ninfio, architettano la trama: il primo convince i Sanniti ad imbarcare una parte delle truppe sulle navi e tentare una sortita direttamente contro Roma; il secondo invece va a trattare la resa della città e nottetempo fa entrare in Palepolis le truppe romane.»

Tuttavia Roma lasciò alla città ampie autonomie e permise che i suoi costumi, la sua lingua e le sue tradizioni di origine greca sopravvivessero, preferendo piuttosto stringere una sorta di patto di solidarietà e creando così quello che fu chiamato foedus Neapolitanum, con particolare attenzione agli aspetti commerciali e di difesa per quanto riguardava la flotta. La notizia dell'allenza tra Roma e Neapolis preoccupò non poco Taranto che temeva di dover rinunciare alle sue ambizioni di conquista sui territori dell'Apulia settentrionale a causa dell'avanzata romana[44].

Nel 280 a.C., dopo la battaglia di Eraclea, quando Pirro si accorse che non c'era alcuna possibilità di un accordo con il Senato romano, decise di passare al contrattacco, avanzando con la sua armata verso nord. Durante l'avanzata deviò su Neapolis con l'intento di prenderla o di indurla a ribellarsi a Roma.[45] Il tentativo fallì e comportò una perdita di tempo che giocò a vantaggio dei Romani: quando giunse a Capua la trovò già presidiata da Levino.

Nel 211 a.C., nell'ambito della seconda guerra punica, la città di Capua venne severamente punita a causa della sua alleanza con Annibale. Grazie a ciò la preminenza di quest'ultima in ambito campano andò scemando a favore di Neapolis.

Con l'istituzione di una dogana nel 195 a.C., il suo ruolo di potenza marittima[46], che si potenziò anziché indebolirsi con la conquista romana (nel 242 a.C. i Neapolitani e i Veleati con l'isola greca di Coo decretano l'ammissione del diritto di inviolabilità per il tempio di Asclepeion di Coo e tra il II e i I secolo commercianti neapolitani frequentano il grande porto mediterraneo dell'isola di Delo)[12], subì un primo colpo a vantaggio della vicina concorrente Puteoli e in seguito, nonostante i tentativi di Annibale (il quale fu respinto da Hegeas, alle porte della città) di sobillare i suoi abitanti contro Roma, Neapolis fu promossa a municipio romano, perdendo parte delle sue autonomie e rallentando non di poco il suo slancio produttivo ed imprenditoriale, sebbene restassero ancora in vigore le fratrìe e le figure di arconti di tradizione greca.

Nell'82 a.C., nella lotta fra Mario e Silla, trovandosi a parteggiare per il primo, la città dovette subire le devastazioni compiute dal secondo[47], animato dal desiderio di vendetta per l'affronto subito; ciò privò oltretutto Neapolis della sua flotta e dell'isola d'Ischia: un altro duro colpo per l'economia neapolitana che dall'isola ricavava l'argilla necessaria per la produzione ceramica. E tuttavia, il porto della città continuò a svolgere un importante ruolo di scalo regionale, il tutto accentuato dai consumi e stili di vita della Partenope otiosa e docta[48] (cioè luogo di svago e di studio), come mostrano gli abbondanti reperti archeologici rinvenuti in piazza del Municipio, di origine trasmarina.[49]

Lo stesso argomento in dettaglio: Epicureismo, Sirone (epicureo) e Filodemo di Gadara.

Nel 49 a.C., nella guerra civile tra Cesare e Pompeo, la città anche stavolta si vide schierata dalla parte dello sconfitto e, per questo, subì gravi conseguenze. A Neapolis si formò la congiura per uccidere Cesare (sembra che Cassio partì proprio da uno dei lidi della città per andare a compiere il celebre omicidio).

Nel 2 a.C., per via delle distruzioni prodotte da un incendio e da un terremoto, ma anche perché, come riporta lo storico Cassio Dione[50], i neapolitani erano gli unici a curare la cultura greca, l'imperatore Augusto volle Neapolis sede dei Giochi Isolimpici (ossia come quelli di Olimpia)[51], uno degli eventi ludici più importanti d'Occidente[52]. Dunque ebbe luogo una sorta di rifondazione della città, con ricostruzione[53][54][55], in seguito all'incendio, officiata per merito dei Sebastà, il concorso sacro in onore di Augusto, che si accompagnò alla richiesta di cambiare nome[56].

Quando la città fu promossa da municipio romano a colonia, forse sotto Marco Aurelio, contemporaneamente si assistette ad una ripresa dal periodo di decadenza produttiva, con conseguente incremento dei commerci: Neapolis continuava a essere d’altra parte un luogo di attrazione per i Giochi Isolimpici.[57]

L'avvento del cristianesimo

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Lo stesso argomento in dettaglio: Catacombe di Napoli.

Il primo vescovo napoletano, stando alle fonti agiografiche, fu Sant'Aspreno[65], consacrato dallo stesso San Pietro (che una leggenda vuole presente a Neapolis a dire messa nella basilica di San Pietro ad Aram); Aspreno, poi canonizzato, resse la comunità cristiana napoletana per 33 anni e morì nel 69; l'assenza di martiri fra i cristiani di Neapolis spinse alla scelta, come santo patrono della città, di San Gennaro, vescovo di Benevento, decapitato nella vicina Puteoli nel 305.

Lo stesso argomento in dettaglio: Santi patroni della città di Napoli.

L'arrivo a Neapolis dei testi di grandi apologisti latini come Tertulliano, l'azione organizzatrice di papa Vittore I prima e quella più strettamente caritativa di papa Callisto I da un lato e il nuovo corso impresso alla politica romana dalla dinastia dei Severi, diedero impulsi benefici alla comunità cristiana ed alla città più in generale.

Sotto Diocleziano, persecuzioni anti-cristiane avvennero anche a Neapolis, almeno sino al 311, anno in cui un editto imperiale concedeva ai cristiani libertà di riunione e di professione della loro fede.

Sotto Costantino ebbero luogo significativi interventi urbanistici che mutarono il volto della città, come il restauro dell'acquedotto del Serino e il miglioramento della viabilità verso l'area flegrea, solo per citare i più noti, ma gli influssi positivi della politica di questo imperatore furono di durata breve in quanto ebbero avvio, dal 410 in avanti numerose invasioni barbariche. Nel 459 Neapolis fu attaccata, ma non espugnata grazie anche alle nuove fortificazioni volute da Valentiniano III per via dell'accresciuto ruolo commerciale e militare della città (a differenza delle sue rivali storiche: Puteoli, che decadde definitivamente,[66] e Capua, che decadde[12][67] ma si riprese davvero un'ultima volta verso la fine del VII secolo),[68] nonché della sua nuova funzione come luogo di rifugio soprattutto per chi veniva dall'Africa, dai vandali di Genserico.

Nel 472 si verificò un'ulteriore eruzione catastrofica del Vesuvio, paragonabile a quella del 79 che distrusse Pompei ed Ercolano.[69] La zona maggiormente interessata dall'evento fu quella posta a est e a nord-est del vulcano. I flussi piroclastici si propagarono fino ad una distanza di almeno 10 km dal cratere e la cenere emessa si spinse molto ad oriente, tanto da oscurare Costantinopoli, da dove l'imperatore Leone I, terrorizzato, minacciò di scappare.[70]

Nel 476 Romolo Augusto, l'ultimo degli imperatori romani d'Occidente, venne deposto ed imprigionato, per mano di Odoacre, presso castel dell'Ovo, a quel tempo villa romana fortificata.

Periodo bizantino

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La provincia bizantina di Campania

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Lo stesso argomento in dettaglio: Campania (provincia romana).
La guerra gotica e la distruzione
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Lo stesso argomento in dettaglio: Assedio di Napoli (536) e Assedio di Napoli (543).

Nel VI secolo la città venne sottratta ai Goti dall'Impero romano d'Oriente durante il tentativo di Giustiniano I di ricreare l'Impero e la città fu sottomessa dal nuovo conquistatore, il generale Belisario (536) che, dopo un lungo e stretto assedio, la sottopose ad un cruento sacco (la durezza del trattamento inferto ai neapolitani indurrà Roma, nello stesso anno, ad aprire a Belisario le porte della città). Il ripopolamento di Neapolis fu compiuto dallo stesso Belisario che, sentendosi in colpa e rimproverato da Papa Silverio, fece affluire in città abitanti da molti altri centri e villaggi della Campania, come Amalfi, Atella, Pollena Trocchia, Nola e Sorrento. A presidiare la città furono lasciati circa 300 fanti e un numero indefinito di soldati.[72]

Dopo una nuova e breve parentesi gota (riconquista di Totila del 542), Napoli fu saldamente in mano bizantina grazie all'azione militare di Narsete e diventò provincia bizantina, a partire dal 534 e per i successivi sei secoli. La provincia bizantina di Campania era amministrata da uno Iudex Provinciae mentre la massima autorità militare era un dux o un magister militum. Nel 571 i Longobardi s'impadronirono di Benevento fondando il Ducato di Benevento e sottrassero ai Bizantini il controllo dell'entroterra campano. Qualche anno dopo l'Imperatore Tiberio II Costantino (578-582) decise di scindere l'Italia centro-meridionale in due eparchie: l'Urbicaria e la Campania. L'Urbicaria divenne poi il ducato romano mentre la Campania nel corso del VII secolo divenne anch'esso un ducato, governato da un duca.

L'ordinamento giuridico
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La notevole influenza del regno di Giustiniano in ambito culturale, artistico e, ancor più, nel campo della giurisprudenza (basti pensare al Novus Iustinianus Codex che fu la base del nuovo ordinamento giuridico) si fece sentire anche a Napoli.

Nacque così un governo che era da un lato dotato di una struttura militare, necessaria per la difesa del regno in un siffatto periodo di instabilità politica, e dall'altro di una struttura prettamente civile, deputata più che altro al governo delle province conquistate; inoltre, andò aumentando l'importanza conferita al clero, in particolar modo alla figura del vescovo con ampi poteri anche di giurisdizione civile ereditati dalla vecchia figura del magistrato, ormai scomparsa.

Il periodo vescovile
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Sotto il nome di periodo vescovile s'indica generalmente l'arco di tempo che va dal 578 al 670 e che vede l'affermarsi in città della figura del vescovo come figura di primaria importanza sia religiosa che civile e quindi dotata di potere temporale vero e proprio.

Proprio per le prerogative conferite loro dal nuovo sistema amministrativo e giuridico, spesso vi furono degli aspri contrasti dei vescovi con gli stessi pontefici romani, arrivando in alcuni casi anche a difendere la città dall'ingerenza della Chiesa.

Fu questo un periodo di continue guerre con i Longobardi che dominavano gran parte dell'Italia meridionale e che più volte assediarono la città (come nel 592 e nel 599) senza, tuttavia, riuscire ad assoggettarla, grazie anche al costante apporto del papato, in particolare nella persona di papa Gregorio I.

Il ducato bizantino

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La Napoli bizantina nel sud Italia dell'anno 1000
Lo stesso argomento in dettaglio: Ducato di Napoli.

La data di fondazione del Ducato napoletano è incerta: secondo Eliodoro Savino[73] il territorio campano venne «smembrato pochi anni prima del 600 tra i due Ducati bizantini di Roma e di Napoli e quello longobardo di Benevento». La mancanza di riferimenti alla provincia Campania nell'epistolario gregoriano, anche se non ne implica l'abrogazione (che viene smentita da numerose fonti che attestano la presenza di Iudices Campaniae nel corso del VII secolo), è significativa perché indica un crescente potere dei duchi che alla fine diventeranno la massima autorità civile e militare nel 638, portando nello stesso anno all'abolizione della carica di Iudex Provinciae.

Sulla scia della rivolta del 615 che a Ravenna portò all'assassinio dell'esarca, a Napoli Giovanni Consino si pose a capo del malcontento popolare che iniziava a suscitare il dominio di Bisanzio e che, testimoniava un sempre maggior desiderio di autonomia dei napoletani. Giovanni si rese quindi indipendente da Bisanzio ma la sua rivolta venne sedata energicamente e in poco tempo dall'esarca Eleuterio. Nel 638 il dux divenne la massima autorità civile e militare del Ducato.

La tradizione dice che il primo duca locale di Napoli fu Basilio nel 661, ma questa tesi viene ora respinta dagli studiosi moderni[74]. I duchi che si susseguirono e che furono, in ordine cronologico, Teofilatto I (666-70), Cosma (670-72), Andrea I (672-77), Cesario I (677-84), Stefano I (684-87), Bonello (687-96), Teodosio (696-706) e Cesario II (706-11), dovettero fronteggiare con una serie di guerre i Longobardi, l'altra potenza dell'Italia meridionale, che premevano dai vicini Ducati di Capua e Benevento.

Nel 711 i napoletani, guidati dal saggio governo del duca Giovanni I e spalleggiati dall'appoggio di papa Gregorio II, riuscirono a riconquistare la città di Cuma, caduta inaspettatamente in mano longobarda.

La controversia iconoclasta scatenatasi nel 726 pose il nuovo duca, Teodoro I in una difficile condizione di incertezza fra la fedeltà all'Imperatore di Bisanzio e la devozione al Papa, dalla quale il duca seppe uscire a testa alta conservando una posizione di equidistanza che non compromise i rapporti di Napoli né con l'Impero né con il Papato.

Durante il periodo vescovile in città sorsero numerosi monasteri, oltre a svariate chiese; i monasteri erano per lo più cenobi di origine greca (retti da monaci basiliani) che trovavano allocazione sulle alture dell'interno o sulle isole, come quello che sorgeva nell'antico Oppidum Lucullianum, sulla collina del Monte Echia o sull'isoletta di Megaride, sebbene non mancassero insediamenti monastici in città, come il monastero greco di San Sebastiano.

Anche a Napoli, come a Roma, i monaci furono i principali divulgatori della cultura in una lingua ormai diversa dal latino classico e che aveva ormai assorbito influssi greci di derivazione bizantina ma che produsse, oltre a trascrizioni e traduzioni dei classici anche la produzione di vite di santi (letteratura agiografica).

Dal punto di vista artistico va ricordato che a Napoli l'influsso longobardo fu pressoché nullo, e la tradizione artistica romana e paleocristiana si perpetuò a lungo nel tempo ma, anche dell'arte bizantina da cui la città mutuava molti influssi, è rimasto molto poco a causa sia di eventi come calamità o distruzioni belliche sia di una capacità di trasformazione e di adattamento operata dagli artisti.

