Cinema sudcoreano

cinema della Corea del Sud

Il cinema sudcoreano è stato fortemente influenzato da eventi quali la colonizzazione giapponese della Corea, la Guerra di Corea, la censura governativa, il settore aziendale, la globalizzazione e la democratizzazione della Corea del Sud.[1][2]

Un cinema a Seul.

L'età dell'oro del cinema sudcoreano a metà del XX secolo ha prodotto due film considerati tra i capolavori della cinematografia locale, Hanyeo (1960) e Obaltan (1961).[3] L'impero e la gloria - Roaring Currents (2014) è la pellicola più vista di sempre in Corea del Sud,[4] mentre Parasite (2019) la prima a ricevere la Palma d'oro e l'Oscar al miglior film.[5][6] Old Boy (2003) e Snowpiercer (2013) sono diventati film di culto a livello internazionale.[7][8]

  Lo stesso argomento in dettaglio: Cinema coreano.

I primi cinema aprirono in Corea all'alba del XX secolo, sul finire della dinastia Joseon e durante il periodo coloniale giapponese.[9][10]

Liberazione e Guerra di Corea (1945-1953)

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Dopo la resa del Giappone nel 1945, la Corea venne liberata dal governo coloniale, ma si divise presto in due Stati, Corea del Nord e Corea del Sud, che entrarono in conflitto combattendo, tra il 1950 e il 1953, la Guerra di Corea.[11] In questo periodo l'industria cinematografica ristagnò e vennero prodotti soltanto quattordici film, tutti andati perduti.[12] In seguito all'armistizio, il presidente sudcoreano Syngman Rhee tentò di rilanciare l'industria cinematografica esentandola dalle tasse; inoltre, dopo la guerra arrivarono nel paese aiuti esteri che fornirono ai cineasti sudcoreani attrezzature e tecnologie per iniziare a produrre più film.[13]

Età dell'oro (1955-1972)

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Nonostante fosse ancora vigente la censura governativa, la Corea del Sud sperimentò un'età dell'oro del cinema – consistente per la maggior parte di melodrammi – a partire dalla metà degli anni Cinquanta.[1] Il numero di pellicole prodotte crebbe da 15 nel 1954 a 111 nel 1959.[14] Uno dei film più popolari di questo periodo, l'ormai perduto Chunhyangjeon di Lee Kyu-hwan (1955), venne visto dal 10% della popolazione di Seul.[13] Esso riprese un racconto popolare coreano, mentre un altro film popolare dell'epoca, Ja-yubu-in di Han Hyung-mo (1956), narrò una storia moderna di sessualità femminile e valori occidentali.[15]

 
Locandina di Hanyeo (1960).

I cineasti coreani godettero di un breve periodo di libertà dalla censura all'inizio degli anni Sessanta con la transizione tra l'amministrazione di Syngman Rhee e quella di Park Chung-hee.[16] Hanyeo di Kim Ki-young e Obaltan di Yu Hyun-mok, considerati tra le migliori produzioni del Paese, videro la luce in questi anni.[3] Nel 1961 Mabu di Kang Dae-jin diventò il primo film sudcoreano a vincere un premio ad un festival del cinema internazionale aggiudicandosi l'Orso d'argento, gran premio della giuria al Festival di Berlino.[17]

Quando Park Chung-hee salì al potere nel 1962, il controllo governativo sull'industria cinematografica aumentò sostanzialmente; la censura si concentrò sull'oscenità, il comunismo e l'antipatriottismo nel cinema. Vennero introdotte nuove regole che ridussero il numero di case cinematografiche locali da 71 a 16 nel giro di un anno, e misure sempre più restrittive che limitavano i film importati introducendo un sistema di quote.[18][19] Quest'ultima iniziativa causò però un boom del cinema nazionale e i registi sudcoreani dovettero lavorare velocemente per soddisfare la domanda del pubblico, girando molti film in poche settimane: i cineasti più famosi arrivarono a realizzare dalle sei alle otto pellicole all'anno. In particolare, il regista Kim Soo-yong fece uscire dieci film nel 1967, incluso An-gae, che sarebbe stato poi considerato il suo capolavoro.[17]

