Guerra delle Alpi (1792-1796)

La Guerra delle Alpi fu un conflitto minore all'interno della guerra della Prima coalizione, nel contesto delle guerre rivoluzionarie francesi, e venne combattuta principalmente dal Regno di Sardegna e dall'Austria, supportati da Gran Bretagna e Spagna e altri stati minori, contro la Prima Repubblica francese dal 21 settembre 1792 al 28 aprile 1796, giorno dell'armistizio di Cherasco, lungo il fronte alpino che separa geograficamente Italia e Francia.

Guerra delle Alpi
parte della guerra della Prima coalizione
La battaglia dell'Authion (giugno 1793) nel quadro di P. Righini, conservato nel Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino.
Data21 settembre 1792 - 28 aprile 1796
LuogoPiemonte, Savoia, Nizza, Provenza e Mar Mediterraneo
Casus belliOstilità della Francia nei confronti del regno di Sardegna
EsitoVittoria francese, Armistizio di Cherasco e poi Trattato di Parigi (maggio 1796). Il Piemonte stipula un'alleanza difensiva con la Francia.
Modifiche territorialiSavoia e Nizza vengono annesse alla Francia, il Piemonte meridionale viene controllato dall'esercito francese
Schieramenti
Comandanti
Regno di Sardegna (bandiera) Vittorio Amedeo III di Savoia
Regno di Sardegna (bandiera) Carlo Emanuele di Savoia, principe di Piemonte
Regno di Sardegna (bandiera) Vittorio Emanuele di Savoia, duca d'Aosta
Regno di Sardegna (bandiera) Benedetto di Savoia, duca del Chiablese
Regno di Sardegna (bandiera) Carlo Felice di Savoia, duca del Genevese
Regno di Sardegna (bandiera) Maurizio Giuseppe di Savoia, duca del Monferrato
Regno di Sardegna (bandiera) Carlo Emanuele di Savoia-Carignano, principe di Carignano
Regno di Sardegna (bandiera) Giuseppe Benedetto di Savoia, conte di Moriana
Regno di Sardegna (bandiera) Carlo Francesco Thaon di Revel e Sant'Andrea
Regno di Sardegna (bandiera) Ignazio Thaon di Revel e Pralungo
Regno di Sardegna (bandiera) Joseph-Amédée Sallier de la Tour
Regno di Sardegna (bandiera) Victor-Amédée Sallier de la Tour de Cordon
Regno di Sardegna (bandiera) Eugène de Courten
Regno di Sardegna (bandiera) Giuseppe Antonio Dellera di Corteranzo
Regno di Sardegna (bandiera) Michelangelo Alessandro Colli-Marchini
Joseph Nikolaus De Vins
Olivier Remigius von Wallis auf Carrighmain
Johann Peter Beaulieu
Eugène-Guillaume Argenteau
Leopold Lorenz von Strassoldo
Joseph Maria von Colloredo
Giovanni Provera
Samuel Hood
Due Sicilie (bandiera) Francesco Caracciolo
Due Sicilie (bandiera) Fabrizio Pignatelli di Cerchiara
Spagna (bandiera)Juan de Lángara y Huarte
Jean-Honoré de Trogoff de Kerlessy
Napoleone Bonaparte
François Christophe Kellermann
Andrea Massena
Anne-Pierre de Montesquiou-Fézensac
Francia (bandiera)Jean Mathieu Philibert Sérurier
Francia (bandiera)Barthélemy Louis Joseph Schérer
Francia (bandiera) Gaspard de Brunet
Francia (bandiera) Jacques Bernard d'Anselme
Francia (bandiera) Jacques François Dugommier
Francia (bandiera) Lazare Carnot
Francia (bandiera) Pierre François Charles Augereau
Francia (bandiera) Barthélemy Catherine Joubert
Francia (bandiera) Armand Louis de Gontaut-Biron
Francia (bandiera) Antoine Joseph Santerre
Francia (bandiera) Pierre Jadart Dumerbion
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Antefatti

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La situazione del Regno di Sardegna allo scoppio dei moti francesi

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Rivoluzione francese.

Nelle fasi iniziali della Rivoluzione francese, i piemontesi erano particolarmente attenti agli sviluppi della situazione politica in Francia, lecitamente preoccupati che i moti di piazza e le stesse problematiche che affliggevano la secolare monarchia d'oltralpe si potessero trasferire anche all'interno del loro regno, specialmente nel Nizzardo e nella Savoia, dove una moltitudine di aristocratici francesi stava trovando un momentaneo rifugio, ed in Sardegna, una regione storicamente distante dagli ambienti della corte sabauda dove si temeva scoppiassero moti simili a quelli che avevano colpito la Corsica nei passati decenni.[1]

Il re Vittorio Amedeo III, convinto sostenitore della legittimazione divina della monarchia e uomo profondamente religioso, riteneva abominevoli le posizioni progressivamente antimonarchiche e anticattoliche assunte dai rivoluzionari. L'arrivo del conte di Artois, dei duchi di Berry e Angouleme e delle loro famiglie, con cui i Savoia erano peraltro imparentati, non fecero altro che radicalizzare le posizioni del re e della corte di Torino, dentro alla quale stava crescendo un forte movimento reazionario. In breve tempo, Torino, e più in generale lo stesso regno sabaudo, divennero una meta sicura per la nobiltà francese in fuga dal clima di crescente violenza ed odio nei loro confronti che stava aleggiando sopra la Francia.[2]

Con l'eccezione della Savoia, che per lingua e posizione geografica era più affine alla Francia, dove si erano registrati degli episodi di vandalismi e violenze di ispirazione chiaramente rivoluzionaria, nel resto del regno, almeno fino al 1791, gli ideali della rivoluzione francese sembravano passare in sordina, ignorati dalla maggior parte della popolazione tranne che per qualche gruppo isolato di studenti e di intellettuali. Le rare manifestazioni di dissenso vennero fermate, cercando di evitare inutili spargimenti di sangue.[3] Nella sua politica di contenimento, Vittorio Amedeo cercò di limitare ulteriori ingressi di stranieri del suo regno, specialmente ai francesi, ritenuti probabili seminatori di scandali. A tale scopo, nel 1792, emanò una legge che impediva a chiunque fosse sprovvisto di uno speciale passaporto di poter entrare nel regno.[4]