In quest'epoca Napoli, che acquistò i connotati di un'importante città d'Occidente[75], fu circondata da nuove mura, anche per una migliore difesa dalle minacce dei Longobardi, e vennero costruiti una sorta di grandi strutture difensive, dei propugnacula esagonali e ottagonali, che, staccati dalla cinta urbana, erano volti specialmente a proteggere la città sul lato marittimo.

Il ducato autonomo napoletano, la "Lega Campana" e la battaglia di Ostia

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Il ducato autonomo

Dopo i ducati di Giorgio e Gregorio I, divenne duca Stefano II, in un primo momento molto legato a Bisanzio e poco al Papato ma che, successivamente, nel 763 riconobbe il pontefice Paolo I e si ribellò apertamente all'autorità centrale, assumendo la carica vescovile e divenendo così di fatto il primo a guidare il ducato napoletano autonomo.

Ciò venne incontro al desiderio del popolo napoletano che andò acquistando una sempre più ampia coscienza civica e una fiducia sempre maggiore nella propria autonomia, tanto che da solo e con la lungimiranza dei suo capi e dei suoi vescovi poté resistere ai tentativi di conquista da parte dei Longobardi, dei Franchi e dei Saraceni. Nell'831 la città subì un duro assedio da parte dei Longobardi di Benevento che riuscirono ad impadronirsi del corpo di San Gennaro, mentre la testa rimase nella basilica di Santa Restituta.

Nell'832 Stefano fu assassinato da una congiura ordita da alcuni nobili napoletani sobillati da emissari di Sicone, principe longobardo e fu eletto duca proprio uno dei suoi assassini, Bono, destituito dopo appena sei mesi dal suo incarico.

Nell'840, con l'avvento di Sergio I sembrò terminare il lungo periodo di lotta del Ducato contro i barbari e in difesa della romanità e fu inaugurata una politica estera più amichevole nei confronti dei Franchi, in funzione di garantire a Napoli una sempre più salda autonomia dalle incursioni saracene e longobarde; ciò tuttavia non impedì ai Saraceni di distruggere nell'845 la località di Miseno. Esito diverso ebbe quattro anni dopo il tentativo musulmano di attaccare e devastare Roma. Nell'849 fu costituita la "Lega Campana" che, condotta da Cesario di Napoli e formata dalle navi dei ducati di Amalfi, Gaeta, Napoli e Sorrento, giunse in soccorso del pontefice Leone IV rendendosi protagonista della leggendaria battaglia di Ostia in difesa di Roma, immortalata con un celebre affresco da Raffaello nelle stanze vaticane e oggi ritenuta dagli storici il più grande successo navale di una flotta cristiana su una musulmana prima della battaglia di Lepanto[76].

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia dell'islam nell'Italia medievale e Battaglia di Ostia.

Seguì un periodo in cui si tentò una sorta di alleanza con i Saraceni, osteggiata da papa Giovanni VIII che riuscì a far condurre il duca in catene a Roma e a farlo giustiziare; fu questo un periodo in cui Napoli ed il Papato si ritrovarono ai ferri corti (anche sotto il ducato di Atanasio II).

Successivamente, sotto la spinta politico-diplomatica di papa Giovanni X, si ristabilì una nuova alleanza con lo Stato pontificio in funzione antisaracena. La minaccia dei musulmani, presenti in forza nell'insediamento di Traetto, fu definitivamente debellata nel 915 nel corso della storica Battaglia del Garigliano, decisiva per arginare l'espansionismo arabo nel centro Italia. In questo caso l'esercito napoletano, alleatosi con l'Impero Bizantino, il ducato di Capua, il ducato di Amalfi, il ducato di Benevento, il ducato di Gaeta e il principato di Salerno, fu praticamente sotto il comando di Bisanzio, che non perse occasione per riprendere ad esercitare la propria supremazia sul Ducato; di fatto, i duchi che si susseguirono furono nuovamente nella sfera imperiale, almeno sino al 963.

Intanto, un nuovo spauracchio si affacciò sul Ducato, il Sacro Romano Impero che, con Ottone III iniziò a far valere le proprie mire espansionistiche sulle terre del sud Italia e quindi su Napoli, che, pur rimanendo invischiata nei turbolenti anni delle lotte per il possesso di quelle terre, riuscì sostanzialmente a mantenere la sua indipendenza.

Nel 1030 il duca Sergio IV donò la contea di Aversa alla banda di mercenari normanni di Rainulfo Drengot, che lo avevano affiancato nell'ennesima guerra contro il principato di Capua. Dalla base di Aversa i normanni acquisirono una propria struttura sociale ed organizzativa e nel volgere di un secolo furono in grado di sottomettere tutto il meridione d'Italia, dando vita al Regno di Sicilia.[77] [78] Il Ducato di Napoli fu l'ultimo territorio a cadere in mano normanna[79]: esso seppe salvaguardare la sua indipendenza fino all'avvento di Ruggero II al Regno di Sicilia, al quale il duca Sergio VII dopo due estenuanti assedi, nel 1137 dovette cedere. Anche dopo la capitolazione del Duca, i napoletani si ribellarono al sovrano straniero organizzandosi in una Repubblica aristocratica fino alla definitiva resa avvenuta in Benevento (1139).[80]

Periodo della dinastia normanna

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Lo stesso argomento in dettaglio: Regno di Sicilia.

Le vicende storiche

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Si andava costituendo quel Regno di Sicilia che unificava Sicilia e Italia meridionale sin dal 1130, anno in cui il nuovo Stato unitario era stato istituito dall'antipapa Anacleto II e successivamente legittimato, nel 1139, da papa Innocenzo II. Ruggero conquistò Salerno, Avellino, Benevento e Capua. Anche Napoli, dopo un anno di assedio, fu costretta a capitolare nel 1137. Tale nuovo regno fu governato dai Normanni sino al 1197: la capitale fu posta a Palermo per volere di Ruggero II d'Altavilla, ma Napoli, già un centro di spessore sin dal VII secolo[81] (a quest'ultimo periodo si collega la sua funzione di vicecapitale dell'Esarcato d'Italia sotto Costante II)[82], funse da notevole polo mercantile[83][84].

Ruggero II giunse a Napoli nel 1140, accolto con tutti gli onori (così come narrato, con dovizia di particolari, da un cronista medievale[85]) e, dopo la nomina di un responsabile giuridico ed amministrativo (il compalazzo, da comes palatii), accentrò in pratica tutti i poteri nelle proprie mani, mettendo definitivamente fine al periodo di autonomia della città. Mentre la nobiltà mantenne per certi versi i propri privilegi, il clero conobbe un periodo di decadenza, anche come conseguenza delle tensioni che sorgevano tra i re normanni e l'autorità papale. Nel 1154, salì sul trono di Sicilia Guglielmo I: tutto il periodo del suo regno fu caratterizzato da una serie di lotte interne e di difficili rapporti con gli Stati esteri; inoltre, a Napoli si accese una contesa tra le classi dei milites e quella dei nobiliores, e alcune rivolte portarono anche il popolo a scendere in piazza contro l'istituto monarchico. Guglielmo represse le rivolte nel sangue, fu molto severo nell'amministrazione della giustizia e aumentò l'imposizione di tasse avvalendosi, per portare a compimento il suo programma, del ministro barese Maione, poi assassinato in una congiura ordita dal suocero Matteo Bonello. Con l'avvento sul trono di Guglielmo II, migliorò il dialogo della monarchia normanna con il popolo e Napoli visse un periodo di relativa tranquillità; fu nominato un governo consolare alla cui composizione contribuirono non solo esponenti delle classi nobiliari ma anche dei mediani e del popolo. Maggiore autonomia, specie in ambito commerciale, fu conferita alla città da Tancredi di Lecce, nuovo sovrano che regnò dal 1189 al 1194 e ripristinò l'antica promissio riguardante l'esenzione dai dazi.

Ma un gesto eccessivo di Tancredi, che fece arrestare l'imperatrice Costanza (detenuta per un periodo anche a Napoli), e la debole reggenza del figlio di questi, Guglielmo III, non riuscirono ad impedire l'invasione del regno da parte degli Svevi che, con Enrico VI posero fine alla dinastia normanna.

Il nuovo sistema istituzionale e sociale

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Regno di Sicilia

Con l'avvento di Ruggero II, vennero implementate a Napoli nuove istituzioni fondate sulla preminenza del potere regale che andava ad affiancarsi ai vecchi usi feudali e municipali.[86] Il nuovo sovrano stabilì rapporti molto più stretti con la nobiltà mediante la concessione di privilegi feudali (per la prima volta, a Napoli furono istituite le figure dei "cavalieri" feudali), assicurandosi così un costante appoggio alla sua politica. Il "compalazzo" di nomina regia aveva importanti funzioni nell'ambito della vita cittadina, che andavano dall'amministrazione delle rendite demaniali alla gestione della giustizia sia civile che penale, sino al controllo della rete dei funzionari dell'amministrazione (i "conestabili"). Fu anche grazie a questo nuovo sistema istituzionale che i re normanni riuscirono a controllare le rivolte, che pur non mancarono a Napoli e in altre zone campane e pugliesi del regno, che la classe dei "mediani", costituita essenzialmente da milizie professionali, sobillò contro il potere regio; furono proprio i nobili, fedeli al re, che s'incaricarono di stroncare queste rivolte. Negli ultimi anni del governo normanno (specie con Tancredi di Lecce al potere, che governò con un "consiglio di consoli" presieduto dal compalazzo), si arrivò addirittura a ristabilire i diritti dei cittadini su alcune terre precedentemente usurpate proprio dal potere regio nella contea di Aversa. In tale periodo s'intensificarono i contatti commerciali, specie con la repubblica di Amalfi, e alla cittadinanza napoletana fu concessa la possibilità di battere moneta. Dal punto di vista sociale si andarono costituendo gruppi familiari che si radicavano in particolari aree del territorio cittadino e che, sempre più influenti, condividevano interessi economici e patrimoniali (i potentes o consortes). A queste consorterie civili si affiancarono gruppi di ispirazione religiosa come le confraternite o le estaurite. Altro elemento che contribuì non poco al mutamento sociale del periodo post-ducale fu l'aggregazione dei piccoli monasteri di rito greco in strutture monastiche più grandi, che iniziarono a seguire il rito latino. Queste comunità, spesso urbane e non solo esterne alla città muraria come un tempo, beneficiando dei generosi lasciti patrimoniali delle classi aristocratiche napoletane, costituirono un elemento di garanzia per la stabilità del governo della città.

Periodo della dinastia sveva

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Il trapasso dalla monarchia normanna a quella sveva, sia pure facilitato dai legami dinastici che vedevano la figlia di Ruggero II, Costanza, sposa di Enrico VI di Svevia, non fu indolore e condusse ad un periodo di crisi per la città di Napoli e più in generale per tutta l'Italia meridionale durato almeno un ventennio. Già nel 1191, con Tancredi ancora in carica, la città si era opposta strenuamente alle truppe imperiali, resistendo per tre mesi ad un duro assedio; nel 1194 però Napoli dovette capitolare e fece atto di formale obbedienza all'imperatore. Alla morte di Enrico (1197), grazie anche ad un periodo di anarchia che ne seguì, la città ebbe un periodo di relativa autonomia, acquisendo anche una sua forza militare che mise in atto nella distruzione di Cuma, da dove imperversavano le truppe imperiali, avvenuta nel 1207[89].

L'autorità imperiale fu ristabilita, non senza difficoltà, in seguito all'ascesa sul trono degli Hohenstaufen di Federico II. Questi era stato incoronato da papa Innocenzo III nel 1198, quando era ancora minorenne, e venne preso in tutela proprio dal Papa alla morte della madre Costanza, avvenuta anche questa nel 1198. Nel 1208 Federico fu dichiarato maggiorenne (aveva quattordici anni), e poté prendere possesso del regno in modo effettivo. L'anno seguente ebbero inizio le rivolte a Napoli, in Sicilia ed in Calabria, rivolte che il giovane sovrano riuscì brillantemente a reprimere, mostrando anche quell'insofferenza verso l'autorità ecclesiastica che lo avrebbe portato, anni dopo, alla scomunica irrogata dal Papa.

Gli aristocratici napoletani approfittarono della situazione di semi-anarchia che si era venuta a creare negli ordinamenti civili e ben presto si trovarono in rotta di collisione con Federico che, gravato dai problemi politici e militari esteri, riuscì a ristabilire l'ordine nei rapporti di vassallaggio soltanto a partire dal 1231, con la promulgazione delle Costituzioni di Melfi.

Federico II fu un sovrano molto attento alla cultura, in special modo a quella letteraria e giuridica (tra i suoi collaboratori è possibile citare il poeta Pier della Vigna e il giureconsulto Taddeo da Sessa). Nel 1224 istituì a Napoli lo Studio generale, la seconda università della penisola, e la prima statale. Nell'atto di fondazione si leggeva[90]:

«Noi esigiamo per i Nostri servigi uomini dotti, formati nel fervore dello studio di Jus e Justitia, ai quali senza apprensione affidare l'amministrazione dello Stato»

Ampliò castel Capuano, diede incremento ai traffici, aggregò poi al compalazzo una Curia composta di cinque giudici e otto notai. Elementi fortemente negativi per l'autonomia cittadina furono invece la rigida politica di imposizione fiscale, l'abolizione delle autonomie comunali e della classe sociale dei notai (curiales) e la generalizzata ingerenza negli affari privati dei cittadini da parte dell'amministrazione fortemente accentrata del re; elementi che contribuirono a scatenare una sostanziale avversione verso lo stupor mundi (come lo svevo era soprannominato), fino a sfociare in aperta insurrezione popolare, alla notizia della sua morte, avvenuta nel 1250, contro il suo successore Corrado IV.

