Silvio Parodi
Silvio Parodi (Genova, 16 febbraio 1878 – Savignone, 19 giugno 1944) è stato un generale e politico italiano, fu commissario prefettizio di Genova durante la Repubblica Sociale Italiana, due volte medaglia di bronzo al valor militare.
Silvio Parodi | |
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Nascita | Genova, 16 febbraio 1878 |
Morte | Savignone, 19 giugno 1944 |
Cause della morte | Caduto in combattimento |
Dati militari | |
Paese servito | Regno d'Italia |
Forza armata | Regio Esercito Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale |
Specialità | Arditi |
Grado | Console |
Guerre | Prima guerra mondiale Riconquista della Libia Seconda guerra mondiale |
Comandante di | 2º battaglione del 35º Reggimento della 16ª Divisione fanteria "Pistoia" |
Decorazioni | vedi qui |
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Biografia
modificaI primi anni
modificaParodi nasce in una famiglia borghese, frequenta l'Accademia militare di Modena dalla quale si congeda come sottotenente di fanteria. Viene richiamato con il grado di tenente partecipò alla prima guerra mondiale.[1] Nel 1917, entra nel corpo degli Arditi e nel 1918, col grado di maggiore, assume il comando del 2º battaglione del 35º Reggimento della 16ª Divisione fanteria "Pistoia" fino al termine della guerra[2]. Decorato con la medaglia di bronzo al valor militare.[1]
Nel 1919 fu inviato nella Libia italiana per reprimere i ribelli al comando del XIII Reparto d'Assalto[3] venendo decorato una seconda volta con la medaglia di bronzo al valore.[1]
L'adesione al Fascismo
modificaAderisce al Fascismo e dirige le squadre d'Azioni genovesi dal 1920 al 1922, partecipando poi come console delle Camicie Nere[4] in concomitanza alla marcia su Roma, comandò l'assalto degli squadristi alla Prefettura di Genova, difesa da cordoni di marinai e guardie regie[5].
Diviene quindi componente del Direttorio federale del Partito Nazionale Fascista di Genova, ed è nominato Podestà di Savignone, il suo paese natale, carica che mantenne per 12 anni. Dal 1926 divenne presidente dell'orfanotrofio di San Giovanni Battista, tra le più antiche istituzioni benefiche di Genova[6], che svecchiò e rivitalizzò,[4] provvedendo quando necessario a finanziarlo coi propri mezzi economici[7][3]. Durante quegli anni realizzò le colonie estive di Crocefieschi e Savignone e dopo la guerra d'Etiopia organizzò anche dei corsi di lingua araba[7][8].
La RSI e la morte
modificaDopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana, nell'ambito della quale è nominato commissario prefettizio al comune di Genova (16 febbraio 1944). Durante il periodo di governo a Genova non trascura di seguire l'orfanotrofio settimanalmente[4]. Sotto il suo mandato viene portata avanti l'opera di sostituzione (iniziata dal podestà Aldo Gardini) dei nomi presenti nella toponomastica cittadina relativi a membri della Casa Savoia[9], sostituzioni che in parte furono mantenute anche dopo la fine della guerra.
Nella primavera del 1944 la situazione a Genova nel suo entroterra era estremamente tesa, sia per via della serie di scioperi in chiave antifascista che si protraevano fin dai primi mesi del 1943[10] che avevano provocato le dure prese di posizione del prefetto Carlo Emanuele Basile[11][12][13]. In risposta agli scioperi e alle azioni effettuate dai partigiani seguivano le azioni di controguerriglia e le rappresaglie; tra le principali la strage della Benedicta dell'aprile e la successiva strage del Turchino del maggio. Nel giugno 1944 la situazione alimentare di Genova (sottoposta ai bombardamenti alleati, che miravano ad interrompere le vie di comunicazione) era divenuta drammatica, tanto da vedere la razione giornaliera di pane ridotta a soli 150 grammi. Grazie tuttavia ad accordi fra le autorità cittadine (capo provincia, commissario prefettizio, federale ecc.) e un importatore locale - Angelo Navone, non iscritto al PFR - si riuscì ad evitare la fame[14].
Il 15 giugno 1944 Parodi subisce il primo attentato da parte di alcuni gappisti attestati a lato di Via Garibaldi nel centro di Genova, che andrà a vuoto. Il generale ferito all'indirizzo degli attentatori che stavano fuggendo attraverso i vicoli urlò: «Voglio vedere in faccia chi mi vuole ammazzare!»[1]. Nonostante questo Parodi rifiutò la scorta armata affermando che «Se devo morire non è giusto che altri muoiano per me»[3]. Uno degli attentatori, il partigiano Balilla Grillotti catturato in questura rivelò al commissario Giusto Veneziani che l'attentato era fallito perché l'arma del gappista Angelo Scala si era inceppata.[1]
Il 16 giugno i tedeschi arrestarono e deportarono diverse centinaia di operai rastrellati durante il lavoro nelle industrie cittadine, principalmente a Sestri Ponente e Cornigliano (tra gli impianti dove avvenne la retata vi furono la SIAC, l'Ansaldo Meccanico, la San Giorgio, il cantiere navale e la Piaggio)[15].