Accordi con l'Austria e crisi con la Francia

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Mentre tenevano un occhio vigile su tutto quanto stesse accadendo in Francia, le altre potenze europee cercavano una soluzione per sbrogliare la complicata crisi sociale in corso e rimettere Luigi XVI al trono in Francia, sebbene ognuno con motivazioni differenti.[5] Ad esempio, gli imperatori d'Austria, Giuseppe II prima e Leopoldo II in seguito, agivano per personale interesse, essendo Maria Antonietta loro sorella,[6] mentre i Savoia erano preoccupati per la stabilità e l'integrità dei loro domini, che vedevano fortemente minacciati specialmente nel caso dello scoppio di una nuova guerra con la Francia.[5] Ad ogni modo, l'idea comune e consolidata della necessità di un intervento in favore della monarchia francese, i vari sovrani non avevano davvero un piano, anzi, cercavano tutti di sfruttare l'occasione per il proprio tornaconto.[7] Il fallito tentativo di fuga presso Varannes di Luigi XVI fu un primo catalizzatore, che portò i piemontesi e gli austriaci ad avvicinarsi diplomaticamente.[8]

Intanto la situazione in Francia degenerava a causa dei continui attacchi nei confronti della monarchia e dei rivoluzionari più moderati, il generale francese Dumouriez, ministro degli Esteri, inviò un ultimatum al re sabaudo intimando la cessione del ducato di Savoia e della contea di Nizza in cambio del ducato di Milano austriaco contestualmente ad una discesa in campo piemontese contro gli austriaci. Di fronte ad un rifiuto la Francia avrebbe dichiarato guerra al Piemonte.

La guerra

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La campagna del 1792: l'invasione di Nizza e Savoia e i primi scontri nel Mediterraneo

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A seguito della deposizione di re Luigi XVI e della proclamazione della Repubblica (21 settembre 1792) e poiché era chiara l'intenzione francese di invadere Nizza e Savoia, Vittorio Amedeo III decise di allearsi con l'Austria sottoscrivendo la cosiddetta "Convenzione di settembre" attraverso la quale gli austriaci avrebbero assegnato come rinforzi ai piemontesi circa 9.000 uomini e avrebbero preso il controllo dell'armata alleata sotto la guida del generale Joseph Nikolaus De Vins con il ruolo di Ispettore Generale. Frattanto i movimenti francesi si facevano apertamente ostili aizzando le popolazioni del Delfinato e della Provenza contro i contigui savoiardi e nizzardi, inoltre il disfattismo dei generali piemontesi incaricati di difendere le antiche province transalpine fece il resto: il generale Jean-Baptiste de Lazary (1716-?), comandante della Savoia, si ritirò senza colpo ferire lasciando che Chambéry venisse occupata dai francesi di Anne-Pierre de Montesquiou-Fézensac il 24 settembre; il generale svizzero Eugène de Courten, informato della mancata copertura da nord, si ritirò ordinatamente verso le Alpi Marittime lasciando il nizzardo in mano al generale francese Jacques Bernard d'Anselme. La reazione a Torino per queste perdite territoriali fu comunque contenuta, il marchese di Cordon, Victor-Amédée Sallier de la Tour (1726-1800), ottenne la destituzione di Lazary che venne comunque pensionato con onore per il valore dimostrato durante la guerra di successione austriaca, de Courten, invece, venne sostituito dal suo rivale conte di Sant'Andrea, Carlo Francesco Thaon di Revel, finendo a governare Cuneo.

Il comando dell'esercito piemontese era nominalmente nelle mani del re, tuttavia nella sostanza erano i suoi figli e il suo fratellastro, il duca del Chiablese, ad averne realmente il comando anche se non erano coinvolti direttamente nella vita da campo. Oltre al "partito piemontese", energicamente antifrancese, si era nel frattempo venuto a creare un "partito austriaco" a guida dell'ottuagenario De Vins, decisamente più cauto e con un atteggiamento difensivo se non contenitivo dei successi francesi. Il duca d'Aosta, il futuro re Vittorio Emanuele I, era apertamente contrario alle intromissione di Vienna e aveva creato una sorta di "consiglio segreto" anche in polemica con il lassismo e la scarsa determinazione di suo fratello, il principe di Piemonte.

Nel frattempo anche il controllo del Mediterraneo era nell'agenda francese e sicuramente la flottiglia sarda non poteva occuparsene adeguatamente. La Repubblica di Genova, da secoli ostile al regno sardo, garantiva la sua neutralità se non la celata collaborazione con gli agenti francesi, il granducato di Toscana, sebbene fosse governato da un arciduca austriaco, cercava di mantenersi fuori dal conflitto mentre solo il regno di Napoli pareva interessato a contrastare gli interessi francesi ergendosi quindi a probabile futura potenza marittima mediterranea. Tuttavia, nel dicembre del 1792, la marina francese fece un atto dimostrativo a Napoli facendo naufragare ogni sogno di supremazia navale napoletana. L'aiuto giunse infine dall'Inghilterra la quale aveva tutto l'interesse di contrastare l'espansionismo francese: nella primavera del 1793 le corti di Torino e Londra sottoscrissero un accordo di cooperazione contro la Francia destando non poche polemiche a Vienna.[9]

La controffensiva del 1793

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Le attività francesi nel Nizzardo

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Il 1793 si aprì con l'esercito austro-piemontese attestato sulle Alpi e diviso in quattro Corpi d'Armata:

Nei vari Stati Maggiori, quindi, coesistevano sia l'elemento piemontese sia quello austriaco e, benché formalmente il capitano generale restava il re, la strategia da adottare veniva studiata dal generale austriaco De Vins. I rapporti fra gli alleati erano pessimi: il conte di Sant'Andrea, ad esempio, era in perenne disaccordo con Colli. Ma pure fra i piemontesi esistevano gelosie e rivalità a tal punto che i primi due corpi d'armata vennero riuniti sotto il comando nominale del duca del Chiablese per ovviare le invidie fra Bertone e il Cordon.

 
L'ingresso delle truppe francesi a Chambéry il 22 settembre 1792.

Anche i francesi, però, non se la passavano benissimo. I sospetti di tradimento degli ideali della Repubblica e di simpatia del passato regime e la ritenuta inefficienza di alcuni generali portarono al trasferimento o al deferimento a Parigi dei responsabili. Il generale Montesquiou-Fézensac, ad esempio, dopo aver occupato la Savoia nella campagna precedente, fu ritenuto responsabile di collusione con il governo della Repubblica di Ginevra, di conseguenza, per timore di ritorsioni, preferì passare il confine rifugiandosi in Svizzera. Da Parigi fu inviato il generale François-Christophe Kellermann. Non se la passò bene nemmeno Anselme il quale, dopo aver occupato il nizzardo, tentò, infruttuosamente, di conquistare Oneglia, città costiera della riviera ligure in mano sabauda: il fallimento di questa azione sommata alle difficoltà di mantenere l'ordine delle sue truppe attirò le antipatie della Convenzione Nazionale la quale decise di richiamarlo a Parigi sostituendolo con il generale Gaspard de Brunet.