Gli ultimi anni svevi: rivolte e assedi

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Nel 1251 Napoli si costituì a Comune libero ponendosi sotto la protezione del papa Innocenzo IV. Nel 1253 la città, in stato di assedio, dovette arrendersi a Corrado, decimata dalla pestilenza e dalla fame, dopo quattro mesi di resistenza. La vendetta di Corrado si attuò col diroccare parte delle mura, trasferire lo Studio a Salerno e imporre ulteriori onerose gabelle. Dopo la morte di Corrado (1254) la città si pose nuovamente sotto il papa Innocenzo IV, che si stabilì a Napoli, ma vi morì poco tempo dopo (1254). Nel conclave, tenutosi a Napoli, il 12 dicembre 1254 fu eletto papa Alessandro IV, che si ritirò a Roma all'avvicinarsi dell'esercito di Manfredi, fratello di Corrado IV. Sottomessa da Manfredi, dopo la sconfitta di quest'ultimo (battaglia di Benevento, 1266), Napoli aprì le porte al nuovo re Carlo I d'Angiò.

Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Benevento (1266).

Periodo della dinastia angioina e angioino-durazzesca

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Lo stesso argomento in dettaglio: Regno di Napoli.

Nel 1266 papa Clemente IV aveva assegnato il Regno di Sicilia a Carlo I d'Angiò. L'ingresso a Napoli del nuovo sovrano (fratello di Luigi IX di Francia), avvenne in modo trionfale il 7 marzo, dopo che il nuovo erede del regno era stato accolto da una delegazione di cavalieri napoletani alle porte di Aversa. Il cronista fiorentino Giovanni Villani descriverà più tardi il nuovo sovrano francese come «savio, di sano consiglio, e prode in armi, e aspro e molto temuto e ridottato da tutti i re del mondo, magnanimo e d'alti intendimenti»[91], a testimonianza del grande prestigio che Carlo aveva assunto sullo scenario europeo.

Il prestigio di Carlo d'Angiò aumentò ulteriormente dopo la vittoria nella Battaglia di Tagliacozzo (1268), nella quale le truppe angioine sbaragliarono l'esercito di Corradino di Svevia, ultimo discendente diretto di Federico II e capo del partito ghibellino, che puntava alla riconquista del regno. Dopo un processo formale, il giovane svevo (che aveva solo sedici anni) fu condannato ad essere decapitato, condanna che venne eseguita al Campo Moricino (l'odierna piazza del Mercato) il 26 ottobre 1268. Fu questo il primo episodio di una lunga serie di vendette che furono consumate a Napoli contro tutti coloro che avevano appoggiato il partito svevo di Federico II e di Manfredi.

Nel 1282, in seguito alla rivolta dei Vespri siciliani (causati anche dalla stabilizzazione ufficiale della capitale del Regno di Sicilia a Napoli)[92], gli Angioini persero la Sicilia, che si consegnò ai sovrani aragonesi. I due regni continuarono a definirsi entrambi "di Sicilia"; in particolare, in quello continentale nacque la formula di Regno di Sicilia al di qua del Faro (Napoli) e Regno di Sicilia al di là del Faro (per approfondire, vedi Faro di Messina): le due parti rimasero formalmente separate, nonostante abbiano condiviso quasi sempre lo stesso sovrano, fino al 1816, quando venne costituito il Regno delle Due Sicilie.

Il periodo che seguì fu assai tumultuoso, con Carlo che cercò di riconquistare la Sicilia e gli Aragonesi, con a capo Pietro III d'Aragona, che risalirono il continente, impossessandosi dapprima della Calabria e giungendo poi a lambire Napoli, stabilendo presidi militari a Ischia e Capri e tentando, con l'ammiraglio Ruggiero di Lauria, di sbarcare a Nisida (1284).

L'ammiraglio degli Aragonesi fece prigioniero il figlio stesso del re; quest'ultimo dovette designare suo erede temporaneo il nipote Carlo Martello.

Alla morte di Carlo I, avvenuta nel 1285, vi fu un periodo di interregno durato tre anni, durante il quale fu il papa Onorio IV a gestire politicamente i territori angioini, con la promulgazione delle cosiddette Costituzioni di Sicilia,[93] mentre non cessavano le incursioni aragonesi sulle coste di Sorrento, Castellammare, Positano ed Amalfi.

Il figlio del defunto re, Carlo II d'Angiò, detto lo Zoppo, allo scadere del periodo di prigionia in mano agli Aragonesi, fu incoronato nuovo re di Napoli nel 1289, riuscendo a garantire al regno alcuni anni di tranquillità anche in seguito alla stipula della Pace di Caltabellotta (1302), che limitava il regno degli Angioini al meridione continentale d'Italia e stabiliva che Federico III d'Aragona continuasse a regnare in Sicilia con il titolo di Re di Sicilia (o di Trinacria).

Napoli capitale

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Resti del molo Angioino in piazza del Municipio
La cittadella monastica di Santa Chiara

Nel periodo dei primi re angioini la città, ormai ufficialmente capitale del Regno di Sicilia[92] prima e, con la perdita dell'isola, capitale del Regno di Napoli poi, nonché sede di una potente monarchia[94][95], fu abbellita ed ampliata e in essa sorsero numerose chiese monumentali grazie alle sovvenzioni regie. Ai due castelli preesistenti (Capuano e dell'Ovo), Carlo I aggiunse il Maschio Angioino (in cui avrebbe risieduto stabilmente, con la sede papale, papa Celestino V)[96] al centro di un nuovo rione costellato di palazzi principeschi; la regina Giovanna d'Angiò, poi, fece costruire sulla collina che domina la città, un quarto castello, castel Sant'Elmo. La città si inserì pienamente nel contesto mediterraneo ed europeo, provenzali, veneziani, catalani, genovesi, fiamminghi risiedettero in quartieri distinti, con fondachi e chiese costruiti secondo lo stile delle terre di origine.

L'aumento dei traffici marittimi portò alla costruzione del cosiddetto Porto di mezzo e di nuovi arsenali.[N 1]

Lo sviluppo di Napoli continuò con i successori di Carlo, soprattutto con Roberto d'Angiò. Roberto, salito al trono alla morte di Carlo II (avvenuta nel 1309 nell'ospizio reale della Casa Nova di Poggioreale), regnò per trentaquattro anni (1309-1343). Conosciuto come "il Saggio", Roberto fu definito dal Boccaccio «il re più sapiente del mondo dopo Salomone», e godette di grande prestigio, soprattutto in ambito artistico e culturale (per approfondire, vedi protoumanesimo angioino). La struttura e l'organizzazione dell'Università, una delle più importanti d'Europa, restarono invece sostanzialmente immutate.

I gravi problemi del regno, il persistere e lo svilupparsi della feudalità e la contesa dinastica per la Sicilia, furono causa della successiva decadenza, aggravata da un ulteriore problema che la rese più rapida: le questioni dinastiche fra i vari rami degli Angioini.

La decadenza del Regno

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Il regno di Roberto il Saggio fu caratterizzato sia da alcuni suoi infruttuosi tentativi di riconquista della Sicilia sia dal suo coinvolgimento nelle vicende politiche italiane, dato che il sovrano era di fatto a capo del partito guelfo in Italia.[N 2] Il re morì nel 1343.

Mediante testamento, Roberto aveva designato alla successione sua nipote Giovanna, intendendo così favorire il marito di lei, Andrea d'Ungheria. Questa regina, incoronata in Santa Chiara il 28 agosto 1344, certamente figura controversa per la sua complessa personalità, è spesso la prima espressione di un sovrano interamente napoletano, grazie alla "naturalizzazione" progressiva che la dinastia francese degli Angiò aveva ormai compiuto nella sua permanenza in Italia meridionale.

Nel periodo in cui regnò Giovanna, si andarono accentuando i segnali di decadenza già emersi negli ultimi anni del regno di Roberto, con un progressivo aumento delle lotte tra fazioni e complotti, ed anche a causa del fallimento della politica estera angioina che non riusciva a ricostituire l'unità statale normanno-sveva, spezzata dalla conquista Aragonese della Sicilia.

Giovanna fu spalleggiata dalla nobiltà napoletana nell'opporsi alle rivendicazioni dinastiche di suo marito, appartenente al ramo ungherese degli angioini discendenti di Carlo Martello (fratello di Roberto il Saggio), e la regina fu probabilmente coinvolta anche nell'assassinio del marito, avvenuto il 18 settembre 1345 ad Aversa.

Ma le lotte dinastiche non cessarono con la morte di Andrea; Giovanna sposò in seconde nozze Luigi di Taranto: poco dopo, il cognato, (fratello del marito assassinato Andrea), Luigi d'Ungheria iniziò l'invasione del regno, costringendo la sovrana a fuggire in Provenza. Successivamente, però, anche Luigi fu costretto a ritirarsi a causa della terribile epidemia di peste nera che andava abbattendosi sulla città, mietendo più di 64.000 vittime.

Alcuni degli avvenimenti verificatisi a Napoli durante il periodo della dinastia angioina sono famosi ancor oggi e vivi nella memoria condivisa della città: la decapitazione del giovane Corradino di Svevia nel 1268, l'assassinio di Andrea d'Ungheria (marito di Giovanna I d'Angiò), l'entrata a Napoli di suo fratello Luigi, l'assedio della città da parte di Carlo di Durazzo, in seguito Carlo III, la reggenza di Margherita di Durazzo, le epidemie di peste nel 1348, 1362 e 1399, il maremoto del 1343, le lotte di Luigi II d'Angiò per ottenere il regno, il primo tentativo di riunificazione politica d'Italia sotto Ladislao I d'Angiò, gli assedi alla città nelle lotte per la successione di Giovanna II d'Angiò (1414-1435) fra Renato d'Angiò e Alfonso V d'Aragona finché quest'ultimo, dopo essere penetrato nella città attraverso un acquedotto, nel 1442 poté occupare definitivamente Napoli e metter fine alla dinastia angioina durata quasi due secoli (1268-1442).

Traguardi artistici

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Le testimonianze archeologiche della tradizione artistica napoletana in epoca preangioina sono molto limitate.[N 3]

Molto più documentata è invece l'arte nella Napoli angioina. Alla corte di Napoli fu attivo Giotto, che affrescò parte dei locali della basilica di Santa Chiara (oggi il suo operato è riscontrabile in maniera frammentaria solo nel coro delle monache, a causa dei bombardamenti della seconda guerra mondiale), e anche Lello da Orvieto, Roberto d'Oderisio e Pietro Cavallini. Quanto all'architettura, oltre ai castelli precedentemente citati, il periodo angioino coincise anche con la costruzione di imponenti impianti gotici: la basilica di San Lorenzo Maggiore (con abside percorsa da ambulacro), la basilica di San Domenico Maggiore, il già menzionato monastero di Santa Chiara e la cattedrale di Santa Maria Assunta (per il quale furono chiamati architetti di estrazione francese).

Periodo della dinastia aragonese

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La Corona d'Aragona nel 1443
Lo stesso argomento in dettaglio: Rinascimento napoletano.

Sotto i sovrani aragonesi la città di Napoli subì un notevole ampliamento, con la costruzione di una nuova cinta muraria con ventidue torri cilindriche. Si ebbe inoltre un notevole impulso demografico, tanto che la popolazione cittadina toccò i 110 000 abitanti sul finire del XV secolo grazie alle continue immigrazioni, non esclusa una numerosa colonia di ebrei profughi dalla penisola iberica e dalla Sicilia.

Il primo dei re aragonesi, Alfonso il Magnanimo, non seppe conquistare l'animo dei Napoletani, soprattutto perché volle abolire il "seggio del popolo", ma anche perché si circondò di Catalani e governò ricorrendo in modo esclusivo a soldati mercenari. Nel contrasto fra Angioini e Aragonesi s'innestava il conflitto interno fra la monarchia e i baroni, che si manifestò in episodi drammatici come la Congiura dei baroni sotto il regno del successore di Alfonso. Ciononostante, Alfonso I riconobbe a Napoli un'importanza primaria rispetto alle altre città del suo vasto territorio, elevandola a capitale del suo Impero[97] mediterraneo[98] e promuovendo iniziative volte ad ingrandirla ed abbellirla. La città in questo periodo divenne con Firenze il massimo centro dell'umanesimo-Rinascimento che si diffonderà nei principali paesi d'Europa[99]. Alfonso fu uno dei sovrani più appassionati dell'antichità, favorendo lo studio degli antichi autori. Alla Corte napoletana convennero grandi personalità come Lorenzo Valla (che proprio a Napoli compose lo scritto sulla falsa Donazione di Costantino), il Panormita (che fondò una famosa accademia umanistica guidata successivamente dall'umbro Giovanni Pontano), Francesco Filelfo, Enea Silvio Piccolomini (in seguito papa Pio II). La biblioteca regia si accrebbe tanto che, già nel 1443, i contemporanei la definivano "librorum infinitorun ornata".[100] Per quanto riguarda l'architettura, sono da ricordare i rifacimenti alfonsini di castel Nuovo, danneggiato dalle continue guerre, con l'aggiunta di un mirabile arco di trionfo e la superba decorazione della sala del trono (successivamente sala dei baroni). Alfonso protesse anche l'artigianato e le attività proto-industriali, introducendo nel regno la lavorazione della seta.

Per favorire l'ascesa al trono del figlio Ferdinando, Alfonso cedette le isole di Sicilia, Sardegna e Baleari a suo fratello Giovanni II di Aragona. Ferdinando (o Ferrante, 1458-1494), culturalmente ormai completamente italianizzato, continuò l'opera paterna di sviluppo edilizio e di mecenatismo. Si deve a lui l'ampliamento della cinta muraria ricordata in precedenza. Fra i principali monumenti edificati sotto il suo regno basti ricordare porta Capuana, palazzo Como, costruito fra il 1464 e il 1490, palazzo Diomede Carafa, costruito attorno al 1470, la facciata del palazzo dei principi di Salerno, attualmente facciata della chiesa del Gesù Nuovo (1470 circa).

Il favore popolare di cui godettero gli ultimi Aragonesi, soprattutto Alfonso II, fu comunque scarso. Dopo gli effimeri regni di Ferdinando II e Federico d'Aragona, la breve apparizione di Carlo VIII e la nuova occupazione francese, nel maggio del 1503 Napoli accolse festosamente il Gran Capitano Gonzalo Fernández de Córdoba. Ferdinando il Cattolico dichiarò l'annessione del regno di Napoli al regno d'Aragona (in unione dinastica a quello di Castiglia) e lo costituì in vicereame.