Negli anni Sessanta venne prodotto anche il primo film d'animazione sudcoreano, Hong Gil-dong (1967).[17]

Censura e propaganda (1973-1979)

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Il controllo governativo sull'industria sudcoreana del cinema raggiunse il picco negli anni Settanta sotto la presidenza autoritaria di Park Chung-hee. Nel 1973 fu fondata la Korean Motion Picture Promotion Corporation per supportare l'industria cinematografica, ma il suo scopo principale fu, in realtà, quello di controllarla e promuovere un sostegno "politicamente corretto" alla censura e agli ideali del governo.[20] Nel 1981 l'International Film Guide riportava che "nessun paese ha un codice di censura cinematografica più severo della Corea del Sud – con la possibile eccezione dei nordcoreani e di alcuni altri paesi del blocco comunista".[21]

Solo i cineasti che avevano già prodotto film "ideologicamente validi" ed erano considerati leali al governo potevano distribuire nuove pellicole. I membri dell'industria cinematografica che cercavano di aggirare le leggi sulla censura venivano inseriti in una lista nera e talvolta incarcercati.[22] Uno di loro, il regista Shin Sang-ok, venne rapito dal governo nordcoreano nel 1978 dopo che il governo sudcoreano gli ebbe revocato la licenza per produrre film nel 1975.[23]

I film propagandistici prodotti negli anni Settanta non furono molto amati dal pubblico, che nei vent'anni precedenti si era abituato a vedere rappresentati sullo schermo dei problemi sociali reali.[24] Oltre all'interferenza del governo, i cineasti iniziarono a perdere pubblico anche a favore della televisione, e le presenze nei cinema diminuirono di oltre il 60% dal 1969 al 1979.[24] Alcune opere ottennero comunque la popolarità al botteghino, come Yeongja-ui jeonseong sidae (1975) e Gyeo-ur-yeoja (1977) del regista Kim Ho-sun.[23] Entrambi sono classificati come "film sulle hostess", ovvero prostitute e ragazze da bar: nonostante l'evidente contenuto sessuale, il governo ne permise la distribuzione e il genere fu estremamente popolare durante gli anni Settanta e Ottanta.[19]

Ripresa (1980-1996)

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Negli anni Ottanta, il governo iniziò ad allentare la censura e il controllo sull'industria cinematografica. Una legge del 1984 permise ai cineasti indipendenti di produrre film, e un suo aggiornamento del 1986 incrementò il numero di pellicole che potevano essere importate dall'estero.[18] Nel frattempo, i film sudcoreani iniziarono a raggiungere per la prima volta il pubblico internazionale in modo significativo: nel 1981 Im Kwon-taek vinse il Gran premio all'Hawaii Film Festival con Mandala e negli anni successivi diventò il primo regista sudcoreano con opere proiettate ai festival cinematografici europei.[25]

Nel 1988 vennero eliminate tutte le restrizioni rimaste sui film stranieri e le case cinematografiche statunitensi iniziarono ad aprire delle filiali in Corea del Sud. Per permettere alle produzioni locali di competere, fu nuovamente introdotto un sistema di quote secondo il quale i film sudcoreani dovevano essere proiettati almeno 146 giorni all'anno: ciononostante, nel 1993 essi occupavano soltanto il 16% del mercato.[18]

L'industria cinematografica subì un ulteriore cambiamento nel 1992 con Gyeolhon i-yagi di Kim Ui-seok, distribuito dalla Samsung: fu il primo film sudcoreano avente per distributore un conglomerato aziendale (chaebol) e fece sì che altri chaebol entrassero nell'industria cinematografica utilizzando un sistema integrato di finanziamento, produzione e distribuzione.[26]