In questo clima di sospetti v'erano, tuttavia, delle buone intenzioni: la rinnovata intesa anglo-piemontese e l'appoggio che Londra garantiva al regno di Napoli insieme alla flotta della Spagna potevano offrire al Piemonte una chance per scacciare i francesi dalle Alpi e, magari, spingersi sino al Delfinato dove, era giunta voce, si erano rifugiati molti simpatizzanti della causa realista. Il regno sardo, quindi, avrebbe guidato, insieme agli austriaci, due offensive, una in Savoia e una a Nizza mentre le marine di Gran Bretagna, Spagna e Napoli si sarebbero occupate della Provenza e specialmente del porto militare di Tolone. Se le offensive sabaude fossero andate a buon fine, dal Nizzardo si sarebbero ricongiunti con gli alleati più a Occidente mentre, dalla Savoia, si avrebbe avuto buon gioco di raggiungere Lione grazie al ritenuto certo appoggio della popolazione.

 
Il generale Sérurier. Veterano già ai tempi dei primi moti rivoluzionari, stava sinceramente accarezzando l'idea di andare in pensione poco prima dell'arrivo di Bonaparte.[10] L'arrivo del nuovo comandante riaccese in lui la passione e decise di restare nell'esercito a completare la campagna militare.

Nel febbraio del 1793 l'Armata del Varo, guidata dal generale Armand-Louis de Gontaut-Biron, iniziava l'offensiva verso le il Col de Braus, nei pressi di Sospello, supportando l'avanzata centrale del suo collega Brunet. I movimenti ebbero successo permettendo ai francesi di conquistare Sospello in aprile arrivando a minacciare Lantosca.[11] Poiché Biron venne trasferito al comando dell'Armata della Vandea, il comando tornò a Brunet ponendolo, tuttavia, sotto il comando di Kellermann, comandante in capo dell'Armata delle Alpi. L'intenzione del generale francese era quella di attaccare il massiccio dell'Authion, dove si erano asserragliati i piemontesi comandati dal conte di Sant'Andrea e dal generale Colli-Marchini, nel tentativo di aggirare la fortezza di Saorgio.[12] Una prima battaglia, iniziata l'8 giugno, vide i francesi in vantaggio e gli austro-piemontesi in ritirata. A causa dei preparativi affrettati, le forze repubblicane non riuscirono a guadagnare una vittoria decisiva e fermarono la propria avanzata.[13] Insoddisfatti dei progressi, i commissari inviati sul luogo, tra cui anche il futuro membro del Direttorio Barras, obbligarono Brunet a cercare nuovamente lo scontro, a costo di combattere sotto la pioggia ed i fulmini:[14] i francesi tentarono quasi disperatamente di assaltare le posizioni fortificate dei piemontesi sull'Authion per compiacere i commissari politici, ma fallirono e vennero respinti su tutta la linea.[15] Nella battaglia si distinse per il vigore il corpo franco degli emigrati francesi guidati da Dominique-Fidèle de Bonneaude. Pochi giorni dopo, in concomitanza con il timore di uno sbarco spagnolo a Villafranca, le forze di Brunet indietreggiarono verso Nizza, lasciando la possibilità ai loro rivali la possibilità di tornare ad occupare le loro precedenti posizioni.

La rivolta di Tolone

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Assedio di Tolone (1793).
 
Flotta anglo-spagnola a Tolone nel 1793.

Forti del successo piemontese all'Authion, gli inglesi, dopo aver sottoscritto un trattato di cooperazione militare anche con il regno di Napoli, decisero di passare all'offensiva appoggiando la controrivoluzione guidata dal contrammiraglio Jean-Honoré de Trogoff de Kerlessy (1751-1794) ed avvallata dal barone francese Thomas Lebret d'Imbert a Tolone. Il 28 luglio la flotta britannica di Samuel Hood entrava nel porto militare francese e contemporaneamente chiedeva rinforzi alle corti di Torino, Napoli e Vienna. Quest'ultima rifiutò seccamente mentre sia Napoli sia il Piemonte inviarono uomini. Vittorio Amedeo, deciso a cooperare con gli inglesi per continuare l'avanzata nel nizzardo, inviò il giovane Ignazio Thaon di Revel con circa 2500 uomini mentre Ferdinando IV di Napoli ne inviò circa 6500 comandati dal principe Fabrizio Pignatelli di Cerchiara (1747-1796). L'arrivo ulteriore degli spagnoli guidati da Juan de Lángara y Huarte e da Federico Carlo Gravina de Montevago fecero ben sperare della riuscita dell'impresa. Revel, tuttavia, si rese ben presto conto che agli inglesi poco interessava della buona riuscita dei disegni espansionistici del monarca piemontese e, anzi, i rapporti fra i britannici e gli spagnoli, con i quali v'erano pure delle brigate irlandesi mercenarie, era decisamente teso se non apertamente ostile. L'autunno, tuttavia, si apriva nel peggiore dei modi per gli alleati, la controffensiva piemontese sul Varo guidata dal duca d'Aosta era, come si vedrà, miseramente fallita e la rivoluzione dei federalisti a Lione, in qualche modo spalleggiata anche dai monarchici, era stata repressa nel sangue. La comparsa di un giovane ufficiale d'artiglieria, Napoleone Bonaparte, diede il colpo di grazia all'avventura alleata a Tolone: dopo aver presentato un piano alternativo a quello giudicato troppo temerario elaborato dal vegliardo generale del genio Jean-Claude Le Michaud d'Arçon (1733-1800), fu deciso che la conquista della "Piccola Gibilterra" era vitale per costringere il reimbarco degli inglesi e la loro conseguente fuga. Dopo aver respinto una sortita alleata guidata dal generale inglese Charles O'Hara, che fu fra l'altro catturato dai francesi, a metà dicembre si procedette all'attacco. Massena, Dugommier e Bonaparte guidarono l'offensiva generale che terminò nel giro di tre giorni costando la sconfitta e la ritirata alleata da Tolone.

La campagna in Savoia

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Epierre.
 
Ritratto del duca del Monferrato Maurizio Giuseppe di Savoia (1762-1799) custodito presso la Reggia della Venaria Reale. Il duca guidò la sfortunata offensiva in Savoia nell'autunno 1793.