Carlo VIII: la presa di Napoli e le Guerre d'Italia

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Lo stesso argomento in dettaglio: Discesa di Carlo VIII in Italia.
Éloi Firmin Féron (1802–1876), Carlo VIII a Napoli

Pacificati i rapporti con le potenze europee, Carlo VIII, che vantava attraverso la nonna paterna Maria d'Angiò un diritto ereditario alla corona del Regno di Napoli, indirizzò le risorse militari della Francia verso la conquista di quel reame, incoraggiato da Ludovico il Moro (che ancora non era duca di Milano) e sollecitato dai propri consiglieri Guillaume Briçonnet e de Vers. Il re voleva impossessarsi di Napoli anche con lo scopo di farne la base per attaccare l'Impero ottomano.[101]

L'esercito di Carlo VIII, formato da 30.000 effettivi con un'artiglieria moderna, valicò le Alpi, minando così il delicato equilibrio politico degli Stati italiani sancito dalla pace di Lodi. Lungo la sua marcia, Carlo distrusse varie città e le armate del Regno di Napoli e dello Stato Pontificio: ciò impaurì molto gli abitanti della penisola, non abituati ad un esercito di tali proporzioni e violenza.

La rapidità e la facilità con cui Carlo VIII fu incoronato re di Napoli, e la posizione di dominio in Europa che gli derivava dall'unione delle corone di Francia e di Napoli, suscitarono una Lega antifrancese, composta da Venezia, dall'Austria, dal Papato, dal Ducato di Milano e dalle due monarchie spagnole. Dopo poco più di un anno, Carlo comprese che era giunto il tempo di ritirarsi in Francia. Un esercito formato dagli Stati italiani tentò di sbarrargli la strada: pur sconfitto, Carlo VIII riuscì a sfuggire all'accerchiamento, al costo della perdita di gran parte delle sue truppe. La sua fallimentare calata su Napoli diede però inizio alle celebri guerre d'Italia (definite "horrende" da Niccolò Machiavelli) che da locali divennero in breve tempo di scala europea, coinvolgendo, oltre alla Francia anche la maggior parte degli Stati italiani, il Sacro Romano Impero, la Spagna, l'Inghilterra e l'Impero ottomano.

Il Viceregno spagnolo

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Napoli nel XVII secolo

La Napoli spagnola copre un arco di tempo che va dal 1503 al 1713[102]: una grande moltitudine di viceré si susseguì al governo cittadino, e dovette fare i conti con i dirigenti che risiedevano molto lontano, nella capitale (in realtà, prima del 1561 l'Impero spagnolo non aveva una capitale ufficiale. Venne stabilita nella piccola cittadina di Madrid da Filippo II, a causa della sua posizione centrale nella penisola Iberica[103]), i quali percependo le problematiche secondo la loro prospettiva, solo alquanto di rado erano propensi ad intendere quanto veniva riferito dalla periferia. In aggiunta vi furono complicanze locali, non tanto perché i viceré erano spagnoli e per dovere di mandato delineavano i compensi della Spagna, quanto per vantaggi personali, dispute, ecc. A loro volta tali figure erano poi mosse da vizi, debolezze, ecc. che influenzarono senza dubbio il loro operato politico.[104]

Durante questa parentesi storica, la città partenopea non cadrà in una condizione provinciale[92][105][106], tutt'altro. Napoli assurse ad un grado di crescita demografica (il secondo agglomerato urbano del Mediterraneo dopo Costantinopoli; il primo, probabilmente, del cristianesimo occidentale del XVI secolo[105]), economica, culturale, urbanistica, divenendo uno dei massimi centri della Monarchia Universale spagnola[107] ma divenendo anzitutto una delle metropoli e grandi capitali d'Italia e d'Europa[108][109]. Il suo enorme rifornimento alimentare[110] rappresentava oltre che un drammatico problema, pure un considerevole organismo di prestigio sia economico che politico[105]; i livelli di produzione partenopei erano alquanto frenetici con rilevanti esercizi nel comparto tessile[105] e la moderna flotta mercantile poteva competere con Siviglia e le Fiandre[111]. La città era cresciuta a dismisura, ma non era progredita, non aveva potuto assimilare il costante flusso migratorio nel proprio tessuto socio-economico: conosceva di già la piaga dell'urbanesimo[108] e non esisteva in primis una classe dirigenziale capace di far fronte a questa crescita esponenziale. Sul fronte politico l'inserimento, a forza di cose, del baronato nell'organizzazione di governo comportò una paralisi socio-politica che minò gravemente sia lo sviluppo in chiave moderna dello stato sia i processi di crescita economica[105]. Culturalmente Napoli divenne un centro così florido che, negli istanti più illustri del Siglo de Oro, oltrepassò, per la sua facoltà di attirare le personalità più estrose dell'Impero, la corte madrilena.[112]

La città, sul piano urbanistico, vide le trasformazioni attuate da Don Pedro di Toledo. Costui raddoppiò il perimetro urbano, dotò la città di un sistema difensivo che si estendeva da Baia allo Sperone e fece costruire via Toledo e i Cuarteles.

Sul fronte bellico il Regno di Napoli venne minacciato dalla lega santa di Papa Clemente VII. Lo scopo della lega fu quello di cacciare gli spagnoli da Napoli e di consegnare il meridione ai francesi. Dopo la prima sconfitta della lega a Roma, i francesi risposero assediando Melfi e circa un mese dopo la stessa capitale (1528). Intanto Otranto e Manfredonia venivano occupate dalla Serenissima. Quando la flotta genovese passò dallo schieramento francese a quello spagnolo, l'assedio di Napoli si tramutò nell'ennesima sconfitta dei nemici della Spagna. Le ostilità francesi contro i domini spagnoli in Italia però non cessarono: Enrico II di Francia si alleò con l'Impero ottomano; nell'estate del 1552 la flotta turca attaccò quella imperiale a Ponza, sconfiggendola. La flotta francese però non riuscì a ricongiungersi con quella ottomana e l'attacco a Napoli fallì.

Napoli in questo periodo storico dovette vedersela anche coi corsari turchi (che arrivarono a depredare il borgo di Chiaia), con una terribile pestilenza, con una grande calamità naturale e con numerose sollevazioni popolari: ora dovute ai tentativi inquisitori (vedi anticurialismo), ora alle pressioni fiscali, la più famosa ed ardimentosa delle quali fu quella che vide protagonista il popolano Masaniello.

La rivolta di Masaniello

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La rivolta di Masaniello in un dipinto di Michelangelo Cerquozzi
Lo stesso argomento in dettaglio: Masaniello e Repubblica napoletana (1647).

Nel corso della prima metà del XVII secolo il paese cadde in una crisi socio-economica alquanto grave, comune a tutta Europa ma aggravata a Napoli da un governo quasi sempre lontano dagli interessi locali e teso in quel momento solo a finanziare le guerre sempre più dispendiose in corso sul teatro europeo. Per sostenere lo sforzo bellico furono chiesti al regno elevati balzelli. Nel 1646 Rodrigo Ponce de León, duca d'Arcos aumentò in maniera ulteriore le tasse e l'anno successivo, con il lievitare del costo della frutta (l'alimento più consumato dai ceti umili del tempo), si scatenò la rivolta.

Il grido con cui il pescatore Masaniello sollevò il popolo il 7 luglio fu: «Viva il re di Spagna, mora il malgoverno», secondo la consuetudine popolare tipica dell'Ancien régime di cercare nel sovrano la difesa dalle prevaricazioni dei suoi sottoposti. Dopo dieci giorni di rivolta che costrinsero gli spagnoli ad accettare le rivendicazioni popolari, a causa di un comportamento sempre più dispotico e stravagante Masaniello fu accusato di pazzia, tradito da una parte degli stessi rivoltosi ed assassinato all'età di ventisette anni. Con la fine di Masaniello la rivolta tuttavia non si spense ed anzi assunse, sotto la guida del nuovo capopopolo Gennaro Annese, un marcato carattere antispagnolo. Gli scontri contro la nobiltà e i soldati si susseguirono violentissimi nei mesi successivi, fino alla cacciata degli spagnoli dalla città. Il 17 dicembre fu infine proclamata la Real Repubblica Napoletana sotto la guida del duca francese Enrico II di Guisa, che in qualità di discendente di Renato d'Angiò rivendicava diritti dinastici sul trono di Napoli. L'esempio di Masaniello fu poi seguito anche da popolani di altre città: da Giuseppe D'Alesi a Palermo e da Ippolito di Pastina a Salerno. La parentesi rivoluzionaria si concluse solo il 6 aprile 1648, quando don Giovanni d'Austria, figlio naturale di Filippo IV, alla guida di una flotta proveniente dalla Spagna riprese il controllo della città. Nel 1701, più di cinquant'anni dopo la rivolta popolare, ci fu un altro tentativo di insurrezione contro il governo spagnolo, ma stavolta da parte della nobiltà: la congiura di Macchia. La ribellione nobiliare fallì anche a causa di una scarsa partecipazione dei ceti umili, memori dell'ostilità dei nobili durante la rivolta di Masaniello. Fallita anche la congiura di Macchia, il dominio spagnolo su Napoli continuò senza più opposizioni fino al 1707, anno in cui la guerra di successione spagnola pose fine al viceregno iberico sostituendogli quello austriaco. La notizia della ribellione guidata dal pescivendolo napoletano varcò i confini del regno ed attraversò rapidamente tutta l'Europa. In Inghilterra Oliver Cromwell, dopo la guerra civile inglese, instaurò la repubblica nel 1649. La figura di Cromwell e quella di Masaniello venivano spesso accostate: nei Paesi Bassi fu coniata una medaglia raffigurante da un lato il volto di Cromwell incoronato da due soldati, e dall'altro quello di Masaniello incoronato da due marinai. Le iscrizioni sotto i due volti recitano: OLIVAR CROMWEL PROTECTOR V. ENGEL: SCHOTL: YRLAN 1658 (Oliver Cromwell protettore d'Inghilterra, Scozia e Irlanda 1658), e MASANIELLO VISSCHER EN CONINCK V. NAPELS 1647 (Masaniello pescatore e re di Napoli 1647).[113]

L'eruzione del 1631 e la grande peste del 1656

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Lo stesso argomento in dettaglio: Eruzione del Vesuvio del 1631 e Peste del 1656.

Nel 1631 ci fu un'altra terribile eruzione del Vesuvio, dopo gli eventi di età classica del 79 d.C. e del 472. Dopo numerosi eventi premonitori quali rigonfiamento del suolo, piccoli terremoti, all'alba del 16 dicembre il Vesuvio rientrò in attività dopo un periodo di riposo di 130 anni, con l'apertura di una bocca laterale sul versante Sud-Est con un'iniziale fase di attività stromboliana. Una prima fase espulse ceneri frammiste all'acqua che scesero a valle a grandi velocità, oltre a colonne di vapore. Successivamente ebbe luogo una violenta attività esplosiva dal cratere centrale con una colonna di ceneri, pomici e gas alta dai 13 ai 19 km. Nella seconda parte della giornata del 16 dicembre e nella successiva del 17 vi fu l'emissione dei flussi piroclastici, e uno di questi terrorizzò particolarmente la popolazione partenopea, in quanto diede l'impressione di dirigersi proprio verso Napoli[118]. Le nubi ardenti mieterono vittime a Portici, a Torre del Greco e negli altri paesi non lontani dal vulcano.

Portici, Resina (l'antica Ercolano), Torre del Greco e Torre Annunziata furono semidistrutte, mentre la frazione Pietra Bianca fu ridenominata, da allora, Pietrarsa. Le vittime accertate in quell'area furono tremila; molti di più furono gli animali (soprattutto bovini) uccisi dal torrente di lava. A ricordo dell'evento eruttivo, vi è la statua del santo patrono San Gennaro al Ponte della Maddalena, rivolta verso il Vesuvio; a Portici una lapide fatta murare dal Viceré, ammonisce il viandante a fuggire al minimo rumoreggiare del vulcano. Sebbene il Vesuvio minacciò prevalentemente le città satelliti della capitale anziché Napoli stessa, questa dovette comunque far fronte a varie problematiche interne, esattamente come era avvenuto molti secoli prima durante l'eruzione del 79: un rapido incremento demografico a causa dei fuggitivi (circa 44.000), la considerevole pioggia di ceneri abbattutasi sulla città (25–30 cm) che rese difficoltosa la respirazione e discreti eventi sismici[119]. L'allora Vescovo di Napoli tenne una processione che partì dalla cattedrale sino alla basilica di Santa Maria del Carmine Maggiore. In seguito i napoletani ringraziarono il loro Santo patrono per lo scampato pericolo, attraverso la costruzione della guglia di San Gennaro.

Tuttavia Napoli, nonostante seppe tener testa alle problematiche scaturite dall'eruzione del 1631 e alle problematiche scaturite dal malgoverno, di lì a poco si sarebbe rivelata del tutto impotente davanti alla grande peste del 1656.

La peste del 1656 fu un'epidemia che colpì parte dell'Italia, in particolare il Regno di Napoli. A Napoli arrivò dalla Sardegna e il tasso di mortalità oscillò tra il 50 e il 60 % della popolazione [120]. Napoli da una popolazione di 450.000 abitanti (compresi i suoi casali)[121] si ridusse ad averne circa 200.000. Tuttavia la città seppe riprendersi presto, come ci è confermato anche da L. De Rosa:

«La crescita demografica riprese vivace nei primi decenni del Seicento. Ed anche se la peste del 1656 decimò la sua popolazione alla fine del Seicento Napoli presentava un numero di abitanti maggiore che agli inizi del Cinquecento. Se Londra non fosse cresciuta nel corso del Seicento, nonostante l'incendio che l'aveva devastata, Napoli sarebbe stata, agli inizi del Settecento, non la terza, ma ancora dopo Parigi, la seconda città d'Europa per popolazione.»

Napoli barocca

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La certosa di San Martino

«Che cosa significasse per il Caravaggio l’incontro con l'immensa capitale mediterranea, più classicamente antica di Roma stessa, e insieme spagnolesca e orientale, non è difficile intendere a chi abbia letto almeno qualche passo del Porta o del Basile; un’immersione entro una realtà quotidiana violenta e mimica, disperatamente popolare.»

Nell'ottobre del 1606, l'arrivo di Caravaggio a Napoli provocò un vero e proprio sconvolgimento nel panorama artistico della città, influenzando in particolar modo molti pittori locali che di lì a poco resero Napoli il secondo centro focale, ma anche il centro continuatore, del caravaggismo[123].