Il 19 giugno 1944 Parodi viene ucciso in un agguato dei GAP, mentre esce da casa della sorella a Savignone[16]: gli autori dell'omicidio appartengono alla banda di Franco Anselmi, "Marco", come dimostrano alcuni documenti depositati presso l'Archivio dell'Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea (fondo CLN Savignone) e le memorie lasciate dai partigiani di quella banda (si veda, a tal proposito, Merlo D., "Memoria partigiana", a cura di Antonello Brunetti, pp. 40/43). Poche ore dopo l'omicidio, si radunarono diversi squadristi decisi ad effettuare una rappresaglia. Tuttavia, la sorella di Parodi, Clelia, impedì che fosse dato seguito alla vendetta difendendo la popolazione di Savignone che era estranea all'attentato[1] e comunicando le parole che Silvio Parodi le aveva confidato: «Quando mi uccideranno non voglio che si effettui alcuna rappresaglia»[3].
Quattro partigiani, arrestati già nel mese di luglio, Goffredo Villa[17], Aleandro Longhi[18], Giacinto Rizzolio[19] e Mario Cassurino[20], considerati responsabili di altre uccisioni e Balilla Grillotti giudicato l'uccisore di Parodi[21][22] furono condannati a morte la notte tra il 28 e il 29 luglio e fucilati poche ore dopo alle prime luci dell'alba a forte San Giuliano dalla Guardia Nazionale Repubblicana Ferroviaria[23].
Il ricordo
modificaSilvio Parodi fu seppellito nel cimitero di Staglieno a Genova nella tomba di famiglia[7]. In suo onore la XXXI Brigata Nera, con sede a Genova, fu denominata Brigata "Generale Silvio Parodi".
Onorificenze
modificaNote
modifica- ^ a b c d e f Tuo, Malfettani e Viale, p. 135.
- ^ http://www.cimeetrincee.it/pistoia.pdf pag. 200
- ^ a b c d Fascista, soldato, educatore - Articolo di Carlo Viale su Historica di luglio-settembre 2006, p.22 (PDF), su italia-rsi.org. URL consultato il 21-04-2009.
- ^ a b c Storia, su Collegio San Giovanni Battista. URL consultato il 4 luglio 2023 (archiviato dall'url originale il 13 aprile 2013).
- ^ Lo squadrismo a Genova (1921-1926) di Francesca Alberico, p. 51 (PDF), su balbisei.unige.it. URL consultato il 22-04-2009 (archiviato dall'url originale il 28 luglio 2007).
- ^ Copia archiviata, su fondazionesgb.com. URL consultato il 3 maggio 2016 (archiviato dall'url originale il 1º giugno 2016).
- ^ a b c Tuo, Malfettani e Viale, p. 136.
- ^ Il generale «benefattore» assassinato dai partigiani - IlGiornale.it
- ^ Delibera del Commissario Prefettizio n. 7 del 14 marzo 1944, Delibera del Commissario Prefettizio n. 25 del 23 marzo 1944, sul sito di Franco Bampi
- ^ Patria Indipendente Archiviato il 7 giugno 2006 in Internet Archive., numero di maggio 2003, pag 25-27
- ^ Salò Storie di sommersi e salvati Archiviato il 20 maggio 2011 in Internet Archive., articolo del Corriere della Sera, del 16 dicembre 1996
- ^ Secondo Note Storiche Relative al Mese di Giugno del 1944 Archiviato il 1º febbraio 2014 in Internet Archive., dal sito Diario di Guerra riportante l'esperienza di deportato dell'operaio dell'Ansaldo Mario Magonio si sarebbe trattato di oltre 2.000 operai deportati in Germania durante questo periodo
- ^ Secondo lo storico e membro del Movimento Sociale Italiano Giorgio Pisanò - Storia della Guerra Civile in Italia 1943-1945, 1968, p. 1050, si trattava di circa 400 operai, dei quali una parte deportati in Germania gli altri spostati in altre industrie del Piemonte e della Lombardia. Per Pisanò Basile ordinò la serrata delle fabbriche fingendo un provvedimento di rigore che in realtà serviva a svuotare gli stabilimenti per impedire retate. I provvedimenti, tuttavia, non ebbero successo, perché appena finita la serrata le forze tedesche circondarono nuovamente gli stabilimenti rastrellando a caso le maestranze. Sempre secondo Pisanò, proprio questa sua attività di sabotaggio delle iniziative tedesche (dietro la facciata dei proclami minacciosi) spinse i nazisti a fare pressioni su Mussolini affinché fosse destituito. Basile fu trasferito ad altro incarico qualche settimana dopo questi fatti, sempre secondo lo storico missino, dopo un furioso alterco con ufficiali tedeschi, che aveva fatto cacciare via dal proprio ufficio alla notizia delle avvenute retate d'operai.
- ^ G. Pisanò, op. cit,. pp. 1049-1050.
- ^ Al termine dei rastrellamenti risultarono 1488 gli operai deportati, si veda per es Luca Borzani, Blitz in fabbrica, le deportazioni a Mauthausen del 16 giugno '44, articolo de La Repubblica, edizione di Genova, del 15 giugno 2014, oppure Riccardo Porcù, Sestri, letture in strada per ricordare i 70 anni del rastrellamento nelle fabbriche Archiviato il 22 luglio 2015 in Internet Archive., articolo de Il Secolo XIX, del 17 giugno 2014
- ^ Sandro Antonini, p. 225 in nota.
- ^ Scheda di Goffredo Villa
- ^ Scheda di Aleandro Longhi
- ^ Scheda di Giacinto Rizzolio
- ^ Scheda di Mario Cassurino
- ^ Scheda di Balilla Grillotti
- ^ Sandro Antonini, p. 230.
- ^ http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=176
Bibliografia
modifica- Francesco Tuo, Pierfranco Malfettani e Carlo Viale, I caduti della R.S.I. Genova 1943-46, Edizioni Tradizione,
- Sandro Antonini, La Liguria di Salò, Edizioni De Ferrari, 2005
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