Mentre Lione si sollevava contro la Convenzione Nazionale (9 agosto) e la flotta inglese entrava a Tolone (28 luglio), l'esercito sabaudo, forte anche dell'entusiasmo guadagnato dopo la vittoria all'Authion (12 giugno), si muoveva per riconquistare la Savoia e, si prospettava, anche di dilagare nel Delfinato. Il comando supremo era affidato al duca del Monferrato che si trovava, insieme ad Argenteau, in Tarantasia, poi v'erano altre due divisioni, una in Moriana guidata dai fratelli de la Tour e un'altra di riserva e più piccola comandata dal settuagenario generale barone Pio Chino (1722-1794) lasciata al Moncenisio. I francesi, inferiori di numero in quanto Kellermann aveva dovuto inviare una parte della sua Armata a sedare la rivolta lionese e ad aiutare i colleghi a Tolone, erano così disposti: il generale Charles-Philippe Badelaune, con il grosso delle forze, stava in Tarantasia mentre il generale Jean-Denis Ledoyen (1751-1802) in Moriana. Alla metà di agosto, dunque, iniziava, molto cautamente, l'offensiva in Savoia, già in qualche maniera inaugurata alla fine di luglio con i movimenti del marchese di Cordon contro Ledoyen. Il duca del Monferrato puntava su Moûtiers e, coadiuvato dall'abile barone Joseph-Amédée de la Tour che nel frattempo gli era stato inviato dal marchese di Cordon, vi faceva il suo ingresso trionfale il 22 agosto. Victor-Amédée de la Tour, tuttavia, dal canto suo, si muoveva ancora più lentamente del duca del Monferrato adducendo a scarsi se non quasi assenti ordini da Torino da parte del generale De Vins: il 18 agosto i piemontesi entravano a Modane e, poi, a Saint-Jean de Maurienne lasciando tuttavia che Ledoyen potesse nel modo più indisturbato ritirarsi dalle sue posizioni. Il duca del Monferrato contava in una sicura sollevazione dei savoiardi a danno degli occupanti francesi ma ci si rese ben presto conto che più ci si inoltrava nella regione più la presenza dei repubblicani era forte. Ciononostante il rampollo sabaudo attendeva a Moûtiers che il Faucigny si sollevasse fiducioso che la popolazione avrebbe dato vita ad una guerriglia come in modo analogo era avvenuto nel nizzardo ma, quando si venne a sapere che un ufficiale piemontese era stato linciato dai rivoluzionari ad Annecy e che Kellermann era riuscito a domare i ribelli federalisti a Lione, la già debole offensiva austro-sarda perse ancor più vigore. La mancata presa di Conflans da parte dei sabaudi, inoltre, aveva dato maggiori prospettive di vittoria ai francesi tant'è che, fra il 15 ed il 22 settembre, questi ripresero in mano la situazione cominciando ad abbandonare l'atteggiamento difensivo avuto sinora. Proprio quando l'offensiva francese avrebbe dovuto iniziare, da Parigi giunse l'ordine di arresto per Kellermann, accusato di essere stato troppo moderato nei confronti degli abitanti di Lione rivoltatisi contro la Convenzione. Sebbene Kellermann fosse stato deferito alla capitale, i generali Ledoyen, Badelaune, Antoine Joseph Santerre e Henri-Alexandre de Sarret (1767-1794) iniziarono le operazioni offensive seguendo i disegni di Kellermann. Mentre Santerre veniva respinto nel Faucigny, Sarret e Ledoyen riuscivano a costringere la ritirata delle brigate del marchese di Cordon dal Chiablese e dalla Moriana, frattanto, da Conflans, Baudelaune avanzava vigorosamente contro Argenteau. Scacciate le avanguardie sabaude, Baudelaine poté ora occuparsi del grosso della divisione del duca del Monferrato il quale decise di sgomberare Moûtiers, ripresa trionfalmente dai francesi il 2 ottobre. Nel giro di pochi giorni l'offensiva piemontese era fallita e l'esercito sardo era ritornato nelle posizioni precedenti.

La campagna nel Nizzardo

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Ritratto del duca d'Aosta Vittorio Emanuele di Savoia (1759-1824) custodito presso la Reggia di Venaria Reale. Il duca d'Aosta fu uno dei principali responsabili del fallimento dell'offensiva nel nizzardo del 1793.

Mentre il duca del Monferrato si apprestava a preparare l'offensiva in Savoia, anche sul fronte nizzardo, dove già era stata riportata una grande vittoria in giugno, ci si preparava ad una trionfale ed inarrestabile avanzata: Vittorio Amedeo era così fiducioso della buona riuscita delle operazioni che, il 21 agosto, era partito insieme a De Vins e ai due figli minori, Carlo Felice duca del Genevese e Giuseppe Placido conte di Moriana, alla volta del Colle di Tenda. Il piano di attacco era stato studiato da De Vins ma, il duca d'Aosta, ostile alle intromissioni austriache ed ansioso di riportare una grande vittoria militare così da contentare sia la moglie sia il suo desiderio di rivalsa contro gli austriaci, approntò un piano tutto personalizzato. Il piano ideato da De Vins consisteva essenzialmente in un attacco massiccio guidato dal conte di Sant'Andrea su Lantosca coadiuvato dal duca d'Aosta il quale avrebbe dovuto raggiungere l'esercito alleato dal lato destro del fiume Vesubia, in più questi avrebbe dovuto mantenere i contatti con Strassoldo inviando un distaccamento a Saint-Dalmas-le-Selvage. Il generale Colli, invece, si sarebbe occupato del diversivo sul lato sinistro della Vesubia. Così studiato il piano pareva buono, tuttavia l'eccessiva distanza di Strassoldo e l'avanzata del corpo del duca d'Aosta in sentieri montani impervi lo rendeva di difficile esecuzione se non altro che pure l'eccessivo protagonismo di Vittorio Emanuele ritardò la già complessa offensiva. Il 4 settembre, tuttavia, il rampollo sabaudo, alla sua prima esperienza di comando, comunicava il suo personalissimo piano a De Vins che, rispondendo il giorno seguente di attenersi scrupolosamente invece a quello concordato, non restò altro che attendere. Iniziato l'attacco del conte di Sant'Andrea, ora questi attendeva i rinforzi del duca d'Aosta i quali, tuttavia, non giunsero mai: Vittorio Emanuele, infatti, aveva sbagliato strada e anziché raggiungere l'alleato dalla valle, arrivò attraverso un ripido sentiero di montagna ben l'8 settembre. Da quella posizione Revel non riusciva a vedere il duca d'Aosta che si imbatté in alcune ridotte controllate dai francesi. Non potendo sostenere l'attacco in solitaria, De Vins comunicò a Revel di ritirarsi tuttavia questi disobbedì fiducioso dell'arrivo del duca. Dal canto suo Vittorio Emanuele, non potendo continuare un attacco prolungato lungo un sentiero montano dovette ritirarsi verso Venanson. I francesi, ciononostante, decisero di abbandonare comunque Lantosca per meglio trincerarsi più indietro lasciandola ai sabaudi. Scontento dell'insuccesso, il re se ne tornò a Demonte mentre De Vins ritenne opportuno prendere egli stesso le redini della situazione. Cominciato l'attacco il 15 ottobre, gli austro-piemontesi guadarono il Varo schierandosi tuttavia troppo distanti gli uni dagli altri; i francesi, benché inferiori di numero, ne approfittarono costringendo gli alleati a sloggiare la piana di Giletta in soli tre giorni. Il conte di Sant'Andrea, il 21, provò dunque ad attaccare Utello venendo tuttavia respinto dagli uomini di Dugommier: di fronte all'ennesimo fallimento, De Vins, a fine novembre, si vide costretto a ripiegare anche se è da segnalare un ultimo tentativo di ripresa da parte della divisione del duca d'Aosta.

