Discordo
Il discordo è un componimento metrico che risale alle origini della poesia italiana, erede del descort della lirica provenzale da cui mutua anche il nome.
Il discordo si diffuse in Italia nel Duecento tramite la Scuola siciliana con la caratteristica, per quanto concerne soprattutto la forma, di tratti astrofici, schema rimico alquanto variegato da strofa a strofa, versi preferibilmente brevi (con l'esclusione dell'endecasillabo[1]), variabili numericamente da una strofa all'altra e nel numero delle sillabe.
Per quanto concerne il contenuto, il discordo poteva essere a tema: contrasto amoroso, contrasto tra il lamento d'amore e la piacevolezza della melodia, contrasto tra schema poetico e melodico e contrasto fra più lingue[1].
Il carattere fortemente cortese del "discordo" spiega la sua diffusione in ambito siciliano e il suo scarso successo postsiciliano nella rimanente penisola.
Tra i poeti del XIII secolo che hanno composto discordi troviamo:
- Bonifacio Calvi (discordo trilingue: provenzale, italiana e spagnola)[2]
- Giovanni di Brienne (Donna, audite como)[3]
- Iacopo da Lentini (Dal core mi vene )
- Giacomino Pugliese (Donna per vostro amore)[4]
- Federico I di Svevia (Plas mi cavalier frances, del 1160 ca; discordo bilingue: italiano e provenzale[2]
- Dante Alighieri (Aï faux ris, pour quoi traï aves)
Esempi
modificaDonna, audite como, di Giovanni di Brienne, rappresenta la prima testimonianza di discordo in Italia[3] (ca 1225).
Schema metrico:
stanze num. versi schema rimico tipo di rima I. (9) aad bbd ccd II. (14) ededededededed baciata III. (23) fgfgfgfffgfffgffgffgffg baciata IV. (22) hihihihihihihihihihihi baciata V. (7) jjjjjjj monorima VI. (6) gfgfgf baciata VII. (6) iikiik VIII. (6) hlhlhl baciata IX. (6) mmnoon
Per quanto riguarda la loro lunghezza, i versi variano tout court dal quaternario all'ottonario.
Donna, audite como
modifica Donna, audite como
mi tegno vostro omo
e non d'altro segnore.
La mia vita fina
voi l'avete in dot[t]rina
ed in vostro tenore.
Oi chiarita spera!
la vostra dolze ciera
de l'altr[e] è genzore.
Così similemente
è lo vostro colore:
color non vio sì gente
né 'n tinta, né 'n fiore;
ancor la fior sia aulente,
voi avete il dolzore.
Dolze tempo e gaudente
inver[i] la pascore!
ogn'om che ama altamente
si de' aver bon core
di cortese e valente
e le[a]l servitore
inver donna piagente,
cui ama a tut[t]ore.
Tut[t]ora de' guardare
di fare fallanza
ché non è da laudare
chi non à leanza,
e ben de' om guardare
la sua [o]noranza.
Certo be[n] mi pare
che si facc[i]a blasmare
chi si vuole orgogliare
là ove non à possanza.
E chi ben vuol fare,
sì si de' umiliare
inver sua donna amare
e fare conosc[i]anza.
Or venga a rid[d]are
chi ci sa [ben] andare,
e chi à intendanza
si degia allegrare
e gran gioia menare
per [sua] fin[a] amanza;
chi no lo sa fare,
non si facc[i]a blasmare
di trarersi a danza.
Fino amor m'à comandato
ch'io m'allegri tut[t]avia,
faccia sì ch'io serva a grato
a la dolze donna mia,
quella c'amo più 'n celato
che Tristano non facia
Isotta, como cantato,
ancor che li fosse zia.
Lo re Marco era 'nganato
perché 'n lui si confidia:
ello n'era smisurato
e Tristan se ne godia
de lo bel viso rosato
ch' Isaotta blond' avia:
ancor che fosse pec[c]ato,
altro far non ne potia,
c'a la nave li fui dato
onde ciò li dovenia.
Nullo si facc[i]a mirato
s'io languisco tut[t]avia,
ch'io sono più 'namorato
che null'altro omo che sia.
Perla, fior de le contrate,
che tut[t]e l'altre passate
di belleze e di bontate,
donzelle, or v'adornate,
tut[t]e a madon[n]a andate
e mercede le chiamate,
che di me agia pietate;
di que', ch'ell'à, rimembranza
le degiate portare;
già mai 'n altra ['n]tendanza
non mi voglio penare,
se no 'n lei per amanza,
ché lo meglio mi pare.
Dio mi lasci veder la dia
ch'io serva a madonna mia
a piacimento,
ché io servire le vorrìa
a la fiore di cortesìa
e insegnamento.
Meglio mi tegno per pagato
di madonna,
che s'io avessi lo contato
di Bologna
e la Marca e lo ducato
di Guascogna.
E le donne e le donzelle
rendano le lor castelle
senza tinere.
Tosto tosto vada fore
chi non ama di bon core
a piacere
Aï faux ris, pour quoi traï aves
modificaNel discordo Aï faux ris, pour quoi traï aves, attribuito a Dante Alighieri, il testo poetico è intriso di francese (o provenzale secondo alcuni), toscano e latino[5].
Aï faux ris, pour quoi traï aves
oculos meos? Et quid tibi feci,
che fatta m'hai così spietata fraude?
Iam audi[vi]ssent verba mea Greci!
E selonch autres dames vous saves
che ‘ngannator non è degno di laude.
Tu sai ben come gaude
miserum eius cor qui prestolatur:
je li sper anc, e pas de moi non cure.
Ai Dieus, quante malure
atque fortuna ruinosa datur
a colui che, aspettando, il tempo perde,
né già mai tocca di fioretto il verde![6]
[...]
Plas mi cavalier frances
modifica Plas mi cavalier frances
e la dama catalana
e l'onrar del genoes
e la cour de castellana,
lo cantar provenzales
e la danza trivisana
e lo corps aragones
e la perla iuliana,
la mans e cera d'angles
e lo donzel de Touscana.
Note
modifica- ^ a b Claudia Bussolino, Glossario di retorica, metrica e narratologia, su books.google.it, 2006, p. 67. URL consultato il 26 febbraio 2013.
- ^ a b Francesco Trucchi, Poesie Italiane inedite di dugento autori: dall'origine della, su books.google.it, vol. 1, 1846, XVIII. URL consultato il 26 febbraio 2013.
- ^ a b (EN) Peter Dronke, Sources of Inspiration: Studies in Literary Transformation : 400-1500, su books.google.it, Roma, 1997. URL consultato il 25 febbraio 2013.
- ^ Antonio Pinchera, La metrica, su books.google.it, 1999, 104. URL consultato il 26 febbraio 2013.
- ^ Treccani.it, Ai faux ris, pour quoi trai aves, su treccani.it, 1970. URL consultato il 26 febbraio 2013.
- ^ Massimiliano Chiamenti, Aï faux ris. L'unicità, ossia the otherness, di una poesia di Dante (PDF), su nuovorinascimento.org, 16 settembre 2008, 12. URL consultato il 26 febbraio 2013.
Bibliografia
modifica- P. Canettieri, Descortz es dictatz mot divers. Ricerche su un genere lirico romanzo del XIII secolo, Roma, 1995.
Voci correlate
modificaControllo di autorità | Thesaurus BNCF 6135 |
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