Uno dei massimi esponenti di questa corrente pittorica, nonché l'artista partenopeo ad essere stato maggiormente influenzato dal Caravaggio fu Battistello Caracciolo, già probabilmente allievo di Belisario Corenzio, importante frescante che eseguì, oltre agli affreschi nella certosa di San Martino, numerosi lavori presso diverse chiese napoletane (su tutti quello presente nella chiesa del Pio Monte della Misericordia raffigurante la Liberazione di san Pietro). Il Caracciolo esprime appieno la grande rivoluzione caravaggesca delle tonalità della luce e dell'uso dell'ombra, abbandonando però gradualmente il realismo del maestro e avvicinandosi a modelli idealizzati classicisti probabilmente in seguito ai viaggi a Roma e Firenze.[124]

Da un punto di vista architettonico i temi barocchi influenzarono, così come anche nella pittura, soprattutto il primo trentennio del XVII secolo. Ma solo nel Settecento, con Ferdinando Sanfelice, l'architettura barocca napoletana si indirizzò verso un vero gusto barocco per forme spaziali complesse.[125] Ciononostante, dal 1610 e nei decenni a venire a Napoli si costruirono numerose chiese barocche, spesso ornate con ricche decorazioni marmoree o a stucco (confrontabili con gli interni berniniani). In questo secolo furono attivi architetti come Francesco Grimaldi e Cosimo Fanzago. Il Fanzago lavorò nella certosa di San Martino e innalzò la chiesa di Santa Maria Egiziaca a Pizzofalcone, l'incompiuto palazzo Donn'Anna e la guglia di San Gennaro, mentre il primo innalzò la reale cappella del Tesoro di san Gennaro e la basilica di Santa Maria degli Angeli a Pizzofalcone.

La produzione letteraria, invece, scoprì le risorse della letteratura dialettale, mentre il mondo musicale, in contrapposizione all'opera seria, vide nascere l'opera buffa.

Fu Giulio Cesare Cortese a porre le basi per la dignità letteraria ed artistica del dialetto napoletano[126]. Contemporaneo di quest'ultimo fu Giovan Battista Marino, considerato il massimo rappresentante della poesia barocca in Italia. La sua concezione di poesia, che, esasperando gli artifici del manierismo era incentrata su un uso intensivo delle metafore, delle antitesi e di tutti i giochi di rispondenze foniche, a partire da quelli paronimici, sulle descrizioni sfoggiate e sulla molle musicalità del verso, ebbe ai suoi tempi una fortuna immensa[127], paragonabile solo a quella del Petrarca prima di lui (vedi marinismo).

Sebbene lo stile buffo iniziò a svilupparsi con La Cilia (1707) di Michelangelo Faggioli su libretto di Francesco Antonio Tullio, considerata la prima opera buffa in assoluto, fu solo con Il trionfo dell'onore di Alessandro Scarlatti del 1718 (prima opera buffa dello Scarlatti) che il genere prese coscienza di sé.

Infine, da un punto di vista filosofico, Giambattista Vico delineò i tratti di una nuova attività culturale basata non soltanto sulla ragione, ma anche sull'estro, sui sentimenti e l'ingegno, del tutto in contrasto col pensiero cartesiano.[128]

Il Viceregno austriaco e la riconquista dell'indipendenza coi Borbone di Napoli

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Nel corso della Guerra di successione spagnola, l'Austria conquistò Napoli e la tenne fino al 1734, quando con Carlo III di Borbone - dopo la guerra di successione polacca - il regno tornò indipendente. Il breve periodo austriaco fu caratterizzato da una gravosa politica di prelievi fiscali (dapprima dovuta alle spese di guerra nelle quali l'Impero asburgico si era invischiato e poi dal tentativo di risanare le finanze statali [129]) e da un intervento rivolto a limitare gli immobili di proprietà di chiese e conventi. Un intervento che avrebbe dovuto contrastare il vecchio problema di carenza di alloggi, vista l'elevata popolazione (310.000 abitanti[130]). Per gli stessi motivi a questo periodo si rifà l'abolizione delle Prammatiche spagnole (1718) che avevano bloccato l'espansione urbana fuori dalle mura. Con Carlo III la città vide importanti segni in numerosi settori (fisco, commercio, difesa, economia, ecc.), ma soprattutto in quello urbanistico, e l'opera di Carlo (che nel 1759 lasciò Napoli per assumere la corona di Spagna) fu continuata dal figlio Ferdinando IV, finché non venne rovesciato dalle correnti rivoluzionarie e dalle truppe francesi nel 1799.

Le riqualificazioni urbane e la «nuova capitale»

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Lo stesso argomento in dettaglio: Storia dell'urbanistica e dell'architettura di Napoli.
Napoli intra-muros nel XVIII secolo

Carlo III di Spagna voleva trasformare Napoli in una eccelsa capitale europea[131] e decise di dar luogo ad un ambizioso piano urbano che divenne il proclama della sua visione politica illuminata. Tale programma urbano implicò una nuova rivalutazione economica delle zone fuori le mura ma strategicamente decisive rispetto al nucleo storico della città e dispose di farle crescere tramite la creazione di ulteriori grandi architetture.[132][133]

Nel 1737 Carlo affidò a Giovanni Antonio Medrano e ad Angelo Carasale il compito di costruire un grande teatro d'opera, che avrebbe dovuto sostituire il Teatro San Bartolomeo. L'edificio fu edificato in circa sette mesi, dal marzo all'ottobre, e fu inaugurato il 4 novembre, onomastico del re, da cui prese il nome di Real Teatro di San Carlo[134]. L'anno seguente Carlo commissionò agli stessi architetti, affiancati questa volta da Antonio Canevari, la costruzione delle regge di Portici e di Capodimonte appena fuori le mura. La prima fu per anni la residenza preferita dei sovrani, mentre la seconda, concepita inizialmente come casino di caccia per la vasta area boscosa circostante, fu in seguito destinata a ospitare le opere d'arte farnesiane che Carlo aveva trasferito da Parma.

In un'area extra moenia maggiormente riparata da eventuali attacchi via mare (vedi spedizione navale britannica contro Napoli del 1742), in zona casertana, decise oltremodo di erigere una reggia che potesse rivaleggiare in magnificenza e imponenza con la francese Versailles o la viennese Schönbrunn[135].

Ancora, in questo periodo al Vanvitelli fu assegnato il compito di disegnare anche il Fòro Carolino (oggi piazza Dante, all'epoca chiamata largo del Mercatello). Il Fòro Carolino fu costruito a forma di emiciclo e cinto da un colonnato, alla cui sommità furono poste ventisei statue raffiguranti le virtù di re Carlo, alcune delle quali scolpite da Giuseppe Sanmartino[136][137]. La nicchia centrale del colonnato avrebbe dovuto ospitare una statua equestre del sovrano, mai realizzata. Sul piedistallo furono incise iscrizioni di Alessio Simmaco Mazzocchi.

Frutto di una visione illuminata sociale anziché politica, fu invece ad esempio il Real Albergo dei Poveri, edificio dove gli indigenti, i disoccupati e gli orfani avrebbero ricevuto ospitalità, nutrimento ed educazione. La costruzione del palazzo, ispirata dal predicatore domenicano Gregorio Maria Rocco, fu affidata all'architetto Ferdinando Fuga e s'iniziò invece il 27 marzo 1751. Il volume dell'edificio, paragonabile alla stessa Reggia di Caserta, con un fronte di 400 metri e una superficie utile di 103.000 m², misura solo la quinta parte di quello previsto dal progetto originale (fronte di 600 metri, lato di 135).[138] La piazza antistante la facciata principale era chiamata piazza del Reclusorio, dal nome popolare del palazzo, fino al 1891, quando fu rinominata piazza Carlo III.[139]

Napoli capitale illuministica

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Lo stesso argomento in dettaglio: Illuminismo in Italia.

In questo periodo Napoli si affermò anche come uno dei più importanti centri illuministi d'Europa;[140] infatti, non assorbì semplicemente questa corrente, anzi, la generò in buona parte dando vita a nuove scoperte archeologiche (le vicine città di Ercolano, Pompei, ecc.),[141] a nuove forme architettoniche, a nuovi pensieri filosofici[142] e ponendo le basi alla moderna economia politica.[143] In realtà Napoli era già stata il centro vitale della filosofia naturalistica del Rinascimento,[144] ed ora tornò a dare nuovo impulso al pensiero di diversi esponenti, quali ad esempio Mario Pagano, uno dei più importanti giuristi e politici italiani dell'epoca rivoluzionaria,[145] che in gran parte si rifacevano all'opera di Giambattista Vico, eliminando però gli aspetti cristiani della sua filosofia.[146]

Rilevante fu il già esplicato programma urbano di stampo illuminista che interessò essenzialmente le zone fuori le mura. Politicamente, le prese di posizione anticuriale e antifeudale del governo napoletano divennero modelli d'ispirazione che riscossero successo anche all'estero.

Da ricordare anche la nascita della scuola economica di Antonio Genovesi, che portò diverse innovazioni nel campo dell'economia nazionale e non solo, seguito anche in Puglia dal letterato Ferrante de Gemmis Maddalena, che fondò un'Accademia illuminista, e dall'economista Giuseppe Palmieri, direttore del Supremo Consiglio delle Finanze del Regno di Napoli alla fine del Settecento.[147] Altri nomi di spicco che posero le basi della moderna economia politica, delle discipline economiche e monetarie sono: Ferdinando Galiani e Gaetano Filangieri. Quest'ultimo in particolare, con la sua scienza della legislazione, farà da ispirazione agli artefici della Rivoluzione francese.[148]

Gli ultimi illuministi napoletani, come Mario Pagano, Ignazio Ciaia e Domenico Cirillo aderirono alla Repubblica Napoletana, finendo quindi giustiziati il 29 ottobre 1799 a seguito del ripristino del potere borbonico. Altri come il canonico Onofrio Tataranni, ebbero salva la vita, perché protetti dalla stessa Chiesa.

La riscoperta di Pompei ed Ercolano e l'impatto sull'Europa
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Lo stesso argomento in dettaglio: Neoclassicismo.

Gli scavi archeologici di Ercolano (un suburbio dell'antica Neapolis)[149] e quelli di Pompei (le prime campagne al mondo di scavo sistematiche[150] condotte da Roque Joaquín de Alcubierre e Karl Jakob Weber a partire dal 1738) e le relative scoperte, ebbero enorme influenza nella formazione del gusto o moda neoclassica internazionale[151][152], che a Roma trovò sistematizzazione teorica nello stile neoclassico[153]. Inizialmente i rinvenimenti non diedero luogo ad un rinnovamento stilistico locale, che si ebbe tardivamente con l'arrivo di artisti non autoctoni nei cantieri regi, della Reggia di Caserta in primis.

La repubblica partenopea

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La bandiera della Repubblica Partenopea

La Repubblica Napoletana sorta nel 1799 sul modello di quella francese ebbe vita breve intensa ma breve a causa del distacco del popolo e della dipendenza dall'aiuto militare della Francia, che ne limitò di molto l'autonomia costringendo a sostenere le ingenti spese militari richieste dall'esercito francese sul territorio. A questo si aggiunse la repressione contro gli oppositori della repubblica che non contribuì a conquistare le simpatie popolari.

La Repubblica fu comunque spazzata via dopo pochi mesi dall'armata sanfedista giunta sul Ponte della Maddalena e guidata dal cardinale laico Fabrizio Ruffo, appoggiato dalla flotta inglese e formata in gran parte dai cosiddetti "lazzari" (i popolani napoletani filo-borbonici). La riconquista di Napoli da parte di Ferdinando fu segnata dalla repressione nei confronti degli esponenti della Repubblica Napoletana, tra cui molti intellettuali e nobili illuminati, repressione che portò a circa un centinaio di esecuzioni (vennero mandati a morte più di 120 patrioti, mentre furono 1200 le persone imprigionate).[154]

Età contemporanea

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Il Regno di Bonaparte e Murat

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Lo stesso argomento in dettaglio: Risorgimento.
Il Regno delle Due Sicilie

Dopo pochi anni, comunque, nel 1806, Napoli fu conquistata nuovamente dai francesi (nonostante la vittoria anglo-napoletana di Maida, in Calabria). La guerra continuò fino al 1808 quando tutta la parte continentale del Regno fu conquistata e posta sotto il controllo di Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone.

Nel 1811 il re Gioacchino Napoleone Murat, grande urbanista, vi fece istituire la Scuola di applicazione per il corpo degli ingegneri di ponti e strade, costituitasi come Scuola superiore politecnica ai primi del XX secolo per poi essere aggregata all'attuale università Federico II diventando, nel 1935, la prima facoltà di Ingegneria in Italia. Per sostenere l'imperatore francese ed impedire la restaurazione borbonica sul trono di Napoli, Murat dichiarò guerra all'Austria ma venne definitivamente sconfitto nella battaglia di Tolentino. Tuttavia malgrado la sconfitta, l'intervento austriaco in Italia diede inizio alla catena di eventi che portarono al Risorgimento italiano, di cui la guerra austro-napoletana, con il suo Proclama di Rimini, rappresentò l'antesignana.

Murat tentò con uno sbarco in Calabria la riconquista armata del regno, finendo fucilato a Pizzo, in rispetto di una legge emessa dallo stesso Gioacchino.

Il ritorno di Ferdinando e dei Borbone avvenne grazie al Trattato di Casalanza, firmato il 20 maggio 1815 presso Capua, in casa dei Baroni Lanza.

Il ritorno dei Borbone e il Regno delle Due Sicilie

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Lo stesso argomento in dettaglio: Regno delle Due Sicilie.
La Bandiera del Regno delle Due Sicilie, adottata il 25 giugno 1860

L'8 dicembre 1816, Ferdinando IV riunì in un unico Stato i regni, fino a quel momento solo formalmente divisi, di Napoli e Sicilia con la denominazione di Regno delle Due Sicilie (con capitale Palermo, secolare sede del Parlamento Siciliano, ma l'anno successivo spostata a Napoli), abbandonando per sé il nome di Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia ed assumendo quello di Ferdinando I delle Due Sicilie.