Al termine della campagna del 1793 i contrattacchi alleati erano miseramente falliti, i già complessi rapporti fra gli austriaci e i piemontesi si deteriorarono maggiormente e ciò ebbe particolari conseguenze nel primo semestre dell'anno successivo. Anche i francesi, tuttavia, attraversavano un delicato periodo politico ed il regime di Robespierre non trascurò i fallimenti dei vari ufficiali sul fronte italiano. Il generale Brunet, così come accadde anche al generale Biron, fu chiamato a Parigi e ghigliottinato per alto tradimento, come conseguenza per la pessima prestazione offerta dalla sua armata nella prima battaglia di Saorgio e nello scontro dell'Authion. Brunet venne sostituito dapprima dal generale Jean-François Carteaux dipoi, a marzo, dal generale Lazare Hoche, a sua volta rimpiazzato dall'anziano generale Pierre-Jadart Dumerbion (1737-1797) in aprile. In realtà il potere stava saldamente nelle mani di Antoine Saliceti, Augustin de Robespierre e Jean-François Ricord (1759-1818), il triumvirato di commissari del popolo che vigilavano sull'andamento della guerra.

La campagna del 1794: le spallate francesi

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Mutamenti di comando e il piano d'attacco francese

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Il 6 gennaio il Regio Consiglio di Guerra respinse la proposta avanzata dal Segretario di Stato per gli Affari Interni Giuseppe Graneri (1730-1797) di passare dalla parte francese e, nonostante le forti rimostranza perorate dal duca d'Aosta e dal duca del Chiablese, si decise di scorporare l'Armata in due Comandi Superiori ciascuno su due divisioni: il primo Comando, quello delle Alpi Occidentali, avrebbe dovuto essere piemontese e guidato da Vittorio Emanuele mentre il secondo, misto austro-piemontese, avrebbe dovuto essere guidato direttamente da De Vins.

  • Armata delle Alpi Occidentali: Vittorio Emanuele duca d'Aosta come capitano generale e in sottordine il duca del Monferrato come capitano generale della divisione di Aosta mentre il principe di Carignano, promosso capitano generale ad hoc, per la divisione di Demonte, con loro anche il maggior generale Chino nelle Alpi Cozie settentrionali (Val di Susa e Val Chisone) e il maggior generale Provera nelle Alpi Cozie meridionali (Valle Maira, Val Varaita e Valle Grana);
  • Armata "mista" austro-sarda: De Vins capitano generale e in sottordine i tenenti generali Colli-Marchini e Dellera al Colle di Tenda e i maggiori generali Argenteau e il marchese di Montafia, Luigi Costa della Trinità (†1803), ad Ormea, fra le Alpi Marittime e l'Appennino ligure.

Le novità dal punto di vista militare, tuttavia, estromisero molti dei protagonisti del precedente anno, che lasciavano il loro ruolo. Il marchese di Cordon ed il conte di Sant'Andrea[N 4] si ritirarono dal comando attivo. Il principe di Carignano, Carlo Emanuele di Savoia, come si è scritto, prese il posto del generale Strassoldo il quale venne collocato a riposo.[16][17][18]

 
Ritratto del generale Dumas, soprannominato poi "il Diavolo Nero" per il colore della sua pelle

Dal lato francese, il comando dell'Armata delle Alpi passò al generale Alexandre Dumas mentre quello dell'Armata del Varo al generale Dumerbion. A vigilare sopra questi due generali rimanevano i commissari governativi Saliceti, Robespierre e Ricord, ora affiancati anche dall'italiano Filippo Buonarroti.[19] In più Lazare Carnot, responsabile militare del Comitato di Salute Pubblica, aveva aumentato i ranghi francesi grazie alla levée en masse favorendo l'amalgama fra le nuove reclute e i veterani.

L'obiettivo dell'Armata del Varo e di quella delle Alpi era quello di penetrare in Piemonte facendolo capitolare così da avere buon gioco per il resto dell'Italia settentrionale. Caduto il regno sardo, si pensava infatti, il resto dei potentati italiani non avrebbero rappresentato una seria minaccia per la Francia. Carnot, inoltre, aveva ideato tre direttrici d'attacco per mettere in crisi la difesa austro-sarda: per minacciare Torino e Aosta si avrebbe dovuto occupare il Moncenisio e il Piccolo San Bernardo, frattanto si sarebbe aperta l'offensiva su Saorgio e il Tenda per avanzare su Cuneo coadiuvata dal controllo della sabauda Oneglia e dei valichi verso Ceva e quindi Ormea-Col di Nava e Garessio-San Bernardo. Le operazioni sulle Alpi Liguri, tuttavia, prevedevano lo sconfinamento nei territori della Repubblica di Genova, sinora rimasta neutrale ed inviolata sia dai piemontesi sia dai francesi. Per tale motivo, il Comitato di Salute Pubblica, approvò il progetto escludendo però il transito militare in territorio genovese ed approvando un attacco via mare su Oneglia, considerato di vitale importanza per la riuscita del progetto.[20][21]

Il teatro meridionale

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Mappa delle operazioni attorno a Saorgio nel 1794