Rinascita (1997-oggi)

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Con l'abbattersi della crisi finanziaria asiatica nel 1997, molti chaebol ridussero il proprio coinvolgimento nell'industria cinematografica: avevano tuttavia già gettato le basi per la rinascita del cinema sudcoreano sostenendo giovani registi e introducendo buone pratiche commerciali nel settore.[26] Tra i tardi anni Novanta e i primi anni Duemila cominciò quindi a emergere un "nuovo cinema coreano" fatto di blockbuster patinati e creativi film di genere.[2] Uno dei primi campioni d'incassi fu Swiri di Kang Je-gyu (1999), che vendette oltre 2 milioni di biglietti nella sola Seul.[27] Lo seguirono Joint Security Area di Park Chan-wook (2000), Yeopgijeog-in geunyeo di Kwak Jae-yong (2001), Chin-gu di Kwak Kyung-taek (2001), Silmido di Kang Woo-suk (2003) e Brothers of War - Sotto due bandiere di Kang Je-gyu (2004): in particolare, sia Silmido che Brothers of War attrassero oltre 10 milioni di spettatori, circa un quarto dell'intera popolazione sudcoreana dell'epoca.[28]

A fine anni Novanta, i successi locali al botteghino superavano in numero quelli dei film di Hollywood grazie specialmente alle normative sulle quote schermo che limitavano le proiezioni di questi ultimi.[29] I distributori cinematografici al di fuori della Corea del Sud criticavano questa pratica ritenendola ingiusta, e come prerequisito per i negoziati con gli Stati Uniti per un accordo di libero scambio, il governo coreano ridusse i giorni annuali di proiezione dei film locali da 146 a 73, consentendo a più film stranieri di entrare nel mercato.[30] Ciò suscitò il malcontento dei lavoratori del cinema sudcoreano, che nel febbraio 2006 organizzarono raduni di massa per protestare.[31] Documentando gli eventi, il giornalista Kim Hyun scrisse: "l'industria cinematografica sudcoreana, come nella maggior parte dei Paesi, è ampiamente oscurata da Hollywood. La nazione ha esportato negli Stati Uniti film per un valore di 2 milioni di dollari l'anno scorso e ne ha importati per un valore di 35,9 milioni di dollari".[32]

Negli anni Duemila i film sudcoreani cominciarono a riscuotere una considerevole attenzione internazionale in parte grazie al regista Park Chan-wook, il cui Old Boy vinse il Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2004.[7] Quindici anni dopo, Parasite di Bong Joon-ho fu la prima pellicola sudcoreana ad aggiudicarsi la Palma d'oro al Festival di Cannes[33] e un riconoscimento ai Premi Oscar: qui ricevette l'Oscar al miglior film, al miglior regista, al miglior film in lingua straniera e alla miglior sceneggiatura originale, diventando la prima pellicola prodotta interamente da un Paese asiatico a ricevere una candidatura come miglior film dopo La tigre e il dragone di Ang Lee (2000) e la prima pellicola non in inglese ad aggiudicarsi il medesimo premio.[34]

Cinema LGBT

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La Corea del Sud produce film LGBT o queer (i due termini vengono usati indistintamente dai critici locali)[35] sin dalla sua fondazione. Secondo il ricercatore Kim Pil-ho se ne possono individuare tre diverse fasi storiche in base loro visibilità e accoglienza: durante l'Età invisibile (1945-1997) i film con tematiche queer ebbero un'attenzione limitata e una rappresentazione discreta a causa delle pressioni sociali; durante l'Età della mimetizzazione (1998-2004) la sfera politica e sociale più liberale incoraggiò i registi ad aumentare la produzione di film LGBT e sperimentare di più con rappresentazioni palesi ma comunque esitanti; infine, durante l'Era dei blockbuster (2005-oggi) i film a tema LGBT hanno iniziato a entrare nel mainstream grazie alla spinta contro la censura.[36]

