Anello di alone
L'anello di alone (o anello diffuso) è il più interno degli anelli del pianeta Giove. Relativamente poco denso e particolarmente spesso, soprattutto in confronto agli altri anelli gioviani, l'alone possiede una forma toroidale e si estende a partire dall'anello principale per metà della distanza che separa quest'ultimo dall'alta atmosfera di Giove.
Anello di alone | |
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Immagine in falsi colori ripresa dalla sonda Galileo in luce retrodiffusa | |
Anello di | Giove |
Scoperta | marzo 1979 |
Scopritori | Voyager 1 |
Dati fisici | |
Raggio interno | 89.400 km |
Raggio esterno | 122.800 km |
Estensione radiale | 33.400 km |
Spessore | 10-20.000 km |
Profondità ottica | 3 × 10-6 |
L'anello venne individuato dalla sonda spaziale statunitense Voyager 1 nel corso del sorvolo di Giove del marzo 1979; gli venne attribuita la designazione provvisoria di 1979 J1R.[1]
Caratteristiche
modificaL'anello di alone è il più interno e spesso tra gli anelli di Giove. Il suo bordo più esterno coincide col confine interno dell'anello principale, ad una distanza dal centro del pianeta pari a circa 122 500 km (1,72 RJ);[2][3] procedendo da questa distanza verso il pianeta l'anello si fa rapidamente più spesso. Lo spessore verticale effettivo dell'anello non è noto, ma è stata riscontrata la presenza di suo materiale ad una distanza di 10 000 km al di sopra del piano dell'anello.[3][4] Il confine interno dell'anello di alone è piuttosto ben definito ed è situato ad una distanza dal centro del pianeta pari a 100 000 km (1,4 RJ),[4] anche se tracce del materiale dell'anello sono presenti all'interno del confine sino a circa 92 000 km;[3] l'estensione radiale dell'anello è dunque di circa 33 000 km. La sua forma lo rende simile ad uno spesso toro privo di una chiara struttura interna.[5]
L'anello di alone appare più brillante se ripreso in luce diffusa diretta, banda in cui è stato estensivamente ripreso dalla sonda Galileo.[3] Sebbene la sua luminosità superficiale sia di gran lunga inferiore a quella dell'anello principale, il suo flusso fotonico verticale (perpendicolare rispetto al piano dell'anello) integrato è comparabile per via del suo maggiore spessore. A dispetto dell'estensione verticale ipotizzata di oltre 20 000 km, la luminosità dell'anello di alone è fortemente concentrata lungo il piano e segue una legge di potenza del tipo compreso tra z−0,6 e z−1,5,[5] in cui z è l'altezza sul piano dell'anello. In luce retrodiffusa come risulta dalle osservazioni condotte dai telescopi Keck[4] e dal telescopio spaziale Hubble,[6] l'aspetto dell'anello è fondamentalmente simile a quello in luce diretta, sebbene il suo flusso fotonico totale sia diverse volte inferiore a quello dell'anello principale e sia molto più intensamente concentrato nei pressi del piano dell'anello.[5]
Le proprietà spettrali dell'anello di alone sono differenti da quelle dell'anello principale: la distribuzione del flusso nella banda 0,5–2,5 μm è più schiacciata;[6] inoltre, a dispetto degli altri anelli, l'anello di alone non appare rosso all'osservazione nel visibile e nell'infrarosso vicino, ma di un colore neutro o comunque tendente al blu.[6][7]
Origine
modificaLe proprietà ottiche dell'anello di alone possono essere spiegate solo se si ipotizza che sia composto prevalentemente da polveri di dimensioni inferiori a 15 μm,[5][6][8] mentre le parti dell'anello situate a distanza dal piano dell'anello potrebbero consistere di particelle di dimensioni nanometriche.[4][5][6] Questa composizione in polveri spiega l'emissione più intensa in luce diffusa diretta, il colore tendente al blu e la mancanza di una struttura visibile nell'anello di alone. La polvere probabilmente si origina nell'anello principale; questa teoria è corroborata dal fatto che la profondità ottica dell'anello di alone ( ) è paragonabile a quella dell'anello principale.[2][5] L'eccezionale spessore dell'anello può essere attribuito alle sollecitazioni sull'inclinazione orbitale e sulle eccentricità delle particelle di polvere ad opera delle forze elettromagnetiche nella magnetosfera gioviana. Il confine esterno dell'anello di alone coincide con una regione in cui è presente una forte risonanza 3:2 di Lorentz.[9][10][11][12] Poiché l'effetto Poynting-Robertson[13][11] fa sì che le particelle lentamente scivolino verso Giove, le loro inclinazioni orbitali risultano sollecitate mentre passano in quest'area. Il limite interno dell'anello non è molto distante dalla regione in cui è presente una forte risonanza di Lorentz 2:1.[9][10][11] In questa risonanza la sollecitazione è probabilmente molto significativa, in quanto costringe le particelle a scivolare verso l'atmosfera di Giove, definendo così un confine netto.[5] Poiché deriva dall'anello principale, la sua età risulta sconosciuta, ma potrebbe costituire un residuo di una passata popolazione di piccoli oggetti in orbita attorno al pianeta.[5][14]
Note
modifica- ^ B. A. Smith, L. A. Soderblom, T. V. Johnson, et al., The Jupiter System through the Eyes of Voyager 1, in Science, vol. 204, 1979, pp. 951–957, 960–972, DOI:10.1126/science.204.4396.951, PMID 17800430.
- ^ a b M. A. Showalter, J. A. Burns, J. N. Cuzzi, J. B. Pollack, Jupiter's Ring System: New Results on Structure and Particle Properties, in Icarus, vol. 69, n. 3, 1987, pp. 458–498, DOI:10.1016/0019-1035(87)90018-2.
- ^ a b c d M. E. Ockert-Bell, J. A. Burns, I. J. Daubar, et al., The Structure of Jupiter's Ring System as Revealed by the Galileo Imaging Experiment, in Icarus, vol. 138, 1999, pp. 188–213, DOI:10.1006/icar.1998.6072.
- ^ a b c d I. de Pater, M. R. Showalter, J. A. Burns, et al., Keck Infrared Observations of Jupiter's Ring System near Earth's 1997 Ring Plane Crossing (PDF), in Icarus, vol. 138, 1999, pp. 214–223, DOI:10.1006/icar.1998.6068.
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- ^ La risonanza di Lorentz è una particolare risonanza che intercorre tra il moto orbitale delle particelle e la rotazione della magnetosfera del pianeta, il cui rapporto dà un numero razionale
- ^ J. A. Burns, M. R. Showalter, D. P. Hamilton, et al., The Formation of Jupiter's Faint Rings (PDF), in Science, vol. 284, 1999, pp. 1146–1150, DOI:10.1126/science.284.5417.1146, PMID 10325220.
- ^ L. W. Esposito, Planetary rings, in Reports On Progress In Physics, vol. 65, 2002, pp. 1741–1783, DOI:10.1088/0034-4885/65/12/201. URL consultato il 30 aprile 2009 (archiviato dall'url originale il 16 giugno 2020).
Bibliografia
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