Dumerbion aveva posto particolare fiducia in tre emergenti generali, distintisi nel precedente anno, ovvero Sérurier, Massena ed il giovanissimo Bonaparte. Quest'ultimo, in particolare ebbe immensi meriti nella realizzazione dei piani di guerra che portarono alla caduta di Saorgio e all'avanzata francese verso la Repubblica di Genova. Bonaparte, avendo visitato nel 1792 sotto Anselme i luoghi dove i francesi avrebbero dovuto combattere e dove si erano incagliati l'anno precedente ed avendo studiato le campagne francesi del 1744-1745, si era reso contro che il Milleforche, l'Authion ed il Raus non sarebbero mai caduti con un attacco frontale e quindi Saorgio risultava inespugnabile. Tuttavia, rinunciando ad un attacco diretto, ma agendo tramite un'accurata manovra, era possibile costringere gli austro-piemontesi ad abbandonare le cime e la stessa Saorgio: bisognava aggirare la posizione dei coalizzati sulla sinistra, passando per la Roia, la Argentina e la Nervia, conquistando le montagne su quel lato. Così facendo sarebbero state recise le comunicazioni con la fortezza di Saorgio: caduta la fortezza, le posizioni delle forze antifrancesi sulle montagne circostanti sarebbero state presto abbandonate e le forze repubblicane avrebbero rapidamente potuto marciare verso il Colle di Tenda, bloccando l'accesso alla Contea di Nizza ed aprendo la strada verso Cuneo. Unico ostacolo a questo piano era il supporto diplomatico della Repubblica di Genova, per la quale i francesi erano costretti a passare e da cui bisognava attendere il benestare.[22] Gli obiettivi fissati dal Regime di Robespierre erano tutto sommato allineati con il piano di Bonaparte: il punto focale delle operazioni dell'armata di Dumerbion era quello di bloccare l'accesso al mare al Regno di Sardegna, impedendo così alle truppe della coalizione di ricevere il supporto britannico via mare. Similmente, l'Armata delle Alpi avrebbe dovuto cercare di conquistare i passi alpini che collegavano l'Italia alla Francia.[23] Il veterano generale Dellera, tuttavia, che aveva combattuto nella guerra di successione austriaca, capì le intenzioni francesi e tentò di perorare una piano difensivo volto a rinforzare Dolceacqua arretrando sul Tenda mantenendo però una linea di contatto fra Saorgio e la Valle Stura. In realtà, anche altri numerosi esponenti dell'esercito piemontese, memori dell'impresa del maresciallo di Malleibois del 1747, avevano insistito per assumere la stessa linea difensiva utilizzata all'epoca. Da Torino, però, Dellera ricevette esito negativo nonostante il parere concorde anche del re, in quanto De Vins riteneva assurdo che i francesi attaccassero Oneglia poiché ciò avrebbe significato una loro potenziale esposizione al fuoco della marina inglese.[24] Argenteau, inoltre, aveva ricevuto il compito da De Vins di presidiare la direttrice Oneglia-Albenga così da garantire il fianco sinistro verso la Lombardia ove si stava radunando un'armata austriaca lasciando tuttavia scoperto il fianco destro ove si trovavano gli alleati piemontesi.

 
Vista di Saorgio

Dal lato diplomatico, i sabaudi e gli austriaci tentarono di risolvere alcune spinose questioni, sperando di favorire la collaborazione e la coesione interna. Infatti, convinti di ottenere un trionfo sulle forze francesi, conclusero un trattato con lo scopo di spartirsi le future conquiste equamente, evitando di incappare in problematiche simili al termine della guerra. L'accordo fu siglato il 23 maggio a Valenciennes da Thugut, rappresentante degli austriaci, e dal marchese di Albarey, in vece dei sabaudi.[25][26] Era piuttosto palese che l'interesse austriaco non fosse volto alla Francia quanto piuttosto lo fosse nei confronti dei vari stati italiani, sui quali progettava di espandere la propria influenza. Non a caso, nonostante vi fosse ancora una divisione austriaca non impiegata negli scontri e stanziata a Milano, gli austriaci stentavano a mobilitarla, richiedendo invece il comando delle forze austro-piemontesi fosse affidato al generale De Vins, sebbene questi negoziati non ebbero mai successo e il comando rimase fermamente nelle mani del duca d'Aosta. Tentarono di raggruppare un esercito composto da soldati dei vari stati italiani per difendere la pianura ma non trovarono grande supporto, ottenendo la partecipazione simbolica dei ducati emiliani di Parma e Modena, che inviarono non più di 3000 uomini.[23]

Comunque, i diplomatici piemontesi ed austriaci non fecero in tempo a firmare il trattato di Valenciennes che le novità dal fronte misero immediatamente in dubbio la sua importanza e gettarono subito delle ombre sull'ottimismo che fino a quel momento aveva caratterizzato gli ambienti di corte sia a Vienna sia a Torino: seguendo il piano di Bonaparte, approvato dal Comitato di Salute pubblica su proposta di Dumerbion, i francesi erano riusciti a spingersi sino all'interno del territorio genovese, arrivando sino ad Oneglia ed impadronendosi di ogni punto strategico per la difesa di Saorgio, ormai in estremo pericolo.[27]

Il teatro alpino

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Colle del Piccolo San Bernardo visto dai monti adiacenti

Le ostilità sul fronte alpino ebbero inizio il 24 marzo, principalmente con lo scopo di distrarre le forze sabaude dal fronte meridionale, sebbene i due comandi fossero indipendenti da entrambe le parti. Dumas tentò per due volte si sfondare le difese dei piemontesi sul Moncenisio ma fu respinto in entrambe le occasioni. Fu allora che rivolse le proprie attenzioni al Piccolo San Bernardo. Nei pressi del passo vi erano due ridotte, sul monte Valesano, l'altra sul punto più alto del passo. I francesi ottennero i disegni delle fortificazioni del monte Valesano tramite un gruppo di cospiratori ed affrontarono il reggimento posto a sua protezione, che si arrese senza combattere. Presa la prima ridotta, usarono l'artiglieria lì presente per colpire l'altra posizione difensiva piemontese, costringendo i suoi occupanti ad abbandonarla e prendendo così il controllo definitivo del valico alpino. Preso uno dei due passaggi verso l'Italia, Dumas tentò per la terza volta la conquista del Moncenisio, stavolta con più fortuna.[28]

1796: Bonaparte al comando

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Campagna di Montenotte e Campagna d'Italia (1796-1797).
 
Bonaparte nella Prima Campagna d'Italia.