Il cinema coreano queer è rappresentato principalmente in film e cortometraggi indipendenti, ma esistono movimenti a sostegno del suo ingresso nel cinema mainstream. Nel 1998 è emerso il Seoul Queer Film and Video Festival dopo che l'originale festival cinematografico gay e lesbico era stato chiuso dalle autorità coreane.[37]

Film con i maggiori incassi

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Il Korean Film Council pubblica i dati del botteghino sui film sudcoreani dal 2004. A ottobre 2024, i primi dieci film nazionali con gli incassi più alti in Corea del Sud sono i seguenti:[4]

  1. L'impero e la gloria - Roaring Currents (2014)
  2. Geukan jigeop (2019)
  3. Sin-gwahamkke: Joe-wa beol (2017)
  4. Gukjesijang (2014)
  5. Veteran (2015)
  6. Seo-ur-ui bom (2023)
  7. The Thieves (2012)
  8. 7beonbang-ui seonmul (2013)
  9. Amsal (2015)
  10. Beomjoedosi 2 (2022)

Premi cinematografici

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Le prime cerimonie di premiazione cinematografica furono istituite in Corea del Sud negli anni Cinquanta, ma successivamente annullate. Le più longeve e popolari sono i Grand Bell Award, istituiti nel 1962, e i Blue Dragon Film Award, istituiti nel 1963. Altri premi cinematografici includono i Baeksang Arts Award, i Korean Association of Film Critics Award e i Busan Film Critics Award.[38]