Il 1820 in Europa fu l'anno delle agitazioni contro l'assolutismo monarchico, e a Napoli queste si manifestarono nella rivolta capitanata da Guglielmo Pepe. Intimorito da queste nuove difficoltà, Ferdinando acquisì un comportamento ambiguo, elargendo dapprima la Costituzione, e chiedendo poi l'aiuto austriaco, per poterla ritirare. In seguito salì al trono il figlio Francesco I delle Due Sicilie che non lasciò importanti segni nella storia cittadina.

Con la salita al trono di Ferdinando II Napoli vide numerosi impulsi in molti settori[155]. Sul piano politico nel 1848, con le sommosse liberali, anche a Napoli si verificarono sollevazioni popolari che portarono alla promulgazione di una carta costituzionale, poco dopo abrogata dal sovrano con successiva repressione[156][157].

La spedizione dei Mille e la fine del regno

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Alla morte del re Ferdinando gli succede il giovane Francesco II, che sarà l'ultimo Re delle Due Sicilie. Nel 1860 il Regno delle Due Sicilie venne conquistato dai Garibaldini e dalle truppe del Regno di Sardegna, le quali attaccarono il regno senza dichiarazione di guerra, fino al decisivo assedio di Gaeta del 1860-61[158]. Giuseppe Garibaldi entrò a Napoli il 7 settembre trionfalmente acclamato dalla popolazione [159]. Un plebiscito sancì l'unione al Regno d'Italia.

Napoli dopo l'Unità d'Italia

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Lo stesso argomento in dettaglio: Questione meridionale.
Napoli dalla certosa di San Martino, tra il 1870 e il 1880
La galleria Umberto I, costruzione simbolo del Risanamento

«Andando a Firenze, dopo due anni, dopo cinque, anche dopo sei se volete, potremo dire addio ai fiorentini e andare a Roma; ma da Napoli non si esce; se vi andiamo, saremo costretti a rimanerci. Volete voi Napoli? Se ciò volete, badate bene, prima di prendere la risoluzione di andare a stabilire la capitale a Napoli, bisogna prendere quella di rinunziare definitivamente a Roma.»

In molti territori del vecchio Regno l'opposizione al nuovo regime, promossa in parte dal vicino Stato della Chiesa, durò per un decennio, con angherie e devastazioni. Molti soldati borbonici furono rinchiusi nel Forte di Fenestrelle in Piemonte, anche se in realtà questo episodio, poco considerato dalla storiografia risorgimentale, è oggetto di interpretazioni divergenti[161][162][163]. Parte della guerriglia contro le forze italiane si organizzò con il brigantaggio.

Nel 1863 la città fu teatro del primo eccidio della storia operaia italiana: i lavoratori della locale fabbrica ferroviaria di Pietrarsa scesero in sciopero, ma vennero aggrediti dalle forze dell'ordine.[164] Ci furono 20 feriti e 4 morti.

Lo stesso argomento in dettaglio: Strage di Pietrarsa.

Nel 1864 il Regno d'Italia fu forzato dalla Convenzione di settembre con il Secondo Impero francese di Napoleone III a spostare la capitale da Torino[165]. Tra i motivi dello spostamento vi furono quelli militari: Napoli venne ritenuta la favorita assieme a Firenze (la prima era "protetta" dal Mar Tirreno e la seconda dall'Appennino[166]). La città partenopea, per ragioni politiche, venne considerata dalla maggioranza del gabinetto una candidata particolarmente adatta, ma non ottenne l'appoggio del re che ritenne Firenze una città più consona ad un ruolo di capitale temporanea[167], scelta confermata dal comitato di cinque generali chiamato a decidere, in quanto Napoli non sarebbe stata sufficientemente difendibile con la flotta italiana che non era ai livelli di quella francese o inglese[168].

Le difficoltà dovute alla perdita del suo precedente e secolare status di capitale, unite al nuovo sistema fiscale e doganale nazionale ereditato da quello piemontese[169], causarono una profonda crisi sociale ed economica[170][171] (denunciata anche dalla scrittrice Matilde Serao nei suoi libri Il ventre di Napoli e Il paese di cuccagna)[172].

Le condizioni così difficili del comune più popoloso del Regno d'Italia (e lo sarà almeno fino agli anni trenta del Novecento, superato dapprima da Milano e poi da Roma),[173][174] furono all'origine, a fine XIX secolo, di una lunga e profonda trasformazione urbanistica che risentì notevolmente delle influenze del grande piano di ristrutturazione di Parigi sotto il Secondo Impero.[175] In questo periodo furono costruiti nuovi quartieri, piazze, edifici e aperte le arterie di via Duomo, del Rettifilo, di via A. Depretis, di via Francesco Caracciolo e viale Gramsci. Per far posto ai nuovi edifici furono sacrificate anche varie strutture di gran valore architettonico o artistico. Questo frangente storico coincise oltremodo con la nascita di un eminente ambiente culturale e sociale[176] (tra i nomi più in vista si ricordi ad esempio il filosofo, storico e politico Benedetto Croce), nonché con l'affermazione della città come uno dei principali porti dal quale partivano le spedizioni per le colonie d'oltremare e milioni di italiani che emigravano in Argentina e negli Stati Uniti.

Lo stesso argomento in dettaglio: Risanamento di Napoli.

Nell'anno 1900 in città si riscontrò un grave scandalo - una specie di tangentopoli ante-litteram che portò fino all'Inchiesta Saredo. Non è da escludere che le cause di ciò furono da riscontrare nelle contingenze storiche post-unitarie. Napoli infatti, perso il ruolo di capitale, ambiva a crearsi una nuova immagine identitaria. Sul territorio si faceva sempre più evidente la cruente lotta per il controllo del Comune e per l'occupazione di seggi in Parlamento.[177] Nel 1891 il comune di Napoli venne sciolto per sospetto d'illeciti e fu affidato al commissario Giuseppe Saredo che nove anni dopo fu membro di un Consiglio d'inchiesta sulla città, diviso in più parti. Tale Consiglio indagò sull'acquedotto del Serino, l'istruzione, i bilanci, ecc., provando i legami tra la camorra e l'amministrazione. L'eco degli scandali napoletani arrivò anche in Parlamento. A trentanove anni dall'unificazione italiana la città era già stata commissariata ben nove volte.[178]

Nel 1906 ci fu un'altra energica eruzione del Vesuvio (VEI 4). A Napoli centro, a causa dell'accumulo di ceneri, crollò il tetto del mercato di Monteoliveto che causò la morte di 11 persone e 30 feriti. Ad avere la peggio furono però le città satelliti e sobborghi ad oriente della città. Si verificarono anche lahar ed alluvioni. L'evento portò l'Italia a rinunciare all'organizzazione delle Olimpiadi del 1908, organizzazione ceduta a Londra.

Lo stesso argomento in dettaglio: Eruzione del Vesuvio del 1906.

Durante la settimana rossa, una reazione popolare scaturita dall'uccisione di tre operai da parte delle forze dell'ordine, anche a Napoli ci furono rilevanti disordini, come quello del 10 giugno 1914 in cui un corteo di socialisti ed anarchici tentò di assaltare la stazione centrale.

L'11 marzo 1918 nel corso del primo conflitto mondiale, pur trovandosi molto distante dalla zona di guerra, la città fu bombardata dal dirigibile tedesco L.58 partito da una base bulgara: esso, che aveva come obiettivo le officine metallurgiche ILVA di Bagnoli e le strutture portuali (inoltre dal 1916 all'Università di Napoli si fabbricavano armi ed elementi chimici ad uso bellico, come la cloropicrina), sganciò 6400 kg di bombe causando almeno 20 vittime ed oltre 100 feriti tra la popolazione civile[179][180].

Lo stesso argomento in dettaglio: Bombardamento di Napoli del 1918.

Colpita duramente anch'essa, come le altre città italiane, durante la crisi economica del primo dopoguerra, si riprese, in parte, durante il ventennio fascista.

Periodo fascista

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Il Teatro Mediterraneo della Mostra d'Oltremare

«Io vedo la grandissima Napoli futura, la vera metropoli del Mediterraneo nostro - il Mediterraneo ai mediterranei - e la vedo insieme con Bari (che aveva sedicimila abitanti nel 1805 e ne ha centocinquantamila attualmente) e con Palermo costituire un triangolo potente di forza, di energia, di capacità; e vedo il fascismo che raccoglie e coordina tutte queste energie, che disinfetta certi ambienti, che toglie dalla circolazione certi uomini, che ne raccoglie altri sotto i suoi gagliardetti.»

Il 24 ottobre 1922 Mussolini radunò a Napoli 40 000 camicie nere, affermando il diritto del fascismo a governare l'Italia: era il preludio della marcia su Roma, in seguito alla quale il re Vittorio Emanuele III cedette alle pressioni dei fascisti e decise di incaricare il Duce di formare un nuovo governo.[182]

Napoli, nonostante dal 1860 avesse visto ridotto il suo ruolo politico, riuscì a rimanere capitale culturale ed economica del Mezzogiorno, almeno per un altro cinquantennio.[183] Dopo tale periodo, in epoca fascista, assunse un ruolo di fondamentale importanza in Italia: con lo spostamento del baricentro politico-economico del paese verso il Mezzogiorno[184], Napoli andava infatti riassumendo in maggior misura, nella nuova veste di "città porto dell'Impero"[185][186] (anche se quest'ultimo perse il ruolo militare, dato che gran parte della flotta venne trasferita a Taranto), la funzione svolta durante gli anni dell'espansione coloniale italiana. A tal proposito vennero attuate alcune iniziative di propaganda militarista (si ricordi la visita di Hitler nel maggio del 1938)[187] e venne costruita la Mostra d'Oltremare. Essa fu ideata ed allestita nel 1937 parallelamente all'EUR di Roma per ospitare una manifestazione volta a celebrare l'espansione politica ed economica dell'Italia nelle cosiddette terre d'oltremare, per aiutare lo sviluppo economico del Mezzogiorno e per spronare l'espansione verso ovest della città, ossia verso i Campi Flegrei.[188] Il progetto Mostra/Fuorigrotta rappresentò uno tra i più importanti piani urbani napoletani. Furono oltremodo attuati interventi anche in altre zone della città, come in quella collinare e costiera, e venne inaugurato il primo passante ferroviario di penetrazione urbana sotterraneo d'Italia, noto come "metropolitana FS", con la tratta Napoli-Pozzuoli.[189] Forte fu anche l'incremento del settore industriale: alla vigilia della seconda guerra mondiale, su una popolazione di quasi 900.000 abitanti, circa 130.000 lavoravano in questo settore, ovvero il 14%. Le ulteriori realizzazioni in vista per la città ebbero invece una battuta di arresto a causa della stagione delle guerre (prima quella d'Etiopia, poi quella di Spagna e infine il secondo conflitto mondiale).

La seconda guerra mondiale

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Lo stesso argomento in dettaglio: Bombardamenti di Napoli e Quattro giornate di Napoli.
L'eruzione del Vesuvio del 1944 in piena occupazione americana, vista dai giardini di villa Lucia

L'economia cittadina crollò all'ingresso dell'Italia nel secondo conflitto mondiale. Napoli e i suoi contorni, nonostante il grande patrimonio storico-artistico, non furono essenzialmente rispettati come Firenze, Venezia e Roma[190] (emblematica è la distruzione della grande basilica di Santa Chiara o i considerevoli danni negli scavi archeologici di Pompei)[191], ma al contrario vennero considerati un obiettivo primario soprattutto a causa della grande importanza del porto. La città partenopea fu la città italiana che subì il numero maggiore di bombardamenti[192], con circa 200 raid aerei (tra ricognizioni e bombardamenti) dal 1940 al 1944, principalmente da parte alleata, di cui ben 181 soltanto nel 1943 e con un numero di morti stimato tra le 20 e le 25'000 persone, in gran parte tra la popolazione civile[193][194]. Nel 1943 la città subì ingenti danni anche a causa della nave Caterina Costa[195]. Il bastimento, ormeggiato nel porto, era carico di materiale bellico destinato alle forze italiane in Tunisia. A bordo si sviluppò un incendio (ancora oggi dalle cause poco chiare) che provocò un'esplosione devastante: il molo sprofondò e gli edifici intorno furono distrutti o gravemente danneggiati. Parti roventi di nave e di carri armati furono scagliate a grande distanza, finendo in via Atri, piazza Carlo III, piazza del Mercato, Vomero e stazione Centrale; sulla facciata est del castel Nuovo sono ancora visibili gli effetti di questa terribile esplosione. Ci furono 600 morti e oltre 3.000 feriti.

Dopo l'armistizio dell'8 settembre da parte del Re che firmò la resa agli anglo-americani, i tedeschi occuparono la città il 12 settembre 1943; ben presto incominciarono le rivolte degli abitanti contro l'occupazione e il colonnello Scholl il 12 settembre 1943 fece affiggere un famoso manifesto con cui proclamava lo stato d'assedio in città, con l'ordine di "passare per le armi" ogni cittadino si fosse reso responsabile di azioni ostili con rappresaglie di cento civili per ogni tedesco ucciso.

Dopo diversi scontri e rappresaglie contro la popolazione, il 24 settembre il Comando tedesco ordinò lo sgombero di tutte le abitazioni entro 300 metri dalla linea di costa e il giorno dopo venne proclamato il "servizio obbligatorio al lavoro nazionale" generalizzato (in pratica la deportazione della popolazione attiva). Questo rappresentò in pratica la scintilla che fece esplodere definitivamente la rivolta generalizzata.

Napoli fu la prima, tra le grandi città europee, ad insorgere con successo contro l'occupazione nazista[196]: in quattro famose giornate (dal 28 settembre al 1º ottobre 1943), la folla insorse contro i tedeschi permettendo così, pochi giorni dopo agli anglo-americani di poter giungere in città e occuparla già libera, senza perdite, e proseguire verso Roma. Per queste azioni e per le sofferenze patite dalla popolazione Napoli sarà tra le città decorate al valor militare per la guerra di liberazione insignita della medaglia d'oro al valor militare[197].

Sconvolta dai numerosi bombardamenti, dal disastro della nave Caterina Costa e dall'occupazione tedesca in ritirata, Napoli fu la prima grande città ad essere governata dagli anglo-americani durante il secondo conflitto mondiale. Pur restando estromessa dal Regno del Sud, nell'inverno 1943-44 e nella primavera seguente, Napoli rivestì il ruolo di maggiore crocevia politico delle terre liberate dagli anglo-americani,[198] il tutto in una cornice di fame, malattie, macerie, mancanza d'acqua[199].Con l'occupazione statunitense in città andò fortemente dilagandosi il mercato della prostituzione, perlopiù in cambio di generi alimentari: tali parentesi storiche furono raccontate anche da Curzio Malaparte, nel suo famoso libro (soprattutto all'estero) La pelle.