L'anno 1795 si era concluso senza grandi avvenimenti sul fronte italiano, con l'eccezione della battaglia di Loano, che aveva permesso alle truppe francesi di penetrare nel territorio dell'attuale Liguria, ma che non aveva trovato seguito, parzialmente per colpa delle condizioni pessime dell'Armata d'Italia, parzialmente a causa dell'atteggiamento prudente del generale Schérer. Nell'inverno seguente il comandante dell'armata francese, stanco di ricevere ordini da parte del Direttorio su come gestire la campagna, rassegnò le proprie dimissioni. Il Direttorio accettò le dimissioni di Schérer nel marzo del 1796, inviando al suo posto un giovane generale corso alla prima esperienza di comando di un'armata.[29] Così posta, quella di Napoleone Bonaparte, almeno inizialmente, sembrava una promozione più di natura politica che militare, in particolar modo come ricompensa per aver sedato la rivolta realista di Parigi.[30][N 5] Molti dei soldati di vecchia data, però, ricordavano bene il periodo dell'assedio di Tolone e conservavano un buon ricordo dell'ufficiale d'artiglieria che era riuscito a portare alla vittoria i rivoluzionari. Inoltre, Bonaparte aveva servito come ispettore dell'artiglieria nell'Armata d'Italia nel 1794 e la presa di Saorgio avvenne soprattutto grazie ad un piano di sua creazione.[31]

L'energia e il carisma di Bonaparte furono indispensabili per la riuscita della sua campagna: spostò il quartier generale francese da Nizza a Savona ed iniziò immediatamente a raccogliere tutte le informazioni possibili sui posizionamenti delle proprie truppe e su quelle nemiche. Nel tempo di un mese dal proprio arrivo, aveva già formulato un piano di azione per eliminare i piemontesi dal conflitto, facendo uso della "strategia della posizione centrale": sfruttando la separazione geografica tra l'esercito piemontese e quello austriaco, unita alla scarsa collaborazione e fiducia reciproca, Bonaparte pianificò si attaccare il punto più debole dello schieramento nemico, individuato nella cittadina di Carcare, per poi combattere separatamente contro i due eserciti. In questo modo, invece di affrontare un unico esercito con 60000 uomini, ne avrebbe dovuti affrontare due molto meno numerosi.[32] Nello specifico, Napoleone intendeva fare uso di una strategia, ideata nel 1745 dal maresciallo di Francia marchese Jean-Batiste Desmarets de Maillebois, che faceva leva sulla conquista della roccaforte di Ceva per estromettere i piemontesi dal conflitto: presa la fortezza, l'armata francese avrebbe direttamente puntato a Torino, costringendo le forze monarchiche sabaude alla resa.[33]

 
Bandiera colonnella del Reggimento Savoia nel 1796.

Ad ogni modo, le condizioni dell'esercito di Bonaparte erano misere: le paghe dei soldati erano in ritardo di mesi; le malattie dilagavano tra i vari reparti; le diserzioni e gli ammutinamenti non erano novità o casi isolati; spesso le razioni erano insufficienti se non del tutto assenti. Inoltre, non solo il fronte era considerato secondario rispetto a quello tedesco, ma il Direttorio puntualmente prelevava soldati dall'Armata d'Italia per dislocarli a più nord. Con la sua solita infinita energia, Napoleone iniziò a scrivere decine e decine di lettere al Direttorio, chiedendo nuove scarpe, munizioni, fondi e qualsiasi cosa ponente essere utile alla sua causa. Venne in parte di accontentato, sebbene con i soliti ritardi che riflettevano lo scarso interesse nei confronti della sua armata e del fronte italiano. Comunque, non furono tanto le nuove risorse ricevute a portare alle fortune dell'Armata d'Italia quanto invece fu lo stesso spirito di Bonaparte, che lavorava instancabilmente ed incessantemente per rimettere in condizione il proprio esercito. La cosa non passò inosservata, specialmente tra gli ufficiali, ed in molto iniziarono da subito ad apprezzare il loro nuovo comandante.[34]

Bonaparte aveva progettato di iniziare la campagna il 15 aprile. Aveva collocato una brigata sotto il comando del generale Cervoni a Voltri, non lontano da Genova, per tenere sotto controllo la città portuale e mantenere sotto osservazione gli austriaci di Beaulieau. Ad ovest, le tre divisioni al comando dei suoi tre generali più anziani (Sérurier, Augereau e Massena) si stavano preparando per marciare sul passo di Cadibona e penetrare rapidamente in Piemonte. Questi progetti andarono a monte quando Beaulieau, convinto che Napoleone puntasse a Genova, organizzò un improvviso attacco al corpo isolato di Cervoni, che dopo un'iniziale resistenza, fu sloggiato. Una divisione austriaca rimase di stanza nel capoluogo mentre una brigata al comando di Argenteau si diresse a Cairo Montenotte. I ricognitori francesi individuarono il corpo di Argenteau e segnalarono la sua presenza al comandante francese: Napoleone, che aveva studiato attentamente tutte le mappe della zona, era ben consapevole che nessun altro reparto austriaco avrebbe potuto raggiungere in breve tempo la brigata di Argenteau e si decise ad attaccarla immediatamente, anticipando tutta l'operazione militare dal 15 aprile al 12.[35]

 
Rampon difende la ridotta di Monte Negino.

Le tre divisioni francesi al comando di Augereau, Sérurier e Massena si mossero verso Cairo Montenotte, dove il giorno precedente Argenteau aveva tentato di prendere la ridotta del Monte Negino, tenacemente difesa dal colonnello Rampon e dai suoi uomini. Argenteau non si rese conto del pericolo corso dalle proprie forze di fino a che non fu troppo tardi: si ritrovò quasi circondato dai francesi, che lo attaccarono da tre lati distinti e per poco non vennero del tutto annientate.[36] Le perdite austriache furono notevoli, con oltre 2500 tra feriti, caduti e prigionieri. Quelle francesi non arrivarono al migliaio. La prima battaglia di Napoleone poté quindi definirsi un successo: un intero distaccamento austriaco era stato sbaragliato e il morale delle truppe era salito alle stelle in seguito alla vittoria, la prima di una lunga serie.[35]