  1. ^ a b (EN) Clinton Stamatovich, A Brief History of Korean Cinema, Part One: South Korea by Era, su busanhaps.com, 25 ottobre 2014 (archiviato dall'url originale il 26 gennaio 2015).
  2. ^ a b (EN) Darcy Paquet, New Korean Cinema: Breaking the Waves, Columbia University Press, 2012, pp. 1-5, ISBN 978-0231850124.
  3. ^ a b Min, p. 46.
  4. ^ a b (KO) 역대 박스오피스, su kobis.or.kr. URL consultato il 5 settembre 2024.
  5. ^ (EN) Gwilym Mumford, Cannes 2019: Bong Joon-ho's Parasite wins the Palme d'Or – as it happened, in the Guardian, 25 maggio 2019. URL consultato il 5 settembre 2024.
  6. ^ (EN) Dan Schindel, Parasite’s Historic Wins at the 92nd Academy Awards, su Hyperallergic, 10 febbraio 2020. URL consultato il 5 settembre 2024.
  7. ^ a b (EN) Alexander Chee, Park Chan-wook, the Man Who Put Korean Cinema on the Map, in The New York Times, 16 ottobre 2017.
  8. ^ (EN) Adam Nayman, Bong Joon-ho Could Be the New Steven Spielberg, su theringer.com, 27 giugno 2017. URL consultato il 5 settembre 2024.
  9. ^ (KO) Oh Seung-hoon e Kim Gyeong-ae, “한국 최초의 영화관 ‘애관극장’ 사라지면 안되잖아요”, su hani.co.kr, 2 novembre 2021. URL consultato il 5 settembre 2024.
  10. ^ (KO) Lee Jae-deok, 저당 잡힌 ‘109살 한국 예술의 요람’ 단성사는 웁니다, su khan.co.kr, 6 febbraio 2015. URL consultato il 5 settembre 2024.
  11. ^ (EN) Don Oberdorfer, The two Koreas: a contemporary history, Addison-Wesley, 1997, pp. 472, ISBN 978-0-201-40927-7.
  12. ^ (KO) Gwon Yeong-taek, 한국전쟁 중 제작된 영화의 실체를 마주하다, su koreafilm.or.kr, 10 agosto 2013. URL consultato l'8 settembre 2024 (archiviato dall'url originale l'8 settembre 2014).
  13. ^ a b (EN) Darcy Paquet, A Short History of Korean Film, su koreanfilm.org, 1º marzo 2007. URL consultato l'8 settembre 2024.
  14. ^ (EN) Darcy Pacquet, Darcy's Korean Film Page - 1945 to 1959, su koreanfilm.org. URL consultato il 22 settembre 2024.
  15. ^ (EN) Kathleen McHugh e Nancy Abelmann (a cura di), South Korean golden age melodrama: gender, genre, and national cinema, collana Contemporary approaches to film and television series, Wayne State University Press, 2005, pp. 25-38, ISBN 978-0-8143-3253-5.
  16. ^ (EN) Rich Goldstein, Propaganda, Protest, and Poisonous Vipers: The Cinema War in Korea, in The Daily Beast, 30 dicembre 2014. URL consultato il 22 settembre 2024.
  17. ^ a b c (EN) Darcy Paquet, Darcy's Korean Film Page - 1960s, su koreanfilm.org. URL consultato il 22 settembre 2024.
  18. ^ a b c (EN) Jennier Rousse-Marquet, The Unique Story of the South Korean Film Industry, su inaglobal.fr, 30 settembre 2013. URL consultato il 22 settembre 2024 (archiviato dall'url originale l'11 novembre 2013).
  19. ^ a b (EN) Molly Hyo Kim, Film Censorship Policy During Park Chung Hee’s Military Regime (1960–1979) and Hostess Films, in IAFOR Journal of Cultural Studies, vol. 1, n. 2, 30 settembre 2016, DOI:10.22492/ijcs.1.2.03. URL consultato il 22 settembre 2024.
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  29. ^ (EN) Sam Jameson, U.S. Films Troubled by New Sabotage in South Korea Theater, su latimes.com, 19 giugno 1989. URL consultato il 1º ottobre 2024.
  30. ^ (EN) ‘Movie Industry Heading for Crisis’, su koreatimes.co.kr, 11 maggio 2007. URL consultato il 1º ottobre 2024.
  31. ^ (EN) James Brown, Screen quotas raise tricky issues, su Variety, 9 febbraio 2007. URL consultato il 1º ottobre 2024.
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  33. ^ (EN) Pierce Conran, PARASITE Crowned Best Foreign Language Film at Golden Globes, su koreanfilm.or.kr. URL consultato il 3 ottobre 2024.
  34. ^ (EN) Klaritza Rico e Maane Khatchatourian, ‘Parasite’ Becomes First South Korean Movie to Win Best International Film Oscar, su variety.com, 10 febbraio 2020. URL consultato il 3 ottobre 2024.
  35. ^ (EN) Ungsan Kim, Queer Korean cinema, national others, and making of queer space in Stateless Things (2011), in Journal of Japanese and Korean Cinema, vol. 9, n. 1, 2 gennaio 2017, pp. 61–79, DOI:10.1080/17564905.2017.1296803. URL consultato il 3 ottobre 2024.
  36. ^ (EN) Kim Pil-ho e C. Colin Singer, Three Periods of Korean Queer Cinema: Invisible, Camouflage, and Blockbuster, in Acta Koreana, vol. 14, n. 1, 2011-06, pp. 117–136, DOI:10.18399/acta.2011.14.1.005. URL consultato il 3 ottobre 2024.
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  38. ^ (EN) Darcy Paquet, Film Awards Ceremonies in Korea, su koreanfilm.org. URL consultato il 3 ottobre 2024.

Bibliografia

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  • (EN) Justin Bowyer, The cinema of Japan and Korea, collana 24 frames, Wallflower press, 2004, ISBN 978-1-904764-11-3.
  • (EN) Eungjun Min, Jinsook Joo e Han Ju Kwak, Korean film: history, resistance and democratic imagination, Praeger, 2003, ISBN 978-0-275-95811-4.
  • (EN) Chi-Yun Shin e Julian Stringer (a cura di), New Korean cinema, Edinburgo, New York University Press, 2005, ISBN 978-0-8147-4029-3.

Voci correlate

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