In una città ormai fortemente provata dalla guerra, nel 1944 si verificò anche l'ultima eruzione del Vesuvio (VEI 3). Vari problemi vennero riscontrati a Barra a causa della pioggia di ceneri, mentre danni maggiori furono registrati nelle città satelliti di San Sebastiano al Vesuvio, Massa di Somma e San Giorgio a Cremano. Ci furono circa 26 morti. L'eruzione fu resa famosa a causa dell'occupazione anglo-americana di Napoli[200].

Dal secondo dopoguerra ad oggi

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Statua della Madonna crollata a seguito del terremoto del 23 novembre 1980 dalla sommità della basilica dell'Incoronata Madre del Buon Consiglio e Regina della Cattolica Chiesa
Centro Direzionale di Napoli
La cerimonia di apertura della XXX Universiade allo stadio Diego Armando Maradona

«Anche per i non-napoletani, diciamo pure per gli italiani, ad alimentare la produzione dello stereotipo non è solo un bisogno di ordine cognitivo (semplificare la complessità, pre-costituirsi una mappa); credo (ed è ovviamente una mia ipotesi), che gli stereotipi su Napoli servano anche a esorcizzare, a tenere sotto controllo paura e senso di colpa. Paura di ciò che non si sa o non si può gestire, governare, mettere in ordine, far fruttare; senso di colpa per le occasioni sprecate, le ricchezze, anche immateriali dilapidate, le vigliaccherie e le rinunce. Incapace di assegnare un ruolo nuovo e innovativo alla ex-capitale più capitale che ci fosse nella Penisola, è come se l'Italia avesse scelto di farne contemporaneamente il proprio giullare e la propria anima nera: insomma, un vero e proprio capro espiatorio.»

Alla fine della guerra, quando si trattò di votare il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica, nella circoscrizione di Napoli 904.000 furono a favore della monarchia, 241.000 per la Repubblica[202]. Tuttavia, nel capoluogo campano, dal 9 all'11 giugno 1946 - pochi giorni dopo la proclamazione della vittoria repubblicana - una spontanea protesta popolare in via Medina sfociò in un violento scontro, dalle circostanze mai oggettivamente chiarite, che provocò nove morti. Tali fatti furono chiamati strage di via Medina. Pochi giorni dopo, fu Enrico De Nicola, napoletano, ad essere eletto primo presidente della Repubblica.

Gli anni del miracolo economico ebbero rilevanti effetti anche sulla città, ma, allo stesso tempo, coincisero anche con la nascita di una Napoli capitale della speculazione edilizia che fu simbolicamente descritta nel celebre film Le mani sulla città di Francesco Rosi. In questo periodo la città si espanse in tutte le direzioni, anche oltre gli obsoleti confini comunali, portando alla nascita dell'agglomerato urbano che oggi conosciamo.[203] Nello stesso periodo la città vide nascere anche un'attività cinematografica molto intensa, sia a livello nazionale che internazionale.[204]

Nel 1970 nacque la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Nel 1973 Napoli si trovava in una situazione di arretratezza e miseria molto grave, la speculazione edilizia era inarrestabile, la mortalità infantile sensibilmente più alta di quella delle città del nord e l'aspettativa di vita decisamente inferiore. In questo clima, già di per sé molto provato, si verificò un'epidemia di colera che colpì varie città mediterranee[205]. La causa del contagio fu una partita di cozze proveniente dalla Tunisia. Morirono 30 persone e il mercato ittico e turistico napoletano entrarono in una gravissima crisi. Il focolaio successivamente si estese fino a Bari.

A Napoli accaddero fatti di rilievo della strategia della tensione e del terrorismo, dalla nascita dei Nuclei Armati Proletari (1974) alla Colonna Senzani delle Brigate Rosse (1980), passando attraverso l'arresto e la prigionia di centinaia di militanti. Nel 1980 si verificò anche il grande terremoto dell'irpinia che distrusse quasi interamente Avellino e la sua provincia. Napoli fu, seppur solo in alcune zone, fortemente danneggiata, ma non ottenne, nonostante le denunce del sindaco di allora Maurizio Valenzi, grosse somme di denaro per la ricostruzione. Furono danneggiate anche importanti basiliche del vasto centro storico napoletano, come la chiesa dei Girolamini, la chiesa di Sant'Agostino alla Zecca e la chiesa di San Giovanni Battista delle Monache. In molti casi, i lavori di recupero durarono per un decennio, complicando il già precario assetto dell'urbanistica cittadina. Nel 1981 vi fu il celebre rapimento dell'Assessore Regionale Ciro Cirillo da parte delle Brigate Rosse. Da una situazione economica, sociale e politica così difficile, fu la camorra a cominciare a proliferare. Nel 1983 a ovest della metropoli i Campi Flegrei subivano una seconda crisi bradisismica, dopo quella del 1970, che provocò un esodo di massa, soprattutto a Pozzuoli, ove parte della popolazione trovò rifugio nella nuova zona urbana di Monterusciello. La crisi bradisismica venne avvertita anche dagli stessi quartieri occidentali del comune di Napoli (come Bagnoli e Pianura) attraverso lievi scosse di terremoto che destarono forte preoccupazione tra la popolazione civile.[206]

Lo stesso argomento in dettaglio: Bradisismo flegreo.

Il 21 dicembre 1985 nell'area orientale della città vi fu l'esplosione di venticinque serbatoi costieri dell'Agip e uno spaventoso incendio[207], che durò quasi una settimana, e che causò cinque vittime, 165 feriti, 2594 senzatetto e 100 miliardi di danni. Dall'amministrazione municipale fu recepita la necessità di delocalizzare quelle attività che potessero costituire fonte di pericolo per la popolazione e causa di ulteriore inquinamento per un territorio già seriamente compromesso. Tuttavia solo nel 1993 la Q8 cessò l'attività. Nel 1988 la città fu teatro di un attentato anti-Usa da parte dell'Armata Rossa Giapponese che provocò cinque decessi (quattro napoletani e una portoricana) e venti feriti. L'obiettivo fu il circolo Uso di Calata San Marco, dove aveva sede il club dei marinai americani della VI flotta[208].

Nel 1994 la città ospitò il G7 e la conferenza mondiale dell'ONU per la lotta contro la criminalità organizzata, iniziando così un periodo di relativa rinascita. Nel 1995, dopo circa dieci anni di cantieri, venne completato il centro direzionale di Napoli (il primo gruppo di grattacieli d'Italia e dell'Europa meridionale) ed il centro storico della città venne riconosciuto come patrimonio dell'umanità dall'UNESCO[209] per i suoi monumenti, che testimoniano tremila anni di storia. Il 23 gennaio 1996 si consumò la tragedia di Secondigliano, meglio nota come voragine di Secondigliano, nella quale persero la vita 11 persone[210].

Nel 2001, nell'ambito della costruzione e del potenziamento del proprio sistema di trasporto sotterraneo, vennero inaugurate le prime stazioni dell'arte: Quattro Giornate, Salvator Rosa e Museo. Sempre agli inizi degli anni 2000 apparve evidente che la camorra era ancora una organizzazione potente. Oggi tale mafia conta migliaia di affiliati divisi in oltre 150 famiglie attive in tutta la Campania. Sono segnalati insediamenti della camorra anche all'estero, come nei Paesi Bassi, Spagna, Francia e Marocco.[211] Nel 2007-2008 l'emergenza rifiuti mise in seria crisi l'area metropolitana e le sconcertanti immagini della città sommersa da tonnellate di rifiuti fecero il giro del mondo (CNN, BBC, Al Jazeera, ecc.)[212]. Altresì, nello stesso periodo alla città veniva assegnata la quarta edizione del Forum Universale delle Culture[213]. Nel 2010 fu presentato, da un gruppo di imprenditori privati, NaplEst[214], una serie di grandi interventi urbani riguardanti l'area orientale della città.

Nel marzo 2011 la città, in quanto sede del Allied Joint Force Command Naples, il comando integrato delle forze NATO per l'Europa meridionale, costituì il quartier generale per le operazioni militari in Libia, esattamente come ai tempi della guerra del Kosovo[215]. Il 5 marzo 2016 la FISU si riunì a Bruxelles e assegnò l'organizzazione della XXX Universiade a Napoli, in seguito alla rinuncia della capitale brasiliana.

Capitale storica del Mezzogiorno, la Napoli contemporanea è il centro di una vasta area metropolitana e ha conservato un notevole prestigio, soprattutto culturale. La città è sede infatti di importanti istituzioni museali e teatrali, di antiche e prestigiose università[216], nonché dell'Assemblea parlamentare del Mediterraneo.

Il problema Vesuvio e Campi Flegrei: da rischio a risorsa

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In quanto ad un possibile risveglio dell'attività eruttiva del Vesuvio, considerato il più grave problema di protezione civile presente in Italia[217], un considerevole numero di esperti nel campo sono concordi nell'affermare che la prossima eruzione potrebbe essere di intensità VEI-5, simile a quella del 1631[218]. Per ora la possibilità di manifestarsi un'eruzione devastante, come quella che distrusse Pompei ed Ercolano, è alquanto scarsa: queste infatti si verificano dopo secoli o addirittura millenni di inattività da parte del vulcano.[219]

Il problema prioritario della zona rossa del Vesuvio, ossia del territorio più esposto in caso di eruzione (in cui ricade anche il limite più estremo della VI municipalità del comune di Napoli), è quello di ridurre considerevolmente il numero di abitanti. A tal proposito le proposte degli studiosi[220] vertono su una nuova organizzazione urbana dell'intera pianura campana, zona abbastanza lontana dal vulcano, sulla destinazione dell'area ad attività poco invasive (agricoltura, parchi archeologici e naturali, ecc.) e su progetti riguardanti i mezzi di trasporto e le vie di fuga. Iniziative politiche, atte a sfoltire il numero dei residenti della zona vesuviana, sono state ad ogni modo avviate negli anni, ma con scarsi risultati (progetto Vesuvìa), soprattutto a causa di progetti ambiziosi ma poco attuabili.[221]

Simil discorso per l'altro grande vulcano partenopeo, ossia i Campi Flegrei. La zona rossa del sistema vulcanico flegreo si basa su un evento eruttivo di intensità VEI-4, simile all'ultima eruzione registrata in zona, ossia quella del Monte Nuovo, risalente al 1538[222]. In quest'occasione, dato che la zona non era densamente abitata come oggi, i danni furono alquanto contenuti. Pozzuoli venne ricoperta da 30 cm di cenere, mentre Napoli da 2 cm.

La storia eruttiva degli ultimi 4000 anni ha dimostrato che una bocca vulcanica potrebbe aprirsi anche verso lo stesso comune di Napoli, ovvero verso il quartiere di Fuorigrotta. In risposta a tale evenienza, nella zona rossa del vulcano è stata inclusa nel 2014, oltre alla zona occidentale del comune, anche altre parti come Chiaiano e Arenella[223]. Nel resto del paese esempi molto simili alla caldera flegrea si trovano a pochi km da Roma e sono costituiti dai Colli Albani.[224]

Nel 2012, è stato pianificato il Campi Flegrei Deep Drilling Project (CFDDP), nell'ambito del programma scientifico internazionale di perforazioni continentali denominato ICDP (International Continental Scientific Drilling Program): il CFDDP prevede la realizzazione di un pozzo di 3,5 km a Bagnoli, a ridosso della collina di Posillipo, con l'intenzione di monitorare la camera magmatica sottostante e studiare la stratigrafia della locale crosta terrestre[225]. Il foro iniziale, profondo 501 metri nel 2016, ha permesso di ricostruire la stratigrafia accumulatasi in 47 000 anni e di rivelare l'evoluzione dell'attività eruttiva nello stesso periodo[225]. Ha permesso, inoltre, di individuare limiti più stringenti all'estensione della caldera, il cui margine orientale, ad esempio, si è potuto restringere fino in corrispondenza della collina di Posillipo, escludendo quindi una possibile estensione fino alla parte centrale della città di Napoli, come si temeva in precedenza[225].

Storia amministrativa

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In epoca greca l'amministrazione civile era affidata alle fratrie, raggruppamenti a base familiare convocati per discutere e deliberare su questioni di interesse pubblico: ve ne erano nove distinte in base al nume tutelare.[226]

In epoca normanna venne istituita la Magna curia regis, affidata a cinque giudici di nobile estrazione che si occupavano delle cause penali; l'amministrazione finanziaria, invece, fu affidata alla "Camera regia". I giudici erano detti compalatini in quanto nobili di corte, sebbene con poteri speciali.[226]

Dal XIII al XIX Secolo, le istituzioni amministrative principali di Napoli sono stati i Sedili; i cui rappresentanti, detti Eletti, si riunivano in una sorta di Giunta Municipale, chiamata Tribunale di San Lorenzo[227] (poiché si riunivano nella Chiesa di San Lorenzo Maggiore), per decidere come governare la città.

Dal 1642 in poi (ultimo anno in cui fu convocato il Parlamento del Regno di Napoli), l'amministrazione napoletana era affidata all'Eletto del popolo, nominato dal Viceré.

Durante la Repubblica Napoletana del 1799, fu creata per la prima volta la Municipalità[228], composta da Ufficiali Municipali scelti proprio dai Sedili:

  • Luigi Serra, duca di Cassano
  • Giuseppe Montemiletto
  • Filippo De Gennaro
  • Luigi Carafa
  • Giuseppe Pignatelli del Vaglio
  • Vincenzo Bruno
  • Antonio Avella
  • Ferdinando Ruggi d'Aragona
  • Pasquale Daniele
  • Michele La Greca
  • Clino Rosselli
  • Ignazio Stile
  • Francesco Maria Gargano
  • Andrea Dino
  • Andrea Coppola
  • Andrea Vitaliano
  • Domenico Piatti
  • Carlo Jazeolla
  • Nicola Carlomagno

La Municipalità così creata fu abolita alla fine della Rivoluzione Napoletana.