Le settimane seguenti furono coronate da una frenetica avanzata dei repubblicani, che seguendo la strategia del loro comandante, volevano respingere e schiacciare del tutto i piemontesi prima di rivolgere le proprie attenzioni agli austriaci, che avevano appena appreso della debacle di Montenotte.[37] Il corpo di Augereau fu il primo a raggiungere il passo di Cadibona mentre le altre divisioni si occuparono di attaccare i villaggi di Millesimo e Dego, che ospitavano numerosi reparti delle armate della coalizione. Sebbene i risultati fossero eccelsi dal punto di vista militare, la fretta e la scarsa disciplina si dimostrano nemiche dei francesi: a Dego gli uomini di Massena si diedero al saccheggio della cittadina, venendo colti di sorpresa da un gruppo di austriaci e perdendo per qualche ora il controllo del paesino[38] mentre la divisione di Augereau, dopo aver sconfitto gli austro-piemontesi si lanciò nella conquista del castello di Cosseria, una postazione ottimamente difesa dalle forze coalizzate. Le perdite a Cosseria furono consistenti, quasi 1500 tra morti e feriti, e sarebbero state decisamente maggiori se gli assediati non avessero terminato le munizioni e si fossero arresi dopo un solo giorno.[39]

 
Forte di Ceva nel 1796

Allontanati gli austriaci da Dego, Bonaparte fece convergere le proprie forze sulla fortezza di Ceva, seguendo alla perfezione la strategia da lui stesso programmata. Il 16 aprile Bonaparte mandò la divisione la divisione di Augereau ad attaccare la fortezza sul centro, Massena dalla sinistra e Sérurier dalla destra: gli assalti furono numerosi e sanguinosi, soprattutto per i repubblicani, ma la piazzaforte e le vicine ridotte alla fine della giornata rimasero in mano ai monarchici. Nella notte, il comandante piemontese abbandonò la fortezza e si rifugiò dietro alla Corsaglia. I francesi scacciarono la debole guarnigione rimasta ed il 18 aprile fecero della fortezza il loro nuovo quartier generale.[40] Ancora una volta, i francesi seguirono i piemontesi nella loro ritirata e li attaccarono nei pressi di Mondovì: Colli-Marchini, che intendeva solamente guadagnare tempo per ritirarsi, non riuscì a fermare le forze repubblicane e venne sconfitto per l'ennesima volta. Nonostante il lodevole comportamento dell'esercito piemontese, che era sempre riuscito a rimanere compatto, l'incontrastabile forza dei francesi era stata sufficiente a penetrare nel cuore del Regno di Sardegna e pareva molto complicato riuscire a fermare la loro avanzata verso la capitale.[41]

Conseguenze

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Armistizio di Cherasco.

La recente serie di vittorie repubblicane non lasciavano presagire alcun dubbio su quale sarebbe stata la sorte dell'esercito regio se la guerra fosse proseguita. Mentre le divisioni francesi avanzavano nella pianura piemontese, due giorni dopo la battaglia di Mondovì, il 23 aprile, i generali sabaudi richiesero un armistizio separato con le forze francesi, mediato dal ministro spagnolo Ulloa. Il trattato fu firmato il 28 aprile 1796 nella città di Cherasco: il Regno di Sardegna si arrendeva alla Francia, consegnando ad essa la Savoia e tutta la Contea di Nizza. È da segnalare in questo periodo di 5 giorni la nascita e la fine della breve Repubblica di Alba, stato filogiacobino esistito per soli due giorni nella città piemontese.[42]

Note esplicative

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  1. ^ Regno fantoccio creato dai britannici dopo l'occupazione della Corsica nel 1793.
  2. ^ Gli inglesi costrinsero il reticente granduca a sottoscrivere una convenzione militare antifrancese il 28 ottobre 1793 ma già il 4 febbraio 1794 il governo granducale firmerà un trattato di neutralità con la Francia.
  3. ^ a b Nel 1794 il ducato di Parma e quello di Modena, in quanto vincolati dal trattato di Aranjuez del 1752, furono costretti ad inviare simbolicamente alcuni reparti in aiuto degli austriaci.
  4. ^ Il marchese di Cordon divenne nuovo Gran Maestro della Casa Reale mentre il conte di Sant'Andrea fu nominato governatore di Asti.
  5. ^ Molti si aspettavano la promozione ad interim di Massena al comando dell'armata d'Italia, dopo le brillanti prove di Giletta e Loano. Il futuro maresciallo si disse inizialmente deluso ma si ricredette rapidamente dopo le prime settimane sotto il comando del futuro imperatore.

Note bibliografiche

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  1. ^ Carutti, pp. 120-121.
  2. ^ Carutti, pp. 121-122.
  3. ^ Carutti, pp. 125-130.
  4. ^ Carutti, pp. 134-135.
  5. ^ a b Botta, p. 20.
  6. ^ Carutti, pp. 141-142.
  7. ^ Botta, pp. 20-21.
  8. ^ Carutti, pp. 147-148.
  9. ^ Ilari, pp. 25-29.
  10. ^ Roberts, pp. 104-105.
  11. ^ Tuetey, pp. 57-58.
  12. ^ Jomini III, p. 281.
  13. ^ Tuetey, p. 60.
  14. ^ Jomini III, pp. 288-289.
  15. ^ Carutti, pp. 230-231.
  16. ^ Carutti, pp. 249-250.
  17. ^ Coppi, pp. 44-45.
  18. ^ Ilari, pp. 145-147.
  19. ^ Carutti, pp. 250-251.
  20. ^ Carutti, pp. 249-250.
  21. ^ Coppi, pp. 44-45.
  22. ^ Carutti, pp. 250-251.
  23. ^ a b Jomini V, pp. 196-197.
  24. ^ Carutti, pp. 251-252.
  25. ^ Coppi, pp. 43-44.
  26. ^ La data non è univoca. Carutti, pp. 259-260, pone il giorno 29 maggio come data dell'accordo mentre Botta, pp. 51-52, e Coppi, pp. 43-44, la pongono al 23.
  27. ^ Botta, p. 53.
  28. ^ Carutti, pp. 252-253.
  29. ^ Barthélemy-Louis-Joseph Schérer (1747-1804), su www.frenchempire.net. URL consultato il 15 gennaio 2025.
  30. ^ Roberts, pp. 106-107.
  31. ^ David G. Chandler, Le campagne di Napoleone, vol. I, 9ª edizione, Milano, BUR, 2006 [1992], pp. 76-78, ISBN 88-17-11904-0.
  32. ^ Roberts, pp. 112-114.
  33. ^ Roberts, p. 105.
  34. ^ Roberts, pp. 109-110.
  35. ^ a b Roberts, p. 115.
  36. ^ Boycott-Brown, pp. 221-228.
  37. ^ Roberts, p. 116.
  38. ^ Botta, pp. 90-91.
  39. ^ Fiebeger, p. 8.
  40. ^ Coppi, pp. 101-102.
  41. ^ Botta, pp. 94-95.
  42. ^ Hugo (1835), pp. 80-82.

Bibliografia

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