Dopo la Rivoluzione Napoletana, Re Ferdinando I di Borbone riformò l'Amministrazione napoletana, sostituendo gli Eletti del Popolo con un Senato di 8 membri di nomina regia.[229]

Il 25 Aprile 1800 Re Ferdinando I di Borbone abolì il potere dei Sedili, che ne aboliva le funzioni unitamente a quelle del Tribunale di San Lorenzo.

L'8 agosto 1806, sotto dominazione francese, con la legge detta de "L'Eversione Feudale", fu definita la nuova struttura amministrativa della città, che riformava la carica di Sindaco e istituiva il Decurionato (consiglio), a capo della Municipalità (prima di allora detta Università). Il primo sindaco dopo tale riforma fu nominato il 2 dicembre 1808. Grazie alle riforme di Gioacchino Murat i Sedili non furono del tutto riabilitati, quanto piuttosto trasfusi nel Corpo di Città (e nel Municipio, a partire dal 1808).

Il sistema fu mantenuto con poche modifiche sostanziali sia all'atto della Restaurazione che dell'Unità d'Italia[230]. Dal 1889 la carica del sindaco divenne elettiva, tra i membri del consiglio comunale[231], possibilità che fu temporaneamente soppressa tra il 1926[232] e il 1944[233] per l'istituzione dell'ordinamento podestarile. Il sistema elettivo fu definitivamente ripristinato nel 1946[234][235], fino all'introduzione, nel 1993, dell'elezione diretta del sindaco[236] che ai sensi della Legge 56/2014 è anche sindaco della città metropolitana.

  1. ^ Anticamente, il porto di Napoli corrispondeva all'attuale Porto Piccolo; in epoca medievale, periodo in cui Napoli era rimasta nei limiti delle mura dell'imperatore romano Valentiniano III, al porto romano se ne aggiunse un secondo (Porto Grande). Successivamente, durante il periodo normanno e svevo, la città non aveva subito rilevanti ingrandimenti; lo sviluppo urbano riprese invece alla fine del XIII secolo, con gli Angioini, quando la città fu ampliata verso occidente e fu allargato il Porto Grande.
  2. ^ Va ricordato che proprio a Napoli, in castel Nuovo, il 13 maggio 1317 era stata firmata la pace tra guelfi e ghibellini toscani.
  3. ^ Le discrete informazioni riguardano perlopiù il periodo classico greco e romano. Con l'aiuto degli Scavi di Pompei si è intuito che il rosso pompeiano fu molto in voga tra le città del golfo. Le influenze artistiche osco-sannite possono essere in parte ricostruite grazie allo studio dei reperti della necropoli di Castel Capuano. Assai misere sono le testimonianze del periodo bizantino e normanno-svevo; è abbastanza sicuro che la città in epoca bizantina apparisse molto diversa da oggi, mostrando un gusto più "orientale". Una delle più importanti tracce bizantine è riscontrabile nella basilica di San Giovanni Maggiore.
  4. ^ Un'accezione diversa viene oggi data, invece, dalla "città storica" comprendente un ben più vasto territorio legato a fattori storici, monumentali, culturali.
  1. ^ Le trasformazioni di una città che vive da quasi 30 secoli hanno impresso modifiche che influiscono sulla nostra percezione della realtà originaria (da: Daniela Giampaola, Emanuele Greco, Napoli prima di Napoli. Mito e fondazioni della città di Partenope, Roma, Salerno Editore, 2022 p.43)
  2. ^ Allo stato attuale, la lunga sequenza cronologica che, sia pure attraverso momenti di cesura, si sviluppa dal Neolitico avanzato sembra interrompersi all'inizio dell'Età del Ferro (da: Daniela Giampaola, Emanuele Greco, Napoli prima di Napoli. Mito e fondazioni della città di Partenope, Roma, Salerno Editore, 2022 p.14)
  3. ^ Giuseppe Galasso, Aspetti della megalopoli napoletana nei primi secoli dell'età moderna, in Claude Nicolet, Robert Ibert and Jean-Charles Depaule, eds, Mégalopoles méditerranéennes. Géographie urbaine rétrospective (Paris, 2000), pp. 565-74
  4. ^ Jan de Vries, European urbanization: 1500-1800, ed. Methuen Publishing 1984 p. 355 (400.000 abitanti). Altre megalopoli del mondo particolarmente popolate furono: Pechino 700.000 ab. circa, Agra 500.000 ab. e Costantinopoli 400.000/700.000 ab.
  5. ^ a b Patrimoniomondiale.it
  6. ^ Napoli, in Treccani.it. URL consultato il 13 dicembre 2019.
  7. ^ Intervista ad Alessandro Barbero: “Alessandro Barbero: Masaniello fu un boss mafioso?”. URL consultato il 29 novembre 2022.
  8. ^ a b c d Interazione tra attività vulcanica e vita dell’uomo: evidenze archeologiche nell’area urbana di Napoli, su Miscellanea INGV 2013 pp.39;39-40;43;42, Academia.edu. URL consultato il 1º aprile 2020.
  9. ^ Napoli - L’insediamento protoappenninico di Fuorigrotta-Piazzale Tecchio [collegamento interrotto], in Academia.edu. URL consultato il 1º aprile 2020.
  10. ^ Il Bronzo Medio è stato riscontrato soprattutto anche nei fondali marini dell'insenatura di piazza del Municipio e nel pianoro di Neapolis. I materiali rinvenuti attestano l'esistenza di due villaggi. Il nucleo insediativo del pianoro continua nel Bronzo Recente (fine XIV-XII secolo a.C.), mentre quello di Castel Nuovo si arresta alla fine del Bronzo Medio (tratto da: Daniela Giampaola, Emanuele Greco, Napoli prima di Napoli. Mito e fondazioni della città di Partenope, Salerno ed., Roma 2022, p.13)
  11. ^ a b c d e f g h i Lombardo M. e Frisone F., Colonie di colonie: le fondazioni sub-coloniali greche tra colonizzazione e colonialismo, Atti del Convegno Internazionale di studi, Lecce 22-24 giugno 2006, Congedo Ed., Galatina 2010 ISBN 978-88-8086-699-2 pp.196;185;197;192-198;194;198;195;195;193
  12. ^ a b c d e f g Parco Archeologico Urbano di Napoli p. 9;9;27;27;29;28;31 (PDF), su naus-editoria.it. URL consultato il 21 luglio 2022.
  13. ^ Professore Associato in Archeologia Classica (Università degli Studi di Napoli “L'Orientale") Matteo D'acunto, APPUNTI MAGNA GRECIA, Appunti di Archeologia, in docsity.com. URL consultato il 19 luglio 2022.
  14. ^ Nicola Scafetta, La Città del Sole e di Partenope - il ruolo dell'astronomia, della mitologia e di Pitagora nella pianificazione urbana di Neapolis, Patrocinio editoriale della Società dei Naturisti di Napoli, ed. Youcanprint, 2020
  15. ^ La notizia della distruzione, una volta tenuto conto del fatto che proviene da una fonte interessata a presentare sotto una luce particolarmente negativa il comportamento di Cuma, trova sostanziale conferma in una serie di fatti. Le tradizioni di ottica cumana, Pseudo Scymno, Strabone, Velleio, puntano tutte sul rapporto Cuma-Neapolis, lasciando nell'ombra, e quindi in un certo senso, distruggendo la storia precedente del sito [...]. D'altro canto, se il problema è posto, come la fonte di Lutazio fa nei termini di una frequentatio di Neapolis che non può svilupparsi se non in concorrenza con quella di Cuma, è evidente che la frequentatio di Cuma non può tollerare lo sviluppo di Neapolis e quindi la oscura (tratto da: M. Lombardo, F. Frisone, Colonie di colonie: le fondazioni sub-coloniali greche tra colonizzazione e colonialismo. Atti del Convegno Internazionale di studi, Lecce 22-24 giugno 2006, Galatina, Congedo edit., 2010, p. 185). A parte le ipotesi - che rimango pura speculazione - che tendono a connettere la notizia della distruzione con un evento effettivamente verificatosi che non prendiamo neanche in esame, dopo i tentativi, a questo riguardo, di trovarne conferma nella documentazione archeologica per niente perspicua (tratto da: Daniela Giampaola, Emanuele Greco, Napoli prima di Napoli. Mito e fondazioni della città di Partenope, Salerno ed., Roma 2022 p.69). Tuttavia non esiste traccia materiale e archeologica di distruzione di questo primitivo nucleo, come si usa invece raccontare interpretando male il racconto di Lutazio Dafnide (tratto da: Teresa Tauro, Napoli greca. Alla scoperta della città antica, Intra Moenia editore, 2023, p. 17).
  16. ^ a b c d e Daniela Giampaola, Bruno D'Agostino, Osservazioni storiche e archeologiche sulla fondazione di Neapolis, in Noctes Campanae. Studi di storia antica e archeologia dell'Italia preromana e romana in memoria di M.W. Frederiksen: a cura di Harris William V. e Lo Cascio Elio, Luciano Ed., Napoli 2005 pp.61 e 62
  17. ^ Archcalc.cnr, IL PROGETTO “ceraNEApolis”: UN SISTEMA INFORMATIVO CARTOGRAFICO DELLE PRODUZIONI CERAMICHE A NEAPOLIS (IV A.C.-VII D.C. p.29 (PDF), su archcalc.cnr.it.
  18. ^ Books.google, Città e monumenti dei Greci d'Occidente p.340, su books.google.it.
  19. ^ Pugliadigitallibrary, Neapolis p.211 (PDF), su pugliadigitallibrary.it.
  20. ^ Academia, Neapolis: guida alla lettura della città antica p. 126 (PDF), su academia.edu.
  21. ^ Gli studi recenti consentono ormai di ricondurre l'organizzazione dell'impianto a una concezione unitaria, superando l'ipotesi di uno sviluppo in due tempi formulata da Mario Napoli, secondo il quale a un impianto irregolare risalente ai tempi della fondazione del 470 a.C., limitata alla collina dell'Acropoli e alla parte settentrionale dell'area poi occupata dall'agora/foro, sarebbe seguito un progetto regolare, sotto l'influenza dell'impianto di Thuri del 444 a.C. assegnato a Ippodamo di Mileto. [...] Il caso di studio neapolitano è confrontabile con impianti urbani datati fra gli ultimi decenni del VI e il primo quarto del V secolo, quali quelli, più antichi, di Poseidonia e Agrigento, e quelli più recenti di Naxos e Himera (tratto da: Daniela Giampaola, Emanuele Greco, Napoli prima di Napoli. Mito e fondazioni della città di Partenope, Salerno ed., Roma 2022 pp.88-89)
  22. ^ Neapolis (fine VI sec. – 89 a.C.) dall’astu alla chora: definizione del proasteion e rilettura della polis (PDF), su dottoratomem.it. URL consultato il 14 maggio 2022.
  23. ^ Atti del I Convegno Internazionale di Studi, Dialoghi sull'archeologia della Magna Grecia e del Mediterraneo (Paestum, 7-9 settembre 2016), Pandemos ed., p.321
  24. ^ a b c d e f g h BooksGoogle.it, su books.google.it. URL consultato il 7 settembre 2011 pp.301-301-302-305-304-302-305-301.
  25. ^ Books.google, Italici in Magna Grecia: lingua, insediamenti e strutture p.28, su books.google.it.
  26. ^ a b c Storiamillenaria.net p.279
  27. ^ Con la venuta degli Ateniesi intorno al 450 a.C., Neapolis diventa una importantissima città con un ricco porto commerciale (tratto da: Teresa Tauro, Napoli greca, Intra Moenia editore, 2023 p.19)
  28. ^ L'imporsi di una realtà insediativa articolata rispetto all'antica colonia euboica è indirettamente attestata in un celebre passo di Diodoro Siculo (XI 51,1-2) relativo alla seconda battaglia di Cuma (474 a.C.), lo scontro navale in cui le flotte alleate di Cuma e Siracusa sconfiggono gli Etruschi, ponendo fine al loro predominio sul basso Tirreno: tra gli artefici della vittoria, accanto ai Cumani e ai Siracusani, lo storico menziona infatti le "genti del territorio" (gli enchorioi), in cui sono stati riconosciuti gli abitanti di Neapolis, ai quali la fonte di ispirazione filosiracusana non riconosce ancora autonomia politica (tratto da: Daniela Giampaola ed Emanuele Greco, Napoli prima di Napoli. Mito e fondazioni della città di Partenope, Roma, Salerno ed., 2022, p. 143)
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  32. ^ È in questo rinnovato quadro politico che si instaurano le relazioni privilegiate con Atene, culminanti nella spedizione dell'ammiraglio ateniese Diotimo e nell'epoikia già richiamate in un paragrafo precedente (tratto da: Daniela Giampaola, Emanuele Greco, Napoli prima di Napoli. Mito e fondazioni della città di Partenope, Roma, Salerno Editore, 2022 p.144)
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  39. ^ A tal proposito andrebbe in realtà inclusa quasi tutta la riviera del Golfo di Napoli. Il geografo Strabone riportava che la costa, da Capo Miseno fino a Punta Campanella, era adornata da città e residenze continue fra di loro, al punto da offrire l'immagine di una città continua (Strab., v 4,8)
  40. ^ Quelle residenze con annesse piantagioni caratterizzano il paesaggio costiero campano, specialmente nel Golfo di Napoli, che vede l'emergenza della villa, un tipo di residenza che diventò presto uno status symbol delle aristocrazie e delle classi più agiate della società romana (tratto da: Daniela Giampaola, Emanuele Greco, Napoli prima di Napoli. Mito e fondazioni della città di Partenope, Roma, Salerno edit., 2022, p.156)
  41. ^ Villa Imperiale di Pausilypon p.149, su academia.edu.
  42. ^ Neapolis dispone, inoltre, di impianti termali che nulla hanno da invidiare alla vicina Baia (tratto da: Daniela Giampaola, Emanuele Greco, Napoli prima di Napoli. Mito e fondazioni della città di Partenope, Salerno ed., Roma 2022, p.155)
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  56. ^ Dunque assisteremo a una rinascita di Neapolis, con ricostruzione, dopo incendi e terremoto, celebrata grazie ai Sebastà, che si sarebbe accompagnata alla richiesta di cambiare nome (tratto da: Daniela Giampaola, Emanuele Greco, Napoli prima di Napoli. Mito e fondazioni della città di Partenope, Salerno ed., Roma 2022, p.160)
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